mladic
(AP Photo/Darko Vojinovic)

SERBIA: Se la polizia fa la guardia a un murale per Mladic

Da giorni, il quartiere residenziale della capitale serba Vracar è al centro dell’attenzione mediatica per delle presunte decorazioni artistiche e le relative proteste della popolazione. Da un lato un murale dedicato a Ratko Mladic, condannato a vita per crimini di guerra e per il genocidio di Srebrenica, dall’altro un quartiere che è insorto contro ciò che infanga una delle zone più belle di Belgrado. In mezzo, lo stato serbo, o meglio: chi ne fa le veci, con e senza uniforme. Ufficialmente, la polizia preserva l’ordine pubblico. In realtà, fa la guardia al murale affinché non venga cancellato o rovinato, cosa che fortunatamente è già accaduta decine di volte (poi puntualmente sempre rinnovato l’indomani) da quando è stato disegnato l’estate scorsa.

Il disegno è uno di quei banali e scontati trionfi del machismo nazionalista: il saluto militare, lo stemma del Partizan – che, ironia della sorte, è sempre stato un club jugoslavo – e la scritta “Generale, un grazie a tua madre”. Per averlo messo al mondo. Il maschilismo, infatti, è un alleato di ferro del nazionalismo: una buona donna è quella che partorisce nuovi figli della patria.

Il murale non fa altro che omaggiare un genocida. D’altronde, se Mladic non avesse massacrato migliaia di musulmani sarebbe rimasto ai margini della storia e non verrebbe esaltato dal fanatismo nazionalista.

Ad ogni modo, per il 9 novembre, cioè la giornata mondiale contro il fascismo e l’antisemitismo, l’organizzazione non governativa “Iniziativa dei giovani per i diritti umani” aveva preannunciato che avrebbe coperto definitivamente il murale. La risposta del ministro degli Interni Aleksandar Vulin è stata quella di vietare l’iniziativa e disporre la polizia a guardia del murale per evitare che i suoi sostenitori, una manciata di persone losche, e chi non lo vuole più vedere, un intero quartiere, venissero a contatto. Tradotto: il ministero degli Interni della Serbia non vuole che un disegno che esalta e omaggia un criminale di guerra venga rimosso.

Tuttavia, nel pomeriggio di martedì 9 novembre, due attiviste per i diritti umani, Aida Corovic e Jelena Jacimovic, hanno colpito il dipinto con lanci di uova. Le due sono state immediatamente fermate e arrestate da uomini che non erano in divisa, probabilmente polizia in borghese, o criminali al soldo del regime. La differenza tra le due categorie, nella Serbia di Vucic, sta scomparendo.

Infine, l’attivista politico Djordjo Zujovic ha completato l’opera – almeno temporaneamente – lanciando vernice bianca sul volto del criminale di guerra. “Non ho alcuna comprensione per chi difende il murale e per chi cerca di fare di Mladic un simbolo di valori o di qualcosa di buono”, ha detto Zujovic ad Al Jazeera Balkans.

L’episodio si inserisce in un filone di casi che, nella Belgrado a trazione “progressista”, mostrano il vero volto del regime serbo, oggi guidato dai radicali sotto mentite spoglie dell’SNS del presidente Aleksandar Vucic. Il caso precedente era stata la petizione con cui alcuni esponenti dell’estrema destra locale avevano richiesto la liberazione di Zvezdan Jovanovic, il killer che nel 2003 uccise il primo ministro democratico Zoran Djindjic.

Entrambi i casi servono per mostrare la linea che separa la popolazione civile dal regime e i suoi complici, che da anni agiscono indisturbati ai margini della legalità, se non al di là di essa. Come quando distrussero le case in Savamala; come quando gestivano la più grande piantagione di marijuana in Europa; come quando i giornalisti che documentavano l’inaugurazione della presidenza Vucic vennero violentemente allontanati; come quando hanno preso in carico i gruppi del tifo organizzato per manipolare la criminalità organizzata ad esso legata; o come quando Sinisa Mali, oggi ministro delle Finanze, si è appropriato non si sa come di 24 appartamenti sul Mar Nero.

Questo governo fa quello che vuole perché può. Occupa tutti gli elementi della politica, dell’economia e della società perché li ha catturati in quasi dieci anni di potere indisturbato. Probabilmente, l’intera faccenda del murale verrà risolta quando il presidente deciderà che lo spettacolo è finito e – da moderatore quale cerca di apparire – ordinerà di rimuoverlo.

Nel frattempo, avrà raggiunto il suo obiettivo e coronato un sogno di gioventù. A Belgrado, infatti, si ricordano bene quando Vucic, da fervente radicale e discepolo del criminale di guerra Vojislav Seselj, cercò di rinominare il viale dedicato a Djindjic intestandolo proprio a Mladic. Cambia la via in questione ma in fin dei conti l’obiettivo è raggiunto: marcare il territorio e lasciar intendere che la vecchia guardia nazionalista è sempre lì, a illudere che difenda l’interesse nazionale. Vien da dire che certi nazionalisti fan giri immensi e poi ritornano. Nel frattempo, hanno conquistato il potere assoluto abbattendo lo stato di diritto e servendosi della criminalità organizzata.

Il murale a Mladic è solo il disegno di un sognatore che non ha smesso di crederci. La protesta contro di esso, invece, è ciò che veramente la gente pensa di questo regime: la repulsione verso i criminali.

Foto: AP Photo/Darko Vojinovic

Chi è Giorgio Fruscione

Giorgio Fruscione è Research Fellow e publications editor presso ISPI. Ha collaborato con EastWest, Balkan Insight, Il Venerdì di Repubblica, Domani, il Tascabile occupandosi di Balcani, dove ha vissuto per anni lavorando come giornalista freelance. È tra gli autori di “Capire i Balcani occidentali” (Bottega Errante Editore, 2021) e ha firmato due studi, “Pandemic in the Balkans” e “The Balkans. Old, new instabilities”, pubblicati per ISPI. È presidente dell’Associazione Most-East Journal.

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