Da Kiev – Sono già le 9 del mattino e fuori ci sono appena 5 gradi sopra lo zero. Anche oggi – come da due settimane a questa parte – l’acqua è fredda, anzi gelida; dal rubinetto dell’acqua calda non esce nemmeno una goccia. I riscaldamenti condominiali non sono ancora in funzione, nonostante la metà di ottobre sia già passata e sia ormai autunno inoltrato. Ma d’altronde, in Ucraina, vige una nuova norma: i caloriferi vengono accesi se la temperatura media giornaliera dell’aria nella regione per tre giorni consecutivi non supera gli 8°C. L’unica cosa che pare funzionare a dovere è l’elettricità. Ma per quanto ancora?
È così che molti cittadini ucraini, in periferia come nella stessa capitale, stanno affrontando il calo di temperature e il cambio di stagione. E stavolta la colpa non può essere data alle infrastrutture obsolete, in costante manutenzione per lunghi periodi. Il problema è ben più grave e la situazione in Ucraina è la più critica di tutta Europa.
La crisi energetica è alle porte
Durante i 30 anni di indipendenza, gli ucraini hanno assistito a più di una crisi energetica. Le ragioni erano ogni volta diverse, ma le conseguenze erano quasi sempre le stesse: interi distretti senza acqua, luce o gas, completamente tagliati fuori dal mondo per giorni o settimane. Alcuni ricordano come, all’inizio degli anni ’90, il distretto di Pečersk in centro a Kiev è rimasto senza elettricità per un po’ di tempo, creando non pochi disagi al principale ospedale militare che vi si trova.
Oggi nessuno permetterà il blackout totale della capitale (o almeno si spera di poterlo evitare), ma la situazione è grave: martedì 12 ottobre, il ministero dell’Energia ha organizzato una tavola rotonda per discutere della necessità di dare priorità alla fornitura di carbone alle unità della centrale elettrica di Trypil’s’ka Tes, la più potente della regione di Kiev. Al fine di soddisfare i bisogni energetici della popolazione, secondo il programma di accumulo del combustibile del ministero dell’Energia e dell’Industria del carbone, il 12 agosto avrebbero dovuto esserci oltre 2,5 milioni di tonnellate di carbone nei magazzini, ma le riserve effettive sono attualmente inferiori alle 800mila tonnellate. Ciò significa che le principali società di riscaldamento – due gestite da oligarchi, tra cui Rinat Achmetov, e Centrenergo di proprietà statale – sono in ritardo di quasi quattro volte rispetto al piano previsto per l’accumulo di carbone per il periodo autunno-inverno.
Due opzioni sono state prese in considerazione dal ministero dell’Energia: la messa in funzione di 14 delle 15 centrali nucleari nel paese e la ripresa delle importazioni di elettricità dalla Russia e dalla Bielorussia, il cui divieto scade proprio il 1° novembre 2021. Tuttavia, entrambi i vicini potrebbero rifiutarsi di ricominciare a vendere elettricità all’Ucraina per motivi politici.
Difficile, quindi, prevedere come sarà la stagione del riscaldamento; tutto dipende da molti fattori: condizioni meteorologiche, dinamiche di accumulo del carbone, imprevisti nelle centrali termiche e nucleari e (non)fornitura di materie prime. Nonché, ovviamente, l’aumento generale dei prezzi del gas. Quel gas che, molto probabilmente, non sarà la Russia a fornire.
Un vicino generoso: la Slovacchia
Mentre le autorità ucraine non sono riuscite a creare riserve di carbone per il prossimo inverno, il paese rischia seriamente di essere tagliato fuori dalle forniture di gas russo, il che potrebbe portare a un’ulteriore crisi energetica.
Martedì scorso, a riguardo, sono intervenuti i leader dell’UE, i quali hanno promesso maggiore sostegno a Kiev durante un vertice congiunto con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Le preoccupazioni sull’energia, infatti, hanno scatenato una lite bilaterale tra Ucraina e Ungheria il mese scorso, dopo che Budapest ha firmato un nuovo accordo energetico a lungo termine con la Russia che, conseguentemente, esclude l’Ucraina come paese di transito. L’accordo mette anche in discussione la capacità dell’Ucraina di prendere flussi inversi di gas russo dall’Ungheria. L’Ucraina vuole che l’UE indaghi su tale accordo, sostenendo che potrebbe violare le regole energetiche dell’UE, e ribadisce come Europa e Stati Uniti dovrebbero una volta per tutte bloccare il lancio del gasdotto Nord Stream 2.
La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha tuttavia rassicurato Kiev affermando che i flussi inversi di gas naturale potrebbero provenire dalla Slovacchia, che avrebbe quantità inutilizzate e sarebbe “pronta a far parte di questa soluzione europea”, come dichiara il primo ministro slovacco Eduard Heger, il quale si recherà il prossimo 12 novembre a Užhhorod per approfondire ulteriormente la cooperazione energetica transfrontaliera.
Nel limbo ucraino
L’Ucraina di oggi sembra persa come non mai. Lo scompiglio causato dalla crisi del settore energetico si scontra a capofitto con la pessima gestione della politica interna ed estera, che sembra infossata in problemi che si trascina dietro da anni.
Un recente rapporto della Corte dei conti europea sulla corruzione in Ucraina dimostra come tra il 2016 e il 2020 i tre principali ostacoli alla crescita economica del paese erano gli stessi del movimento pre-Maidan, quando le persone protestavano a favore di una spinta verso l’integrazione europea. La percezione era che la corruzione, la mancanza di fiducia nei tribunali e i monopoli di mercato in mano sempre agli stessi oligarchi fossero i principali ostacoli alla modernizzazione dell’Ucraina. A più di sette anni dalla Rivoluzione della Dignità, le cose sembrano rimaste tali. A quando la svolta?
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