Giovedì 7 ottobre il cosiddetto Tribunale costituzionale ha concluso che la costituzione polacca ha il primato sul diritto UE, respingendo di fatto il fondamento giuridico su cui si basa l’Unione europea sin dal 1964. Si tratta dell’ultimo scontro tra Varsavia e Bruxelles – ma questa volta il governo polacco potrebbe aver fatto un passo più lungo della gamba.
In un caso lanciato in marzo dallo stesso premier polacco Mateusz Morawiecki contro la censura UE della politicizzazione della magistratura polacca, la corte ha affermato che quattro disposizioni chiave del Trattato UE si scontrano con la costituzione polacca, poiché consentirebbero all’Unione di agire “oltre i limiti delle competenze trasferite dalla Repubblica di Polonia nei trattati”. Si tratta dell’articolo 1, in cui gli stati membri concordano di istituire l’Unione, definita “una nuova tappa nel processo di creazione di un’unione sempre più stretta tra i popoli d’Europa”; l’articolo 2, in cui sono indicati i valori europei; l’articolo 4.3 che stabilisce il principio di leale cooperazione tra stati membri e UE; e l’articolo 19 che introduce la Corte di giustizia dell’UE per “assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei trattati”.
Una “Polexit” giuridica?
Il “tribunale costituzionale” è una istituzione dal 2015 catturata politicamente dal partito di governo in Polonia, il partito nazional-conservatore chiamato (non senza ironia) Diritto e Giustizia (PiS), che l’ha riempita di lealisti ed ex membri del partito. Tale situazione è stata stabilita in varie occasioni tanto dalla Corte di giustizia UE con sede al Lussemburgo quanto dalla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo (una istituzione del Consiglio d’Europa), che ne hanno negato il carattere di tribunale indipendente per via della nomina politica dei giudici praticata dal governo polacco (caso Xero Flor).
Come nota il giurista tedesco Max Steinbeis su Verfassungsblog, tale tribunale interpreta l’adesione della Polonia all’UE in modo che il diritto europeo possa essere vincolante solo entro i limiti della Costituzione polacca, come interptetata dallo stesso tribunale e quindi dal partito di governo PiS, in particolare per quanto riguarda l’indipendenza della magistratura.
Tuttavia, in questo modo la Polonia si mette in opposizione alla norma di base del diritto europeo: che questo prevale sul diritto interno degli stati membri, Costituzioni incluse. Una norma che è in vigore da oltre mezzo secolo, dalla sentenza Costa vs ENEL del 1964 (l’interessante caso di un cittadino veneto che si rifiutava per protesta di pagare le bollette – un sovranista d’antan). Una rottura con tale principio di base pone la Polonia di fatto al di fuori del sistema giuridico europeo, benché il governo del PiS si guardi bene dal seguire l’esempio britannico ed attivare la procedura Art.50, quella della brexit – una posizione condivisa anche dal giurista spagnolo Daniel Sarmiento. “Il governo polacco non ha alcun desiderio di portare la Polonia fuori dall’UE. Preferiscono danneggiare l’UE, ma dall’interno“, sintetizza Steinbeis.
Le sfide alla supremazia del diritto UE
Già in passato la Corte costituzionale tedesca si era confrontata con il primato del diritto europeo, in particolare per quanto riguarda l’operato della Banca centrale europea (BCE). “La Germania ha creato un pericoloso precedente”, ha affermato il professor Franklin Dehousse, ex giudice della Corte di giustizia europea. Ma se le sentenze tedesche si limitavano alla situazione della BCE, la decisione polacca è invece “sistemica” e “rifiuta chiaramente i valori alla base dell’UE”, secondo Piet Eeckhout, professore di diritto europeo presso l’University College London.
E il ritorno alla primazia del diritto nazionale potrebbe presto diventare uno dei cavalli di battaglia delle destre sovraniste in Europa. Lo si ritrova già nei programmi elettorali di Vox in Spagna, dell’ex Front National francese, della Lega e di vari partiti dell’ultradestra est-europea. Come ricorda Dehousse, persino l’ex negoziatore della Brexit dell’UE e aspirante alla presidenza francese, Michel Barnier, ha affermato che la Francia deve riconquistare la sua “sovranità legale per non essere più soggetta alle sentenze” delle corti di Lussemburgo e Strasburgo.
La reazione di Bruxelles e il futuro politico incerto del PiS
La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha dichiarato venerdì 7 ottobre di essere “profondamente preoccupata” per la sentenza e si è impegnata a “usare tutti i poteri” a sua disposizione per far rispettare il diritto europeo. Le opzioni a sua disposizione sono varie. In primis le procedure d’infrazione, come già lanciate l’anno scorso verso la Germania, con multe salatissime da parte della Corte di giustizia, che la Commissione potrà detrarre dai fondi UE. Ma la Commissione potrebbe anche decidere di sospendere direttamente l’erogazione dei fondi di coesione – un passo in questa direzione è stato fatto di recente con il blocco dei piani di ripresa (PNR) ungherese e polacco, dal valore di 57 miliardi di euro. Se Varsavia credeva di alzare la posta con questa sentenza sui negoziati con la Commissione, potrebbe presto rendersi conto di aver fatto il passo più lungo della gamba.
A 18 anni dal referendum del 2003 in cui il 74% dei polacchi votò a favore dell’adesione, e nonostante un decennio di governi euroscettici e nazional-conservatori, l’eurobarometro 2021 rileva come il 55% dei polacchi esprime fiducia nell’UE (+5%), contro il 28% e 26% nel governo e nel parlamento nazionale (-6%), e il 79% esprime ottimismo nel futuro dell’Unione (rispetto al 66% della media UE). E se mancano ancora due anni alle elezioni politiche di ottobre 2023, il PiS non può permettersi di dormire sonni tranquilli: già l’anno scorso il suo presidente Andrzej Duda ha rischiato di mancare la rielezione, e il ritorno alla politica nazionale dell’ex Presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk promette di rinvigorire l’opposizione e fare dell’Europa una questione politica dirimente, anche per quanto riguarda il ruolo dei fondi UE nell’economia del paese. Se il partito di governo dovesse andare allo scontro frontale con l’UE, non è affatto detto che ne uscirebbe politicamente vincitore.