L’8 ottobre, i servizi segreti turchi (MIT) arrestano 6 persone ad Istanbul e Antalya. Si tratta di quattro ceceni con passaporto russo, un cittadino ucraino e uno uzbeko. Le tre pistole rinvenute durante l’arresto, tra le quali una dotata di silenziatore e mirino laser, lasciano pochi dubbi sull’intento poco benevolo di questi individui ai giudici del Tribunale di Istanbul. Il 20 ottobre, i 6 vengono condannati per spionaggio politico e militare, mentre il 2 novembre la polizia turca arresta altri due sospetti collegati al gruppo nelle due medesime città. Questa vicenda, in apparenza secondaria, rischia in realtà di aver ripercussioni nelle già complesse relazioni tra Russia e Turchia.
Vittime, mandanti e reazioni: la spy story è servita
Secondo quanto riportato dagli agenti del MIT, il gruppo di assassini, capitanato dall’anch’essi arrestato Beslan Rasayev, pianificava l’uccisione del blogger Hassan Khalitov e del comandante jihadista Rustam Hajiyev: entrambi dissidenti ceceni residenti in Turchia. I servizi segreti turchi non si limitano solo a dichiarare l’obbiettivo dell’omicidio, bensì a pronunciare anche i nomi dei due mandanti: Adam Delimkhanov e Kazbek Dokuzov. Il primo è un deputato della Duma di Stato russa, nonché consigliere e cugino del leader della Cecenia Ramzan Kadyrov; il secondo è un volto conosciuto dall’Interpol, in quanto già sospettato dell’omicidio del caporedattore di Forbes Russia Paul Khlebnikov nel 2004. Secondo il MIT, Delimkhanov e Dokuzov avrebbero contattato il gruppo di Rasayev, commissionandogli l’omicidio dei dissidenti.
Poco dopo la notizia della condanna, Ramzan Kadyrov lascia il suo maestoso palazzo situato sulle sponde del fiume Sunzha a Grozny e, in compagnia del suo ministro della stampa e dell’informazione Ahmed Dudaev, si reca in Turchia. Secondo le parole di quest’ultimo, il viaggio del leader è una visita informale per distendere i toni con i suoi critici all’interno della diaspora cecena in Turchia.
La diaspora cecena in Turchia: un tema attuale con radici storiche ben definite
L’inizio di quest’ultima risale al 1865, quando l’impero Ottomano firma un accordo con l’Impero russo per accettare i migranti dal Caucaso Settentrionale. Con il crollo dell’Unione Sovietica e la proclamazione della Repubblica di Ichkeria ad opera del generale Dzhokhar Dudaev, caratterizzata dallo slogan “Libertà o Morte!”, la Cecenia diventa teatro di due sanguinose guerre che la tormenteranno fino al 2009. In questo frangente, diversi sostenitori e combattenti affiliati alla proprio all’Ichkeria decidono di fuggire verso la Turchia e altri paesi. L’opinione pubblica turca mostra ampia solidarietà verso i suoi correligionari musulmani ceceni, anche grazie al lavoro della diaspora. Secondo stime del 2002, circa 25 mila persone di etnia cecena vivevano entro i confini turchi. Ve ne sono altre che sostengono ve ne fossero e ve ne siano molti di più.
Dopo il suo insediamento come leader della Cecenia nel 2007, Kadyrov riesce a convincere molti degli ex leader dell’Ichkeria a tornare a Grozny. In questo modo, il nuovo leader ceceno può assicurarsi che i suoi vecchi nemici non possano tramare contro di lui in futuro. Per quanto riguarda coloro che non vogliono ritornare in patria, Kadyrov non si rivela altrettanto generoso. Anzi, dimostra di poterli raggiungere anche in Europa, in qualsiasi momento. Lo sa bene la famiglia l’ex comandante di Kadyrov, Umar Israilov, assassinato a colpi di pistola a Vienna nel 2008.
La condanna del gruppo di Rasayev non è l’unico omicidio su commissione ordito dagli alti vertici della repubblica caucasica in Turchia. Già nel 2016, i servizi segreti turchi avevano arrestato due cittadini russi, Yuri Anisimov e Aleksandr Smirnov, con l’accusa di aver ucciso sette migranti ceceni. Il MIT sospettava anche in questo caso che i due omicidi fossero collegati agli uomini di Kadyrov. Per questo motivo, le parole di Dudaev sul viaggio del leader della Cecenia appaiono come una svolta inaspettata e, inevitabilmente, sospetta.
Se non si chiama in causa Grozny, ma Mosca
Se si scarta l’opzione del dissotterramento dell’ascia di guerra con la diaspora, l’ipotesi più plausibile è che il viaggio di Kadyrov sia dovuto proprio alla detenzione degli uomini di Rasayev. Esaminando questo episodio sotto la lente delle ben più complesse relazioni diplomatiche tra Russia e Turchia (soprattutto ora che, con i recenti sviluppi del conflitto in Nagorno-Karabakh, il Caucaso gioca un ruolo sempre più importante nella partita tra Mosca e Ankara), si capisce come la caccia all’uomo voluta da Kadyrov possa avere conseguenze pericolose per il Cremlino. Gettare ombre sulla credibilità della Russia come garante della sicurezza nella regione può tornare comodo alla Turchia. Lecito dunque pensare che Kadyrov abbia lasciato la Cecenia per provare a limitare i danni e ad evitare che questa storia faccia troppo rumore.
Se da una parte i media turchi descrivono l’arresto del gruppo di Rasayev come di uno scandalo di spionaggio, e quindi riguardante le relazioni russo-turche, dal Cremlino per ora il segretario stampa presidenziale Dmitry Peskov si è limitato a dire come non ci siano abbastanza informazioni riguardo l’accaduto. Quale sarà dunque il prossimo passo?
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