di Silvia Padrini
“Chi perde la propria terra perde tutto”
–proverbio dell’Abkhazia
“It’s a mistake to think, dear Sharakh, that we can forget a language learned from infancy. No, we can’t, just like I cannot forget my mother […] Facing the sea, the Adighes lived to the right of the Ubykhs and the Abkhasians to the left. I know not only Abkhasian, but Adighe, too; of course, hot as well, but I know it. We were all close neighbors, so we had to know each other’s languages.”
-“The last of the Ubikh” – Bagrat Shinkuba
Bagrat Shinkuba è considerato il maggiore rappresentante della letteratura classica abkhaza. Terminò la sua vita di poeta, scrittore e politico nel 1995. La sua opera principale narra dell’esilio forzato (detto “Muhajir”) delle popolazioni circasse a metà del XIX secolo, durante l’invasione dell’impero russo. Ma non solo. La sua scrittura filtra da una moltitudine di popoli e terre un’unica lingua, che parla di uomini e migrazioni, uomini e appartenenza, uomini e confini sbarrati , uomini e vicini di casa. Che questa lingua derivi da un gene comune o semplicemente da un destino affine, poco importa.
La zona del Caucaso del nord (grande approssimativamente come il nord Italia) è attualmente frammentata in numerose entità politiche dalle diverse denominazioni. Tuttavia esse costituiscono contenitori che, ancora oggi, non soddisfano le rivendicazioni territoriali delle tante etnie presenti.
Il desiderio di recuperare il filo delle vicende legate a quel territori in modo esaustivo rimarrebbe frustrato in uno spazio inferiore ad un’enciclopedia.
Dunque, come spesso succede, si seguirà il criterio dei temi iscrivibili nel grande spazio dedicato all’Attualità. Ove attualità indica questioni ancora “fresche” nella memoria collettiva.
La questione della terra conserva nei popoli di Abkhazia e Ossezia del sud un’importanza che le tante dominazioni susseguitesi avrebbero potuto assopire. Ma non è accaduto. Le radici della storia di quei popoli sono remote.
Una storia antica
L’Abkhazia, anticamente parte del regno della Colchide e poi di Lazika, prima di unirsi al territorio georgiano (anno 1008), passò sotto il controllo romano, bizantino e arabo. In epoca medievale, invece, gli Osseti vivevano a nord, lungo il fiume Don, finchè l’invasione mongola non li costrinse a spingersi nell’attuale zona di insediamento, diventando parte della comunità georgiana delle montagne. Fatta esclusione per la parentesi del dominio ottomano (che ha portato alla parziale conversione all’Islam della popolazione dell’Abkhazia), dalla fine del medioevo all’espansione dell’impero russo nell’800 le due regioni rimasero sotto il controllo georgiano.
Con l’arrivo dello zar si intensificarono gli scontri tra esercito russo e abitanti autoctoni caucasici, in particolare nell’area del mar Nero. Ciò ebbe l’effetto di spingere moltissime persone a fuggire verso la Turchia, lasciando quasi disabitata la regione. Su questo spazio temporale è aperta la polemica tra studiosi abkhazi e georgiani su “chi fosse arrivato prima”. In ogni caso, a partire dalla rivoluzione bolscevica, le aree in questione hanno vissuto un altalenarsi (talvolta un sovrapporsi) di subordinazione all’Unione Sovietica, subordinazione alla Georgia e richieste di autonomia. Durante lo stalinismo si sono sperimentati i più invasivi tentativi di assimilazione: lingue, culture e autonomia sostanziale di Abkhazia e Ossezia del sud furono schiacciate e sostituite dal controllo della Georgia sovietica.
Dopo il crollo dell’Urss l’assimilazionismo georgiano
I grossi problemi, però, arrivarono con il crollo dell’Urss. La creazione di una repubblica indipendente georgiana avrebbe coinciso con un tentativo ancora più caparbio di assimilazione delle due zone e le popolazioni separatiste se ne accorsero tempestivamente. Violenti scontri per la resistenza all’incorporazione nello stato georgiano avvennero tra il 1991 e il 1993: in particolare in Abkhazia, dove si assistette ad un vero e proprio massacro ai danni dei georgiani che abitavano nella regione. Nelle uccisioni di massa erano coinvolti ribelli abkhazi ma anche militari russi.
La corte penale internazionale aprì un caso per fare luce sulle responsabilità. Nel corso di tutti gli anni ’90 l’intera area tra Georgia e sud della Russia è rimasta sotto il controllo degli organismi internazionali impegnati in operazioni di peace-keeping (ma non solo: anche dei peace-keepers inviati dalla CSI) e nel 2006 l’Ossezia del sud ha espresso la propria volontà di indipendenza con un referendum popolare favorevole al 98-99%.
La guerra russo-georgiana
Le tensioni, però sono solo rimaste calde sotto la cenere, per esplodere poi nei pochi, drammatici giorni dell’agosto 2008. Le truppe georgiane, decise a riportare i territori sotto il controllo di Tbilisi, si sono scontrate con l’esercito russo, prima ancora che con gli indipendentisti abkhazi e osseti. I carri armati di Mosca sono arrivati fino alle porte della capitale georgiana, innescando una serie di tensioni politiche tra i due stati, ad oggi ancora irrisolte. Le due regioni oggi sono indipendenti de facto ma fortemente controllate dalla Russia, con cui hanno stipulato stretti accordi di cooperazione militare.
Il desiderio di mantenere la propria identità è dunque diventato una goccia nel mare degli interessi dei (più o meno) potenti. Chi perde la propria terra perde tutto, ma chi perde le terre altrui perde il potere.
Ci sarebbe molto da dire. Ad ogni modo gli Alani, dalla cui lingua sembra derivare il moderno osseto, vivevano nella Montagna caucasica, anche presumibilmente nella sola attuale Ossezia del Nord russa, anche molto prima dell’invasione mongola, come attestano le fonti bizantine (c’è un riferimento di Costantino Porfirogenito nel decimo secolo) e anche arabe.
Nell’area della moderna Abkhazia le fonti classiche (epoca romana) collocano un popolo noto come Abasgi: non so se si tratti di relazione effettiva o di assonanza. Va anche notato che la stessa Georgia è stata per molto tempo divisa in diversi stati più o meno autonomi, ma spesso dipendenti dagli ottomani o dalla Persia: la dominazione ottomana e quella georgiana spesso non erano in alternativa ma in coincidenza.
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