UCRAINA: La guerra del gas con il Cremlino e la flotta russa a Sebastopoli

di Giovanni Bensi

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da Mosca. Alla fine del 2011 la Russia e l’Ucraina riuscirono ad evitare una vera e propria “guerra del gas”, un pericolo che compare sempre quando le parti si accingono a modificare gli accordi in vigore. Anche questa volta la “guerra” si è limitata alle parole, e certamente non si può dire che si sia trattato di un “dialogo”. Le trattative per un nuovo contratto del gas fra la Russia e l’Ucraina, che doveva sostituire gli accordi del 2009 (per i quali l’ex primo ministro ucraino Julija Timoshenko è stata condannata a 7 anni) si sono svolte più o meno in regime di normalità fino a metà autunno 2011. Il premier ucraino Mykola Azarov ai primi di ottobre dichiarò con ottimismo che sarebbe stato possibile raggiungere un accordo “entro 10-15 giorni”. Anche al “Gazprom” si era convinti che tutto si sarebbe sistemato. Il capo del gigante russo del gas, Aleksej Miller, affermava che i risultati si sarebbero dovuti attendere per novembre.Ciononostante passarono ottobre e novembre, e il 28 dicembre si apprese che il presidente dell’Ucraina, Viktor Janukovich, aveva firmato il bilancio annuale nel quale erano inclusi prezzi del gas calcolati in base al contratto del 2009. In tal modo le autorità ucraine riconobbero la propria sconfitta nella prima tornata di trattative.

Ancora il 12 dicembre Aleksej Miller, rispondendo a una domanda sui rapporti russo-ucraini per quanto riguarda il gas, dichiarò: “Non vi saranno regali di Natale”, intendendo che Mosca non avrebbe concesso a Kiev alcuna facilitazione. Già il 14 dicembre il viceministro dell’energia e dell’industria mineraria dell’Ucraina, Volodymyr Makukha, avviò una discussione su quale avrebbe dovuto essere il prezzo del carburante.

Così sulla stampa comparve una frase fatta: “il limite di svantaggio del ‘Naftogaz’”, cioè il limite di prezzo sopra il quale l’accordo con “Gazprom” sarebbe divenuto svantaggioso per il monopolista ucraino. “Per noi il limite di svantaggio è di 205 dollari (per 1.000 metri cubi), perciò occorre che il prezzo sia inferiore”, dichiarò il 14 dicembre Makukha. E aggiunse che però 205 dollari al governo di Kiev parevano un’utopia e che, al massimo, il governo sarebbe riuscito a strappare ai russi un prezzo “intorno ai 224 dollari”.

Viktor Janukovich, il 21 dicembre, ricordò che se non si tiene conto degli accordi di Khar’kov, (con i quali la Russia concesse all’Ucraina uno sconto di 100 dollari per 1.000 metri cubi in cambio del prolungamento della permanenza della flotta russa del Mar Nero in territorio ucraino, nel porto di Sebastopoli, cioè nel porto di Sebastopoli in Crimea per altri 25 anni), il gas del “Gazprom” sarebbe costato 515 dollari per 1.000 metri cubi. “Questo prezzo è per noi insostenibile”, rilevò il presidente ucraino e aggiunse: “Noi riteniamo che il prezzo per l’Ucraina non deve superare i 250 dollari”.

A differenza della Russia, in Ucraina le trattative per il gas sono seguite anche dagli oppositori politici. “Abbiamo scelto il cammino meno capace di portare a risultati. E i ‘rapporti fraterni’ con i russi sono finiti con un prezzo di quasi 500 dollari per 1.000 metri cubi”: questo il commento di Arsenij Jatsenjuk, leader del partito di opposizione “Fronte dei cambiamenti”.

Ed ecco come reagì Andrij Pavlovskyj, deputato del partito, pure di opposizione, Bat’kivshchyna (“La Patria”), guidato da Julija Timoshenko, ora in prigione: “Io al posto del potere attuale eseguirei tutti senza eccezione i contratti sul gas firmati nel 2009 da Julija Timoshenko e costringerei gli oligarchi a modernizzare i loro stabilimenti e a prendere finalmente misure per il risparmio di energia”.

Infine anche l’ex premier dell’Ucraina Julija Timoshenko ha criticato Janukovich: “Lei ha ceduto Sebastopoli in cambio di gas a buon mercato, e dov’è ora? Adesso vuole cedere anche il sistema di trasporto del gas (GTS)… E che cosa cederà l’anno prossimo, Viktor Fjodorovich?” Nei media il premier attuale, Mykola Azarov si è sempre lamentato del contratto “ingiusto” del 2009. Il fatto è che nei contratti col “Gazprom” del 2009 sono fissati i volumi minimi delle forniture di gas. Se l’Ucraina non ritira tutto il gas, deve pagarlo ugualmente. Il governo di Kiev, a quato pare, ha deciso che questa regola può essere disattesa, ma al “Gazprom” se ne sono accorti. “Bisogna pagare anche per il gas non ritirato”, ha ammonito Aleksej Miller l’11 gennaio.
Con tutta questa “guerra di parole” appare stupefacente che Mosca e Kiev continuino a trovare in sé la forza di ripetere continuamente: nelle tattative c’è un progresso, le pwrti sono sul punto di avvicinare le loro posizioni.

Se “Gazprom” e “Naftogaz”, e insieme con loro i politici russi ed ucraini continueranno sullo stesso tono, questo scambio di colpi verbali può trascinarsi ancora per diversi mesi.

Chi è Giovanni Bensi

Nato a Piacenza nel 1938, giornalista, ha studiato lingua e letteratura russa all'Università "Ca' Foscari" di Venezia e all'Università "Lomonosov" di Mosca. Dal 1964 è redattore del quotidiano "L'Italia" e collaboratore di diverse pubblicazioni. Dal 1972 è redattore e poi commentatore capo della redazione in lingua russa della radio americana "Radio Free Europe/Radio Liberty" prima a Monaco di Baviera e poi a Praga. Dal 1991 è corrispondente per la Russia e la CSI del quotidiano "Avvenire" di Milano. Collabora con il quotidiano russo "Nezavisimaja gazeta”. Autore di: "Le religioni dell’Azerbaigian”, "Allah contro Gorbaciov”, "L’Afghanistan in lotta”, "La Cecenia e la polveriera del Caucaso”. E' un esperto di questioni religiose, soprattutto dell'Islam nei territori dell'ex URSS.

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2 commenti

  1. magari c’entra anche la guerra con la Siria?
    Nel senso che la Russia appoggia la Siria, noi no…a buon intenditor… staremo tutti al freddo

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