Le parole sono importanti, si sa. L’importanza della lingua e delle modalità con cui essa si traduce, nero su bianco, sono un elemento identitario imprescindibile per qualunque popolo.
In questo senso la decisione con cui, esattamente quattro anni fa – era l’ottobre del 2017 – l’allora presidente della Repubblica del Kazakhstan, Nursultan Nazarbayev, formalizzò l’intenzione di sostituire l’alfabeto cirillico con quello latino aveva un che di storico. Una decisione dettata da ragioni essenzialmente economico-politiche e dalla necessità di integrare il paese nel contesto del mercato globale, guardando soprattutto ad occidente, Turchia in primis.
Benché in concomitanza con la presentazione del piano, Nazarbayev avesse negato l’intenzione di allontanarsi dal russo – che peraltro resta lingua ufficiale del paese, al pari del kazako – l’intera operazione è stata immediatamente interpretata come il tentativo di emanciparsi sempre di più dalla sfera di influenza di Mosca. E forse, più o meno inconsciamente, dal desiderio di liberarsi da ciò che, in definitiva, rappresenta un’eredità coloniale del passato sovietico: il cirillico. Una forte valenza non solo pratica, dunque, ma anche simbolica.
Alfabeto e kazako, una storia travagliata
Una decisione, peraltro, che suggella quanto già paventato dallo stesso Nazarbayev nel 2012, allorquando aveva inserito questo proponimento nell’ambito del cosiddetto “piano Kazakhstan 2050”, salvo poi ribadirla nell’aprile scorso con la pubblicazione di una dichiarazione programmatica intitolata “Uno sguardo al futuro, ovvero la modernizzazione della coscienza sociale”.
Una storia travagliata quella dell’alfabeto kazako che ha cambiato connotazione per ben tre volte nell’ultimo secolo, transitando dai caratteri arabi a quelli latini – introdotti nel 1929 dalle autorità sovietiche con lo scopo di tagliare il cordone ombelicale che legava gli abitanti turcofoni dell’Asia Centrale alla Turchia – per poi approdare al cirillico. Passaggio, quest’ultimo, avvenuto nel 1940 per volontà del governo sovietico nell’ambito della campagna di russificazione teorizzata da Stalin.
I rischi della transizione
Il previsto ritorno all’alfabeto latino non è però esente da problemi – inclusa la ritrosia di gran parte della popolazione – e da rischi, alcuni molto seri.
I problemi sono prevalentemente di ordine concreto, come la difficoltà stessa di rappresentare i suoni della lingua kazaka nel nuovo alfabeto o, ancora, il pericolo di travolgere la lingua con un’ondata di anglicismi e di espressioni estranee alla cultura kazaka, passando, anche, per la difficoltà oggettiva di preparare il corpo docente ai nuovi programmi scolastici.
Ma se i problemi hanno perlopiù una connotazione pratica – per quanto non banale – i rischi sottesi al passaggio possono avere un impatto sociale ancor più profondo e radicale. Tra di essi quello di creare una frattura tra le generazioni nate e cresciute col cirillico – e che verosimilmente ad esso continueranno a riferirsi – e quelle successive. Da una parte le generazioni antecedenti, specie quelle più anziane, avranno sempre più difficoltà a leggere quanto di nuovo verrà pubblicato rimanendo, di fatto, isolati dalle fonti di informazione. Dall’altra le generazioni future non avranno la possibilità di accedere alle pubblicazioni esistenti in caratteri cirillici – riviste, libri, testi tecnici e scientifici – e pertanto avranno a disposizione un ventaglio molto più limitato di opere cui attingere, supponendo l’oggettiva difficoltà – pratica ed economica – di ristampare l’immensa mole testuale prodotta in epoca sovietica.
La presumibile conseguenza di tutto ciò è che, tanto le vecchie quanto le nuove generazioni, siano destinate a leggere sempre meno e, soprattutto, a leggere cose differenti l’un l’altra. In un paese, inoltre, in cui gran parte della popolazione si esprime quotidianamente in russo, l’ignoranza del cirillico genererà la disgiunzione tra la capacità di parlarlo e l’impossibilità, o la difficoltà, di leggerlo e scriverlo.
Ma alla frattura generazionale potrebbe anche aggiungersi quella etnica – prima tra tutte quella tra “russi” e kazaki – e, in ultima analisi, portare ad una crisi identitaria del paese. Un paradosso, pertanto: un’operazione nata proprio con l’intento di rafforzare l’identità nazionale, il senso di appartenenza, potrebbe al contrario approfondire il solco tra persone di diversa provenienza, in una società – quella kazaka – per sua natura fortemente multietnica.
Più dubbi che certezze
Secondo il programma la transizione dovrebbe completarsi entro il 2025, per un costo complessivo di 115 milioni di dollari, e per attuarla è stata messa in piedi una variegata task-force di filologi, linguisti e politici. Il percorso si presenta, tuttavia, pieno di ostacoli e incertezze: peraltro “la lezione” che arriva dai paesi confinanti che negli anni scorsi hanno intrapreso un processo analogo – specie quella dell’Uzbekistan – insegna che l’esito positivo e tutt’altro che scontato.
Sul Kazakhstan pesa, oltretutto, la considerazione che il russo è, ad oggi, la lingua più diffusa tra la gente comune, più ancora dello stesso kazako. L’introduzione dell’alfabeto latino potrebbe portare, viceversa, a un disinteresse per il kazako allontanando ulteriormente i kazaki dalla propria lingua.
(Foto New Day)