La nazionale di calcio kosovara occupa il 113° posto nel ranking FIFA ed è stata capace d’inanellare un bottino di 15 partite senza sconfitte, da novembre 2017 a settembre 2019. Il momento più alto della sua storia è stata la semifinale della Nations League giocata e persa contro la Macedonia del Nord per 2 a 1. Il Kosovo è membro sia dell’UEFA che della FIFA e di conseguenza prende parte alle qualificazioni per l’Europeo e per il Mondiale. Ma trent’anni fa nessuno avrebbe mai immaginato che il calcio kosovaro sarebbe riuscito a fare così tanto.
1989 – 1999
Il decennio che va dal 1989 al 1999, viene considerato dagli albanesi del Kosovo come quello dell’oppressione serba. Dopo la morte di Tito, la situazione in tutta la Jugoslavia peggiorò e in Kosovo in particolar modo. Nel 1989 Slobodan Milošević diede il via alle sue politiche intimidatorie nei confronti del Kosovo, aumentando l’oppressione ai danni della popolazione albanese, con espulsioni dai posti di lavoro pubblici, chiusura delle scuole e cancellando l’autonomia alla quale il Kosovo aveva diritto come provincia autonoma della Jugoslavia. La risposta degli albanesi inizialmente fu all’insegna della non violenza, con a capo la figura di Ibrahim Rugova. Nel 1990 venne proclamata la nascita della repubblica del Kosovo e nel 1991 la repubblica si dichiarò uno Stato indipendente e sovrano. Ibrahim Rugova venne eletto presidente. Elezioni alle quali partecipò esclusivamente il popolo albanese. Durante la sua esistenza, la repubblica del Kosovo venne riconosciuta soltanto dall’Albania.
Realtà parallele
Al momento dell’inizio della dissoluzione della Jugoslavia, nel 1991, il calcio kosovaro si trovava in un buon periodo, con una discreta presenza delle proprie squadre nelle leghe professionali, come l’FK Prishtina, il KF Trepça e il Liria Prizren.
Ma il peggioramento delle condizioni politiche si riversò immediatamente anche nel settore sportivo. In Kosovo diventò impossibile giocare a calcio, tanto che l’FK Prishtina decise di abbandonare la lega professionistica jugoslava. Non c’era più alcuna garanzia di sicurezza per giocatori e dirigenti kosovari. A causa di misure temporanee – che permettevano di allontanare gli albanesi dai posti di lavoro attraverso dei decreti governativi – per gli atleti kosovari diventò sempre più difficile calcare i campi da gioco. Gli atleti infatti erano chiamati a decidere se firmare o meno un atto di fedeltà per poter continuare la professione. Gli albanesi, nella grande maggioranza dei casi, si rifiutarono di firmare e così il calcio kosovaro sembrò condannato alla sparizione.
Con la nascita della Repubblica del Kosovo, si formarono strutture parallele nei settori dell’educazione, della sanità, della tassazione e anche dello sport, in particolare nel calcio. Lo scopo era soltanto uno: raggiungere l’indipendenza del Kosovo. Ci furono figure del mondo del calcio: allenatori, calciatori o addetti ai lavori amministrativi albanesi che abbandonarono le loro posizioni ufficiali per unirsi al sistema parallelo. I primi anni furono contraddistinti da un fortissimo entusiasmo, che portò alla creazione della Federazione Calcio del Kosovo, formata da un presidente, un consiglio di 12 membri che rappresentava i sette centri regionali e annessi comitati e associazioni, un campionato e una coppa del Kosovo. La grande maggioranza di coloro che lavoravano in questo sistema parallelo, lo facevano in maniera volontaria. In certe realtà, dove la disponibilità economica era maggiore, alcuni calciatori avevano anche la possibilità di ricevere un compenso economico, ma la quantità dei soldi non era minimamente comparabile allo sforzo che le persone facevano quotidianamente per mantenere in vita quel sistema.
Per la cronaca, la prima partita fra Prishtina e Flamurtari si giocò allo stadio Flamurtari di Pristina il 13 settembre 1991. Partita che diede via all’inizio ufficiale del primo campionato indipendente del Kosovo, composto da 20 squadre.
Di necessità virtù
Per comprendere al meglio la situazione, è necessario sottolineare il fatto che gli impianti sportivi passarono sotto il controllo delle squadre che al proprio interno avevano un’importante presenza serba, ed essendo gli stadi pubblici nel sistema socialista, questi erano di proprietà del comune e tutti i comuni erano nelle mani di Milošević. E così gli stadi diventarono un miraggio per gli albanesi. Cosa fare non potendo giocare in un vero campo di calcio? Si gioca dove si può. È così che il campionato e la coppa del Kosovo vennero giocati in quegli anni: nei campi dei villaggi di campagna. Precisamente nei campi Arbëri di Prishtina, a Llukar e Miradi vicino alla futura capitale, a Sadovinë, Jerlivë e a Novosellë vicino a Gjakova e tanti altri nel resto del Kosovo.
Il calcio kosovaro sopravvisse fino al gennaio del 1998, quando Milošević diede inizio alla guerra contro la popolazione civile del Kosovo. Eppure, dal 1991 al 1998, quel campionato parallelo era stato portato avanti seguendo le regole dell’UEFA e della FIFA, senza mai mancare di aggiornarsi in base a qualsiasi cambiamento fosse stato apportato dalle due federazioni.
Inutile dire come questi ostacoli, alla lunga, abbiano inciso sullo sviluppo del calcio kosovaro. Sia per motivi politici e organizzativi, come per i talenti sparsi in tutto il mondo, il Kosovo ci ha messo tanto tempo per arrivare a potersela giocare con le altre nazionali. Tutto questo però, non ha impedito al calcio kosovaro di sopravvivere e creare una nazionale di tutto rispetto. Ed è uno dei tanti motivi per comprendere il caloroso seguito della popolazione locale per la nazionale di calcio. Si è passati dal farsi la doccia nei fiumi nel post-partita, fino a sfiorare la qualificazione all’Europeo 2020.
Foto: www.ffk-kosova.com