C’è un candidato, a Budapest. Si chiama Péter Márki-Zay, ha 49 anni, un passato da manager e un presente da sindaco di Hódmezővásárhely, piccola città di confine. E dai margini della politica ungherese, Péter Márki-Zay, si trova oggi al centro della scena nazionale, leader di Ellenzéki összefogás, vale a dire dell’Opposizione Unita contro Viktor Orbán.
Opposizione Unita dall’anti-orbanismo
Opposizione Unita raccoglie una variegata congerie di partiti, dall’estrema destra al partito socialista, dai democratici dell’ex premier Gyurcsány ai movimentisti liberal di Momentum, dai verdi all’estrema sinistra. Partiti che poco o nulla hanno da spartire, uniti solo dalla volontà di abbattere il despota, come lo chiamano, quel Viktor Orbán che da più di un decennio domina il paese con piglio padronale e autoritario.
Dopo aver vinto le primarie, Péter Márki-Zay dovrà guidare l’Opposizione Unita fino alle elezioni parlamentari previste per la primavera del 2022. Un compito tutt’altro che facile. I sondaggi danno Fidesz, il partito di Orban, nettamente in vantaggio rispetto all’opposizione. D’altro canto la propaganda filogovernativa è già sul piede di guerra Altri sostenitori di Orbán non hanno perso tempo a definire Márki-Zay come una marionetta di George Soros, l’odiato magnate contro cui il governo ha avviato una vera e propria caccia alle streghe.
Segnali positivi
Non mancano però segnali positivi. Nel 2019 un’alleanza di partiti dell’opposizione ha strappato Budapest e altre grandi città al controllo di Fidesz. A mettere insieme quell’alleanza è stato Gergely Karácsony, poi eletto sindaco della capitale. Il successo del 2019 è alla base del progetto di Opposizione Unita che lo stesso Karácsony ha contribuito largamente a mettere insieme, sulla scorta di un crescente consenso nel paese.
Da chi è composta l’opposizione
Vincere in alcune elezioni locali è tuttavia diverso che candidarsi a guidare il paese. L’opposizione ungherese, tradizionalmente frammentata e dilaniata da scissioni, purghe e scandali, è sempre parsa incapace, immatura o corrotta. Il partito socialista, al governo prima di Orban, è collassato a causa di inchieste e torbidi che ne hanno irrimediabilmente minato la credibilità, tanto da collezionare appena l’11% dei consensi alle ultime elezioni.
Gyurcsány, oggi leader dei democratici, è stato capo del partito socialista e primo ministro fino al 2009, quando ha dovuto dimettersi a causa della diffusione di un audio – il famigerato “discorso d’autunno” – in cui lo si sentiva ammettere di aver mentito agli elettori. L’audio, probabilmente diffuso da ambienti del suo stesso partito, ha minato la credibilità di Gyurcsány che, malgrado tutto, non ha perso la sua capacità di influenzare la politica nazionale ed è percepito da molti come il deus ex machina dell’intera opposizione. L’opportunistica alleanza di Gyurcsány con il partito di estrema destra Jobbik la dice lunga sul personaggio. Jobbik è un movimento ultranazionalista, anti-europeista, che propugna l’edificazione di una società etnicamente pura, cattolica e magiara, benché recentemente approdato a posizioni apparentemente più moderate.
Contro la paura
È tuttavia questa l’Opposizione Unita che Péter Márki-Zay deve guidare alle elezioni e, soprattutto, su cui dovrà costruire una maggioranza in caso di vittoria. Un’opposizione che unisce vecchio e nuovo, movimenti civici e oligarchie politiche, spinte conservatrici e afflati libertari, europeismo e nazionalismo, e che rappresenta – in fondo – la transizione della società ungherese, il cambio generazionale, in un paese che si affaccia al futuro e ne è spaventato. Lo sarà abbastanza da scegliere ancora Viktor Orban? La sfida di Péter Márki-Zay è tutta qui.
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