Dragan Stojkovic

CALCIO: Chi è stato Dragan Stojković “Piksi”?

C’è stato un momento agli inizi degli anni Novanta in cui Dragan Stojković detto Piksi (dal nome del cartone animato Pixie and Dixie and Mr. Jinks) è stato il miglior fantasista d’Europa dopo Maradona. Il Mondiale italiano fu la vetrina che lo consacrò agli occhi del continente e fu normale che una delle squadre più forti e ricche del tempo, l’Olympique Marsiglia, facesse carte false per averlo. Avevano bisogno di qualcuno di geniale per fare il salto di qualità definitivo e vincere la Coppa dei Campioni. A malincuore Stojković lasciò Belgrado e si trasferì in riva al mare, nel sud della Francia.

Le cose non andarono come si sperava

Il lieto fine però non arrivò mai. In una partita di campionato, dopo uno scontro con il portiere avversario il  suo ginocchio non lo sostenne più e lo costrinse a restare fuori per più di metà stagione. Quando rientrò, mancava poco alla conclusione e non rimaneva che l’ultimo atto: la tanto attesa finale di Coppa dei Campioni. L’incontro si disputò a Bari e l’avversario fu la Stella Rossa di Belgrado, l’ultima squadra che Stojković avrebbe voluto incontrare. Il fantasita non partì titolare e, quando l’allenatore lo buttò dentro, visse una vera e propria battaglia interiore: i suoi avversari erano i compagni di una vita, i suoi compagni marsigliesi, al confronto, li conosceva a malapena. Quando si arrivò ai rigori, Stojković prese una decisione radicale: se ne tirò fuori. Avrebbe perso in ogni caso.

La differenza fra la Stella Rossa e l’OM però era che, mentre a Belgrado il numero dieci era fuori discussione, i francesi avevano tanti soldi e tante possibilità di rimpiazzarlo. Anche perché dall’infortunio Stojković non tornò più quello di prima. Dal 1990 al 1994 giocò meno di trenta partite, senza lasciare mai il segno. Era il caso di cambiare aria. E l’occasione arrivò dall’Italia, da quello stesso stadio dove, contro la Spagna, aveva impressionato il mondo intero: Verona.

L’Hellas voleva tornare ad essere grande. Neanche dieci anni prima aveva vinto lo Scudetto, ma il ciclo era finito ed era scivolata in seconda divisione. Ora, tornata in Serie A, aveva scelto proprio Piksi per ripartire. Era una grossa responsabilità. Lo jugoslavo ci provò ma gli infortuni lo perseguitavano. Qualche numero lo fece vedere, ma furono solo lampi. La stagione si concluse con la retrocessione e Stojković giocò poco perché continuamente infortunato. La dirigenza non poteva portarlo in Serie B, perché costava troppo: doveva tornare a Marsiglia.

Con la nazionale

Era il 1992. Se con la squadra di club andava tutto male, almeno con la nazionale stavano arrivando grandi soddisfazioni. Quanto di buono visto al Mondiale italiano, sembrava si stesse per concretizzare all’Europeo svedese. Con una galoppata incredibile, la Jugoslavia aveva raggiunto la fase finale. Aveva stravinto il girone e si presentava da favorita. Ma la guerra mischiò nuovamente le carte e il Paese fu escluso da tutte le competizioni sportive. Il modo fu piuttosto discutibile. Il messaggio chiaro: “Non vogliono la Jugoslavia in Svezia, se ne devono andare”. Stojković era il capitano di quella squadra e a lui toccò dare la notizia ai suoi compagni. A suo dire, fu uno dei giorni più brutti della sua vita.

Quando riprese la stagione, le cose andarono ancora peggio, se possibile. Il ginocchio fece di nuovo crack e Stojković dovette essere nuovamente operato. Qualcosa però dentro il calciatore era cambiato: aveva deciso di smettere se il dolore non fosse passato, quella era la sua ultima possibilità. Provò a giocare di nuovo, ma non si riconosceva. Gli altri potevano anche sbagliarsi, ma lui sapeva perfettamente che non era quel giocatore lì. Aveva perso agilità e rapidità. Era diventato un calciatore normale. Non c’è niente di più frustrante per chi ha accarezzato la gloria di vedersi ridurre a onesto comprimario. Era l’inizio della fine.

Partire per non morire

Nel 1994 Dragan Stojković era un professionista finito, ma anche un uomo che voleva ancora dire la sua. Provò a rinascere e capì che doveva farlo lontanissimo da casa, lontano da pressioni, in un posto dove avere a disposizione tempo e tranquillità. Firmò per i giapponesi del Nagoya Grampus Eight. Dichiarò che non aveva idea di dove fosse Nagoya e che l’unica cosa che sapeva era che ci giocava Gary Lineker, attaccante inglese. Ma non fu quello con l’inglese l’incontro che segnerà la svolta. In senso più o meno figurato. L’allenatore della squadra era un alsaziano – al tempo – sconosciuto di nome Arsène Wenger: lui vide in Stojković il faro per la sua squadra, gli dette il tempo e le responsabilità, gli concesse la fiducia e il rispetto che il campione si meritava.

In Giappone Stojković rinacque, sia come uomo che come calciatore. Tornò in Europa solo per giocare i Mondiali di Francia 1998 con la sua Jugoslavia già mutilata. Riprese la maglia numero 10, mentre il fortissimo Dejan Savićević dovette accontentarsi della 8. Dall’Oriente sarebbe più tornato. Aveva smesso nel 2001, a 36 anni, e poi aveva allenato ancora il Nagoya Grampus per cinque stagioni, prima di trasferirsi in Cina e infine provare a portare la Serbia al Mondiale: un’autentica impresa, stavolta riuscita.

Cosa resta?

Cosa ci resta oggi di un campione come Dragan Stojković detto Piski? Nell’immaginazione di chi seguiva il calcio già negli anni Novanta, resta il giocatore che eliminò quasi da solo la Spagna ai Mondiali di Italia 90. Un’eterna giovinezza di promesse mai mantenute del tutto. Ma di lui ci resta anche il coraggio di chi si rifiutò di tirare il rigore contro i propri compagni in finale di Coppa dei Campioni e ci resta il coraggio di chi, fra i primi, provò il viaggio in un altrove lontano per salvarsi la carriera e, in fin dei conti, la vita. Abbandonare tutto e ritrovare se stessi. L’idea di rinunciare ai canoni di successo e gloria calcistici, mettendo l’uomo davanti all’atleta.

Foto: Wikipedia

Chi è Gianni Galleri

Autore di "Curva Est. Un viaggio calcistico nei Balcani" e "Questo è il mio posto. Le nuove avventure di Curva Est fra calcio e Balcani". Ha coordinato la redazione sportiva di East Journal fino al 2021.

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