Speciale dedicato al trentennale della dissoluzione dell’Unione Sovietica in collaborazione con Q Code
Con Tempo di seconda mano Svetlana Aleksievič congela un’epoca che non sarà raccontata dai libri di storia: quella in cui gli orfani dell’URSS si sono trovati a fare i conti con la disillusione.
Non era bastato La guerra non ha un volto di donna, libro del 1985 con cui Svetlana Aleksievič ha dato voce a un popolo che, di voce, ne aveva ben poca. Non era bastato perché di persone che avevano qualcosa da raccontare, e di storie da raccogliere e, appunto, voci da ascoltare, ce n’erano ancora tantissime: milioni.
È così, collezionando negli anni parole rubate nelle cucine di qualche kommunal’ka, nelle riunioni di famiglia, negli incontri con gli amici, nelle migliaia di interviste fatte percorrendo chilometri tra neonate repubbliche, che la scrittrice bielorussa ha saputo mettere nero su bianco, spiegare al mondo cosa volesse – voglia, probabilmente – dire vivere in Unione Sovietica.
E vivere in quel che è stato dopo.
La vita da cittadini sovietici
Quando è uscito Tempo di seconda mano erano ancora lontani i giorni in cui sarebbe tornato in classifica Preghiera per Černobyl, altro suo romanzo a cui, si dice, è ispirata la serie tv americana sul disastro nucleare del 1986. Aleksievič non era ancora nota al grande pubblico, eppure aveva fatto un lavoro enorme, in oltre trent’anni di scrittura. Perché ogni suo libro è ancorato alla vita sovietica più di qualsiasi altro romanzo o saggio storico. Perché nei suoi libri c’è la voce di quella gente, c’è il racconto di esistenze tanto diverse eppure tutte uguali, donne nelle stesse cucine, uomini sugli stessi fronti, lo stesso credo, le stesse paure, lo stesso senso di smarrimento nell’accorgersi che i sogni sono stati disillusi.
Un racconto da Nobel
La vittoria del premio Nobel nel 2015 è arrivata proprio dopo l’uscita di Tempo di seconda mano, centinaia di pagine in cui la dissoluzione dell’impero sovietico viene raccontata attraverso le vite di persone comuni, di persone che potremmo essere noi, se solo fossimo nati nella gloriosa URSS.
Quelli di Aleksievič non sono romanzi ma interviste raccolte in anni e anni di ricerche. Ognuno ha un tema: le donne in guerra, la guerra in Afghanistan, Černobyl, la stesso stesso crollo dell’utopia sovietica raccontato in Incantati dalla morte, ma Tempo di seconda mano non ha un filo conduttore, è un unico flusso di coscienza di persone che hanno qualcosa in comune: sono tutti figli dell’Unione Sovietica, tutti orfani di un sistema crollato insieme con le sue certezze.
Così nel libro non troverete la storia di qualcuno, ma tantissime storie. In alcuni casi lunghe chiacchierate in confidenza, dove donne stanche raccontano la vita, i sogni, le speranze. Anche qui, come negli altri suoi scritti, le donne sono protagoniste: quelle militari, le mogli dei liquidatori, le mamme dei ragazzi (di zinco) tornati dall’Afganistan.
Ma quello che troverete è soprattutto la fine delle vite. Per capire il perché di tanta disperazione, di così tanti suicidi, dei problemi di alcolismo, è necessario aver vissuto quell’epoca. Per capire cosa significa ritrovarsi dall’oggi al domani in un mondo tutto nuovo, con regole tutte diverse, senza quelle poche certezze – un lavoro dello Stato, un alloggio dello Stato, un pasto dello Stato – bisogna leggere Tempo di seconda mano perché altrimenti ci resta impossibile.
Come si vive in un mondo nuovo?
Come si impara di nuovo a vivere quando ormai si hanno cinquanta, sessanta, settant’anni? Come si sta al mondo se il mondo appare come un luogo completamente diverso da quello in cui si era creduto? Come si fa a vivere con la vergogna di aver contribuito a un sistema che incarcerava le persone, le licenziava, le uccideva, le mandava in Siberia?
Non c’è una risposta perché il senso del libro non è spiegare a noi, noi che non siamo un homo sovieticus, come si fa a sopravvivere al crollo del del mondo, del proprio mondo. L’obiettivo è invece congelare, custodire per sempre un’epoca che non tornerà mai più. Non sarà sui libri di storia, non se ne parlerà, nessuno racconterà degli anni successivi al crollo dell’URSS. Ci si ricorderà degli abomini del GULag, delle scelte militari, dei conflitti, dei traguardi spaziali, delle code in fila per il pane. Ma nessuno conoscerà il dolore e lo smarrimento che centinaia di milioni di persone hanno provato quando si sono accorti che la dissoluzione dell’Unione Sovietica era, almeno per chi ci era nato, peggio dell’Unione Sovietica stessa.
Negli anni Novanta… sì, in quegli anni eravamo felici, non ritroveremo mai più quell’ingenuità di allora. Ci sembrava che la scelta fosse stata fatta, che il comunismo avesse definitivamente perso. E invece era soltanto l’inizio…
Leggere Tempo di seconda mano è come trovarsi ad ascoltare una vecchia babushka, un vedovo, gente comune, siamo seduti lì, nel loro salotto, ci mostrano le medaglie, ci raccontano anni che sono stati e non torneranno, a volte con nostalgia, altre volte con rabbia, e questo è il pregio di Aleksievič: lasciare che siano gli altri a raccontare, ma riuscire così bene a trascrivere e a trasportare su carta le emozioni delle persone con cui ha parlato da rendere il lettore partecipe.
(…) Ci tengo a essere uno storico spassionato e non uno storico che inalbera una fiaccola accesa. Giudicherà l’avvenire. Il tempo rimette ogni cosa al suo posto, ma non quello prossimo, quello più lontano. Quel futuro nel quale noi non ci saremo. E che farà anche a meno dei nostri pregiudizi e passioni.
Forse solo chi è nato e vissuto in Unione Sovietica sarà capace di capire quel che è stato, prima e dopo. Ma Aleksievič ci permette di capire molto, e vale la pena farlo, per combattere i pregiudizi, per evitare le prese di posizione, per essere consapevoli che non è mai bianco o nero.
E nemmeno rosso.
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Immagine: Edizioni E/O