Da Sofia – Il prossimo 14 novembre si svolgerà una nuova, doppia tornata elettorale in Bulgaria. I cittadini sono chiamati per la terza volta in un anno alle urne per designare la formazione del nuovo parlamento dopo i risultati fallimentari di aprile e luglio scorso, e stavolta anche per rinnovare la carica presidenziale. Attualmente il paese balcanico si trova sotto la guida di un governo tecnico, nominato dal presidente uscente Rumen Radev, nonché nel pieno della quarta ondata di contagi da Covid-19, la peggiore dall’inizio della pandemia.
Il paese dei no-vax
Con una media che a fine ottobre ha superato i 4000 casi e 100 vittime al giorno per una popolazione di circa 7 milioni di abitanti, di cui i vaccinati sono poco più del 20%, la nazione è fanalino di coda dell’Unione europea per numero di immunizzati e attualmente detiene il record negativo per tasso di mortalità. Queste cifre tuttavia non sembrano scalfire minimamente la dura corazza di diffidenza e scetticismo che la maggioranza della popolazione bulgara si è costruita nei confronti dei vaccini e del virus. Lo stesso premier uscente Boyko Borisov non ha esitato a dichiarare pubblicamente che le dosi inoculate in Bulgaria provengono da lotti scaduti, pur di attaccare Radev.
Dal 25 ottobre il ministero della salute ha introdotto l’obbligo di esibire la certificazione verde per accedere a quasi tutte le attività al chiuso, compresi i centri commerciali. Supermercati e banche tra le poche eccezioni. La decisione del ministro Stojčo Katsarov ha scatenato non poche polemiche e diverse proteste, ma ha anche visto aumentare il numero di vaccinati di svariate migliaia di unità. La delicata situazione sanitaria complica la già difficoltosa campagna elettorale, poiché nessuna delle forze politiche in lizza vuole correre il rischio di prendere posizioni impopolari.
I candidati alla presidenza
Nonostante l’ondata di malcontento sollevata dalle ultime delibere del governo da lui costituito, Radev rimane in testa agli ultimi sondaggi, con il 51,2% degli intervistati favorevole al rinnovo del mandato. Il generale aviatore, candidato indipendente, è sostenuto dal partito socialista (BSP), dal movimento dello showman Slavi Trifonov “C’è un popolo così” (ITN), dalla lista civica di Maja Manolova “Rialzati, Bulgaria!” (IMV) e dalla neonata formazione “Continuiamo il Cambiamento” (Prodălžavame promjanata, PP) costituita il 19 settembre scorso da due ex ministri dell’esecutivo corrente – Kiril Petkov (economia) e Asen Vasiliev (finanze).
Al secondo posto c’è Anastas Gerdžikov, rettore dell’Università di Sofia “San Clemente d’Ocrida”, con il 22,5%. Pur non essendo affiliato a nessun partito, ha prontamente ricevuto l’appoggio del GERB di Borisov, smentendo le voci che prefiguravano la corsa alla presidenza dell’ex primo ministro e le affermazioni dello stesso circa la presentazione del proprio candidato all’ultimo minuto. Avulso dallo status quo politico che è stato il bersaglio delle proteste dell’estate 2020, Gerdžikov sembra il candidato ideale di GERB; oltretutto non incorrerebbe in alcuna ripercussione sulla propria carriera in caso di sconfitta.
Al terzo posto figura il leader del partito della minoranza turca, il “Movimento dei Diritti e delle Libertà” (DPS), Mustafa Karadayı, con il 7,9%. Tra i deputati del DPS spicca il controverso oligarca Deljan Peevski, magnate dei media recentemente colpito da pesanti sanzioni statunitensi in virtù della “legge Magnitsky”, lo strumento legislativo che autorizza il governo statunitense a sequestrare i beni e bandire l’ingresso negli Stati Uniti a responsabili di violazioni dei diritti umani e corruzione. In quarta posizione si colloca il candidato sostenuto dalla coalizione guidata da Hristo Ivanov “Bulgaria Democratica” (DB), il presidente della corte suprema di cassazione Lozan Panov, al 6,2%. A seguire un’altra ventina di nomi di aspiranti presidenti.
Instabilità recidiva
Per quanto riguarda le elezioni parlamentari, i sondaggi danno il GERB di nuovo in testa (23%), seguito dai socialisti del BSP (16%). Altri partiti, come la neoformazione di Petkov e Vasiliev PP, il movimento di Trifonov, “Bulgaria Democratica” e il partito della minoranza turca, si aggirano tra il 10 e il 14% – tutti in lizza, dunque, per partecipare a coalizioni di governo post-voto. Anche stavolta pare non ci sia spazio per le fazioni nazionaliste di accedere all‘assemblea nazionale bulgara, né tantomeno alla carica presidenziale.
Nel frattempo, sabato 30 novembre la sede della prima associazione LGBTI bulgara Rainbow hub è stata vandalizzata da un’incursione estremamente violenta, guidata dal candidato presidente del partito di estrema destra “Edelweiss”, Bojan Rasate. Finora solo quattro forze politiche hanno apertamente denunciato l’efferato e ingiustificato attacco omofobo: PP, “Sì, Bulgaria” e il “Movimento verde” che fanno parte della coalizione “Bulgaria Democratica” e il GERB.
Dalla fine del mandato di Borisov la Bulgaria si trova in una situazione di stallo e incertezza che sembra non avere fine. Come sostenuto dallo stesso Ivanov in un’intervista rilasciata per East Journal ormai più di un anno fa, le molteplici e contraddittorie forme di opposizione emerse dalla lunga ondata di proteste del 2020 non sono ancora in grado di governare né di ricucire il divario tra cittadini e politica, esasperato dal nepotismo pervasivo che per un decennio ha tenuto in pugno lo stato balcanico.
Foto: Giorgia Spadoni/East Journal