UCK
Lo stemma dell'Esercito di liberazione del Kosovo

KOSOVO: Accuse ai leader dell’UCK, a che punto è il processo?

È passato un anno da uno dei momenti di svolta recenti della politica kosovara. Il 4 e 5 novembre del 2020 venivano rinviati a giudizio e arrestati alcuni degli ex leader dell’UCK, l’Esercito di Liberazione del Kosovo, la guerriglia che combatté contro le forze serbe nella guerra del 1998-99.

Gli imputati 

Tra gli ex comandanti dell’UCK più in vista, ora imputati per i presunti crimini commessi durante e dopo la guerra, ci sono l’allora presidente della Repubblica, Hashim Thaçi, detto “il serpente” e il leader del Partito Democratico del Kosovo e presidente del parlamento, Kadri Veseli. Insieme a loro in carcere all’Aja si trovano anche gli ex parlamentari Rexhep Selimi e Jakup Krasniqi, altro ex presidente del parlamento, insieme al meno noto Salih Mustafa, arrestato qualche mese prima, nel settembre 2020.

Sono tutti  imputati di crimini di guerra e crimini contro l’umanità davanti alle Kosovo Specialist Chambers, un tribunale con giudici internazionali e con sede in Olanda ma parte del sistema giudiziario kosovaro, istituito nel 2015 dal parlamento di Pristina per perseguire i presunti crimini commessi dall’UCK contro civili albanesi, rom e serbi, sulla base delle accuse raccolte in un report del 2011 del Consiglio d’Europa (rapporto Marty, dal nome del suo relatore). Gli imputati si sono detti estranei a tutte le accuse.

Non per crimini di guerra ma per avere pubblicato documenti protetti sono imputati all’Aja anche Hysni Gucati e Nasim Haradinaj, il capo e il vice dell’organizzazione dei vetarani dell’UCK, arrestati nel settembre del 2020.

I processi

Il primo processo per i presunti crimini commessi durante la guerra del Kosovo si è aperto il 15 settembre scorso a carico di Mustafa. L’ex comandante di una sezione dell’UCK operante nella zona nord-orientale del Kosovo, che oggi ha 49 anni, è accusato di omicidio, tortura, trattamento crudele e detenzione arbitraria presumibilmente commessi nell’aprile 1999 contro i prigionieri detenuti nel villaggio di Zllash, a est della capitale Pristina.

Secondo l’accusa, Mustafa e i suoi uomini hanno “brutalizzato e torturato” compagni di etnia albanese che accusavano di collaborare con i serbi. Mustafa durante la prima udienza si è detto innocente e ha paragonato il tribunale a un “ufficio della Gestapo”.

Thaçi e gli altri tre coimputati sono invece accusati di una serie di crimini di guerra e crimini contro l’umanità tra cui detenzioni illegali, torture, omicidi, sparizioni forzate e persecuzioni almeno dal marzo 1998 al settembre 1999, ma il loro processo non è ancora iniziato. L’accusa sostiene che facessero parte di una “impresa criminale congiunta” che mirava a prendere il controllo del Kosovo con “intimidazioni illegali, maltrattamenti, atti di violenza” e sbarazzandosi “di coloro che erano ritenuti oppositori”.

La maggior parte dei crimini, secondo l’accusa sarebbero stati commessi nei centri di detenzione dell’UCK in Kosovo e Albania. Qui secondo l’accusa, questo gruppo sarebbe responsabile delluccisione di kosovari di etnia albanese, serba, rom e altre, negli anni della guerra in Kosovo e nei mesi successivi.

Thaçi resta in carcere

Mentre il processo a Thaçi e soci deve ancora iniziare e non è dato sapere quando finirà, le difese dgli imputati stanno tentando di ottenere il loro rilascio dopo un anno di detenzione. Il giudice Nicolas Guillou si è convinto a chiedere alla polizia del Kosovo se è in grado di offrire garanzie per il loro rilascio.

Nonostante questo la settimana scorsa la corte dell’Aja ha respinto la richiesta dell’ex presidente Thaçi di una liberazione condizionale, perché ci sarebbe ancora il rischio che possa fuggire ed esercitare la sua influenza in Kosovo. Per gli altri, una risposta è attesa nelle prossime settimane.

Lo stesso Guillou in precedenza aveva sostenuto che Thaçi potesse fuggire, ostacolare lo svolgimento del procedimento o commettere ulteriori crimini anche contro potenziali testimoni. Un altro giudice ora ha ritenuto che sia ragionevole pensare che Thaçi abbia “continuato ad esercitare un certo grado di influenza sui suoi ex subordinati nonostante le sue recenti dimissioni da presidente del Kosovo”. L’ex presidente resterà quindi in carcere in attesa del processo.

Gli effetti in Kosovo

Il tribunale speciale non avrà però vita facile, dal momento che gode di poca fiducia da parte kosovara. Gli albanesi del Kosovo lo vedono come un insulto alla guerra dell’UCK per la liberazione dal dominio serbo e dall’oppressione imposta da Belgrado negli anni ’90. A inizio settembre la presidente delle Specialist Chambers, la giudice Ekaterina Trendafilova, è stata infatti contestata a Pristina da un gruppo di giovani che hanno interrotto una sua conferenza accusandola di guidare una corte anti-albanese. Le camere penali, di fatto, sono istituite sotto la pressione degli alleati occidentali del Kosovo, che temevano che il sistema giudiziario del Paese non fosse abbastanza solido per processare i casi dell’UCK e proteggere i testimoni dalle interferenze. Tuttavia è giusto segnalare che a seguito degli arresti, non si sono verificate manifestazioni in Kosovo a sostegno degli ex leader o contro l’azione della corte, a testimonare un clima non esasperato.

A un anno dell’incarcerazione degli ex comandanti dell’UCK, il Kosovo ha vissuto un terremoto politico. Vjosa Osmani, storica rivale di Thaçi, dopo le dimissioni dell’ex presidente ha preso il suo incarico ad interim. La vittoria di Vetevendosje nelle elezioni di febbraio ha permesso poi ad Albin Kurti di ritornare al governo e a Osmani di essere confermata presidente della Repubblica. Il voto ha dato un’indicazione ancora più importante: mentre i leader dell’UCK sono in carcere in Olanda, la loro influenza sulla politica kosovara è scemata. I partiti figli della guerra hanno infatti segnato una netta battuta d’arresto, segno della voglia dei kosovari di voltare pagina.

Foto: Wikimedia Commons

Chi è Tommaso Meo

Giornalista freelance, si occupa soprattutto di Balcani, migranti e ambiente. Ha scritto per il manifesto, The Submarine e La Via Libera, tra gli altri. Collabora con East Journal dal 2019.

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