Speciale dedicato al trentennale della dissoluzione dell’Unione Sovietica in collaborazione con Q Code
È innegabile che per comprendere quel “vento del cambiamento” – il Wind of Change acclamato e portato al successo dagli Scorpions – che ha portato alla dissoluzione definitiva dell’Unione Sovietica e alla nascita delle repubbliche post-sovietiche sia necessario fare un passo indietro e tornare agli anni Ottanta, quando si sono verificati i primi tentativi di riforma intrapresi da Michail Gorbačev. Tuttavia, il disfacimento dell’intero sistema era già nell’aria molto prima che il colpo di stato rendesse irreversibile questo crollo.
Il nazionalismo galoppante e l’idea di indipendenza divennero indubbiamente punti di forza nelle diverse repubbliche sovietiche, dai Baltici al Caucaso, che iniziarono ad articolare richieste di maggiore autonomia nazionale già nei primi anni Ottanta, sebbene i primi movimenti popolari di massa ebbero luogo solo a ridosso del crollo del muro di Berlino. In particolare, nella Repubblica Socialista Sovietica d’Ucraina, furono le prime elezioni semi-libere del Soviet Supremo del marzo 1990 a provocare l’indignazione di alcuni giovani studenti ucraini che si mobilitarono per portare il “vento del cambiamento” nel loro paese, in quella che passò poi alla Storia come la Rivoluzione sul Granito (Revoljucja na hraniti).
Una rivoluzione dal basso?
“Senza lo sciopero della fame degli studenti, non esisterebbe un’Ucraina indipendente” – Vjačeslav Čornovil, dissidente ucraino, fondatore del movimento Narodnyj Ruch Ukraiiny e tra i firmatari della Dichiarazione di sovranità dell’Ucraina del 16 luglio 1990 e dell’Atto di dichiarazione dell’indipendenza dell’Ucraina del 24 agosto 1991.
Ispirata alle manifestazioni popolari che ebbero luogo in piazza Tienanmen a Pechino, dal 15 aprile al 4 giugno 1989, e guidata da alcuni studenti appoggiati dal neonato movimento democratico Narodnyj Ruch Ukraiiny, la cosiddetta Rivoluzione sul granito si svolse dal 2 al 18 ottobre 1990 nell’attuale Piazza dell’Indipendenza (Maidan Nezaležnosti) della capitale ucraina.
A concepire l’azione di protesta furono alcuni giovani appartenenti all’Unione studentesca di Leopoli (principale città dell’Ucraina occidentale) i quali, profondamente insoddisfatti dai risultati delle elezioni parlamentari ucraine del marzo 1990, si attivarono per organizzare una manifestazione su larga scala coinvolgendo altre realtà studentesche del paese, con lo scopo primario di chiedere nuove elezioni democratiche. Inizialmente, i giovani leader e poi co-presidenti della mobilitazione – Markijan Ivaščyšyn (presidente della Confraternita studentesca di Leopoli), Oleg Barkov (a capo dell’Unione studentesca di Dniprodzeržyns’k, ora Kam”jans’ke) e Oles Doniy (presidente dell’Unione studentesca di Kiev) – pensarono a una vera e propria rivolta con tanto di disobbedienza di massa e opposizione alle forze dell’ordine; ma successivamente cambiarono idea, puntando invece su un’azione più “artistica” e non-violenta. Il risultato fu l’organizzazione di uno sciopero della fame che prese piede nella capitale ucraina il 2 ottobre del 1990.
Una forma di protesta, questa, che colse di sorpresa le autorità e le forze dell’ordine, le quali inizialmente ignorarono questa rapida e ben organizzata azione studentesca, evitando di intervenire con la violenza e ritenendo, ingenuamente, che si trattasse di un piccolo evento di poco conto e di breve durata. Ma dopo soli due giorni la piazza pullulava di una cinquantina di tende, con circa 150 persone che presero volontariamente parte allo sciopero della fame e altre 130 che fornivano loro vari servizi di sostentamento (primo soccorso, sicurezza, pubbliche relazioni).
La protesta si intensificò tra il 10 e il 15 di ottobre: circa centomila studenti scesero in piazza, alcuni marciando verso il palazzo della Verchovna Rada e allestendo una seconda tendopoli nella piazza antistante il parlamento, mentre altre migliaia occuparono gli edifici dell’Università di Kiev e del Politecnico. In quei giorni, sempre più persone si unirono gradualmente allo sciopero della fame, giungendo a Kiev dalle regioni di Ivano-Frankivsk, Ternopil, Vinnycja, Sumy, Rivne, Poltava. La repressione non faceva più paura ai cittadini ucraini, tanto che numerosi raduni, picchetti, scioperi e altri atti di disobbedienza civile ebbero luogo anche in altre regioni dell’Ucraina in sostegno ai coraggiosi studenti che lottavano pacificamente in nome della democrazia.
La protesta prese quindi immediatamente la piega di un movimento nazionalista: scioperi e manifestazioni studentesche ebbero luogo in quasi tutto il paese, mentre i lavoratori di molte fabbriche e gli operai delle miniere dei territori orientali del Donbas (che nel luglio 1989 erano entrati in sciopero) minacciarono di unirsi allo sciopero generale se le richieste degli studenti non fossero state soddisfatte.
Le richieste sul granito
Alla richiesta principale di sciogliere il parlamento e indire nuove elezioni su base multipartitica nella Repubblica Socialista Sovietica d’Ucraina – in seguito a quelle contestate del marzo 1990, che determinarono la vincita di due terzi dei seggi da parte dei comunisti – se ne aggiunsero altre: la nazionalizzazione dei beni di proprietà del Partito Comunista dell’Ucraina e del Komsomol; la limitazione del servizio di leva obbligatorio al solo territorio nazionale dell’Ucraina; le dimissioni dell’allora primo ministro Vitaliy Masol; infine, la non-firma del nuovo Trattato dell’Unione Sovietica.
Le rivendicazioni degli studenti della Rivoluzione sul Granito si inserirono quindi in quel processo d’opposizione catalizzatore della libertà che accelerò indubbiamente la disintegrazione del PCUS e del Komsomol, tanto che in molti si disiscrissero dal partito: durante lo sciopero della fame, lo scrittore ucraino Oles Hončar bruciò simbolicamente la sua tessera del partito proprio in piazza, tra i manifestanti.
In 16 giorni, la protesta pacifica riuscì a produrre ottimi risultati senza bisogno di alcun intervento violento delle forze dell’ordine: lo sciopero si concluse il 17 ottobre con la firma di una risoluzione della Verchovna Rada che garantiva il rispetto della quasi totalità delle richieste dei manifestanti. Il 18 ottobre 1990, i leader della protesta Oles Doniy e Markijan Ivaščyšyn annunciarono in televisione la fine dello sciopero della fame, la liberazione degli edifici universitari occupati e lo smantellamento delle tendopoli: la Rivoluzione del Granito era ufficialmente finita e il popolo ne era uscito (quasi) vincitore.
Lo scioglimento della Verchovna Rada, infatti, non si concretizzò: nuove elezioni avvennero solamente nel 1994 e furono le prime elezioni parlamentari dell’Ucraina indipendente. Tuttavia, il Trattato sul nuovo assetto dell’Unione Sovietica non verrà mai siglato; anzi, il 24 agosto del 1991 il parlamento ucraino, guidato da Leonid Kravčuk, approvò la Dichiarazione d’indipendenza dell’Ucraina.
Una piazza simbolo di rivoluzioni
La Rivoluzione sul granito prende il nome dal monumento di granito intitolato alla Grande Rivoluzione Socialista d’Ottobre eretto negli anni Settanta proprio al centro di Piazza Rivoluzione d’Ottobre, ovvero l’attuale piazza dell’Indipendenza della capitale (più nota oggi come piazza Maidan): il monumento sovietico era infatti composto da un pilone di granito con la figura di Vladimir Lenin in evidenza scolpita in una tonalità di rosso; abbattuto nel settembre 1991 nel contesto della decomunizzazione, ora al suo posto spunta una delle cupole del centro commerciale sotterraneo Globus.
Quella che passò alla Storia come la Rivoluzione sul granito fu il primo vero Maidan ucraino, che si svolse in quella piazza che diventerà il luogo della Rivoluzione per antonomasia. Un evento che rappresenta ancora oggi l’incarnazione della protesta popolare in tarda epoca sovietica e che ispirò le rivoluzioni successive che ebbero inizio tutte in quella stessa piazza: la rivoluzione arancione del 2004 e quella della dignità (nota come Euromaidan) del 2014.
Addirittura, la piccola protesta in solitaria dell’attivista Yaryna Čornohuz del 2020, La primavera sul granito, che si svolse davanti ai piloni di granito che troneggiano davanti all’ufficio del presidente ucraino, è un omaggio diretto alla Rivoluzione sul granito.
Quel passato che segna il futuro
La Rivoluzione sul granito fu probabilmente uno dei punti culminanti dello sviluppo politico in Ucraina. Questo attivismo nato dal basso, che risvegliò culturalmente e politicamente il paese, sorse principalmente nella cerchia del movimento studentesco e delle diverse associazioni civiche e culturali che nacquero nel contesto della perestrojka. In quegli anni, infatti, furono le cosiddette associazioni giovanili informali (neformal’nye ob’jedinenija molodeži), ovvero quelle comunità non ufficiali e amatoriali di giovani non appartenenti al Partito che stavano germogliando in tutta l’Unione Sovietica, a giocare un ruolo chiave nella transizione delle varie repubbliche: influenzate da tendenze della controcultura clandestina, le loro attività ruotavano attorno a varie questioni, dalle preoccupazioni ambientali alla commemorazione storica, allo sport, sino a comprendere la lotta per il riconoscimento di alcuni diritti fondamentali individuali, da sempre soppressi dal regime sovietico.
Questa protesta, in particolare, diventò una delle pagine più luminose della lotta per l’indipendenza tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90; una sorta di performance inattesa e innovativa che diede vita a una nuova generazione di leader politici che continuano a ispirare, formare e guidare le generazioni successive di mobilitazione di massa in Ucraina. La Rivoluzione sul granito composta da studenti ventenni, in un certo qual modo, spaventò le generazioni più anziane, tanto che nelle elezioni alla Verchovna Rada del 1994 venne introdotta una legge secondo la quale era vietato a un cittadino di età inferiore ai 24 di concorrere come deputato parlamentare.
Nonostante tutto, né storici e politologi, né i manifestanti che vi parteciparono, considerano la Rivoluzione sul granito come l’unico e decisivo fattore che portò all’indipendenza dell’Ucraina: tutti ne ribadiscono l’importanza come simbolo di una protesta civile non violenta che spinse nella buona direzione quel “vento del cambiamento”.
Foto: kobzartv