La Lituania ha proclamato lo stato d’emergenza a seguito dell’escalation della crisi dei migranti al confine bielorusso. È la prima volta dal 1991.
Il parlamento della Lituania ha deciso, quasi all’unanimità, di dichiarare lo stato d’emergenza “in ragione dei rischi per la tenuta sociale” dovuti “all’arrivo massiccio di stranieri al confine di stato”. Garantire la sicurezza del paese “è impossibile senza applicare misure straordinarie”, si legge nel dispositivo approvato lo scorso 9 novembre dal Seimas, l’assemblea nazionale. Si tratta della prima volta che viene deciso un intervento di tale gravità dall’indipendenza del paese, nel 1991.
All’indomani della decisione, il primo ministro lituano, Ingrida Simonyte, si è trasferita a Kapciamiestis, città di frontiera vicina al confine bielorusso.
A spingere il parlamento lituano a dichiarare lo stato d’emergenza è la crisi dei migranti provocata dalla Bielorussia che, da agosto, sta ammassando migliaia di persone sul confine con Polonia e Lituania allo scopo di destabilizzare i due paesi e, con loro, l’intera Unione Europea.
La Bielorussia si trova infatti sotto sanzioni da parte dell’Unione Europea a seguito della repressione delle proteste che da più di un anno mobilitano milioni di cittadini bielorussi. In particolare, Polonia e Lituania hanno appoggiato apertamente le proteste contro il regime di Lukashenko.
Il governo lituano ha accusato la Bielorussia di condurre una “guerra ibrida”, strumentalizzando i migranti e usandoli come un’arma per destabilizzare il paese. La decisione di dichiarare lo stato d’emergenza è “il primo passo per garantire la sicurezza dei cittadini lituani”, ha dichiarato Simonyte. Un primo passo cui altri, probabilmente, ne seguiranno qualora l’escalation della crisi non trovi un freno.