KAZAKHSTAN: Sarà il vento di Aktau a spingere le pale della più grande centrale al mondo per l’idrogeno verde

È di pochi giorni fa il suggello sull’accordo tra la multinazionale privata Svevind Energy e il governo kazako per lo sviluppo e la realizzazione del più grande impianto al mondo per la produzione di idrogeno. La firma sull’intesa (di intenti) è stata posta dal viceministro degli Esteri kazako, Almas Aidirov, e i vertici del gruppo tedesco e prevede che l’impianto sia completamente alimentato da energia eolica per complessivi 30GW cui, in una seconda fase, si dovrebbero aggiungere ulteriori 15GW prodotti con il fotovoltaico. L’energia prodotta in questo secondo step dovrebbe essere immessa nella normale rete di distribuzione, una quantità enorme se si pensa che equivale grossomodo alla produzione di elettricità attualmente installata nel paese.

L’hub kazako, il più grande del mondo

Un progetto ambiziosissimo che, secondo i piani, dovrebbe svilupparsi gradualmente entro il 2031, allorquando l’impianto sarà in grado di produrre circa 2 milioni di tonnellate di idrogeno e ben 11 milioni di ammoniaca all’anno – generati dall’elettrolisi dell’acqua senza immissione di gas serra e avendo come unico sottoprodotto l’ossigeno.

Cifre che renderebbero l’hub kazako, la cui costruzione è prevista nella regione occidentale del Mangystau, quasi due volte più potente dell’Asia Renewable Energy Hub attualmente in fase di progettazione a Pilbara, nell’Australia occidentale, fermo a “soli” 26GW, e più che doppia rispetto alla più importante centrale elettrica attiva al mondo, quella delle Diga delle Tre Gole in Cina, 22GW. Già moltissimi i potenziali acquirenti, Cina ed Europa in primis, forti del fatto che l’idrogeno può essere trasportato facilmente anche utilizzando i gasdotti esistenti, fatto salvo un loro adeguamento tecnico.

La svolta verde: tra potenzialità e contraddizioni

È un quadro contraddittorio quello del Kazakhstan per ciò che attiene le politiche ambientali. Se, da una parte, il Ministero dell’Ecologia, della Geologia e delle Risorse Naturali ha ribadito – il 19 ottobre scorso – l’intenzione di piantare 2 miliardi di alberi entro il 2025, dall’altra il paese risulta ad oggi indissolubilmente legato alla produzione di energia da combustibili fossili, relegando quella da fonti rinnovabili ad un misero 3% sul totale. Cosa che per il momento sembrerebbe allontanare il paese dalla possibilità di rispettare i propri impegni nell’ambito degli accordi di Parigi così come l’obiettivo di arrivare, entro il 2030 e il 2050, a generare, rispettivamente, il 30% e il 50% del proprio fabbisogno energetico da risorse rinnovabili. D’altronde, già nel 2017, la Banca Mondiale aveva avanzato molte perplessità enunciandole in un rapporto significativamente intitolato “Stuck in Transition” (“bloccato nella transizione”) dedicato alla transizione energetica del paese.

Una rinnovata volontà politica

Ma qualcosa è cambiato nel paese, a partire dal diverso peso che il nuovo presidente della Repubblica, Jomart Tokayev, sembra dare alla questione. Sembrano lontani i tempi in cui il suo predecessore, Nursultan Nazarbayev, dichiarava pubblicamente – persino durante l’Expo tenutosi ad Astana/Nur-Sultan nel 2017 e dedicato proprio al passaggio alle energie pulite – tutto il suo scetticismo circa la possibilità che le fonti energetiche rinnovabili potessero davvero rappresentare un’alternativa praticabile alle fonti fossili. Una presa di posizione per nulla sorprendente considerando l’enorme impulso che la sua presidenza ha dato all’industria dell’Oil and Gas in Kazakhstan, con la presenza di tutte le principali multinazionali del settore.

Tokayev sembra, al contrario, voler riprendere il filo del discorso conscio del fatto che le potenzialità del paese in termini di produzione di energia da fonte rinnovabili sono enormi, dall’eolico – naturalmente – al solare: basti pensare che il Kazakhstan detiene, da solo, l’85% del potenziale solare dell’intera Asia centrale.

Ed è probabilmente in considerazione di ciò che Tokayev ha voluto porre al 10% (entro il 2030) l’asticella che indica la generazione di energia pulita dichiarando, anche, la volontà di perseguire l’obiettivo di paese “climaticamente neutrale” entro il 2060. Obiettivo per raggiungere il quale il Kazakshan si sta rivolgendo ai player internazionali di sempre, ENI e Total ad esempio – questa volta visti come partner ideali per lo sviluppo di parchi eolici e solari. Avvalendosi, in ciò, anche del supporto della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS) che ha annunciato di voler finanziare un impianto solare nell’area di Karaganda nell’ambito del progetto quadro “Kazakhstan Renewables Framework” da 500 milioni di dollari.

Un piano “verde” a tutto tondo

Sono enormi le potenzialità e, perlomeno negli intenti, sono dunque rinnovate anche le ambizioni. Il presidente ha recentemente lanciato il suo progetto di sviluppo nazionale Green Kazakhstan che raggruppa le problematiche di natura ambientale nel senso più ampio del termine: c’è spazio per l’intendimento di ridurre lo spreco d’acqua e quello per la salvaguardia del Lago d’Aral dal rischio di totale prosciugamento; ma si fa riferimento, anche, all’esigenza di implementare la gestione della raccolta differenziata dei rifiuti solidi raddoppiandola dall’attuale 18% al 34%. Ma accanto a tutto ciò c’è anche il ribadito impegno a ridurre le emissioni dei gas-serra, a partire da quelle prodotte dalle principali imprese industriali del paese che dovranno raggiungere la soglia di decremento di almeno il 20% nei prossimi cinque anni rispetto ai livelli attuali.

In tutto questo è bello pensare che sarà il vento del Mangystau a spingere le pale di un impianto così importante. Il vento del Mangystau che tutto sa, che tutto trasporta. E che chiude i cerchi.

(Foto: Pietro Aleotti/East Journal)

Chi è Pietro Aleotti

Milanese per caso, errabondo per natura, è attualmente basato in Kazakhstan. Svariati articoli su temi ambientali, pubblicati in tutto il mondo. Collabora con East Journal da Ottobre 2018 per la redazione Balcani ma di Balcani ha scritto anche per Limes, l’Espresso e Left. E’ anche autore per il teatro: il suo monologo “Bosnia e il rinoceronte di pezza” ha vinto il premio l’Edizione 2018 ed è arrivato secondo alla XVI edizione del Premio Letterario Internazionale Lago Gerundo. Nel 2019 il suo racconto "La colazione di Alima" è stato finalista e menzione speciale al "Premio Internazionale Quasimodo". Nel 2021 il racconto "Resta, Alima - il racconto di un anno" è stato menzione di merito al Premio Internazionale Michelangelo Buonarroti.

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