di Carlo Iannaccone
Polonia-San Marino, andata in scena nel 1993, fu una partita davvero strana. La nazionale polacca era in piena corsa per la qualificazione mondiale e, nonostante avesse pescato dalle urne alcune avversarie molto temibili (Inghilterra, Olanda, Turchia e, su tutte, una sorprendente Norvegia), riteneva di possedere ogni requisito necessario per accedere alla fase finale della manifestazione, piazzandosi, se non al primo, al secondo posto del girone. Quanto a San Marino, l’unica preoccupazione degli undici ragazzi vestiti d’azzurro era quella di non sfigurare troppo a cospetto di una nazionale in piena forma, composta da tanti professionisti affermati, nonché da alcuni giovani interessanti, che avevano ben impressionato nelle prime uscite della manifestazione.
Una Polonia superfavorita
I bialo-czerwoni, infatti, avevano cominciato alla grande il proprio cammino di qualificazione. Si erano sbarazzati della Turchia per 1 a 0 ed erano riusciti a rincasare da Rotterdam con un punto molto prezioso. Inoltre, potevano contare sulle prestazioni di una generazione di calciatori molto promettente, pescata in larga parte dalla stessa selezione che, sotto la guida di Janus Wójcik, aveva inaspettatamente conquistato l’argento olimpico alle olimpiadi di Barcellona l’anno precedente.
Juskowiak (Sporting Lisbona) e Wałdoch (futuro sposo del Bochum), ad esempio, erano già ampiamente noti ai dirigenti sportivi di mezza Europa, mentre il più quotato Roman Kosecki (Osasuna) stava stupendo tutti in Spagna, dopo aver dispensato perle di grande calcio anche in Turchia.
Completavano, infine, la squadra, sopperendo alla sua parziale mancanza di esperienza, alcuni giocatori non più giovanissimi, tra i quali il veterano Jan Furtok, un attaccante di movimento estroso e veloce, nato nel 1962 in un sobborgo a sud di Katowice, ma ormai da qualche anno finito a giocare nell’Amburgo.
La palla è rotonda, tutto può succedere
La nazionale sammarinese, invece, era anche all’epoca composta da una gran quantità di volenterosi dilettanti. L’unica eccezione era costituita dal centrocampista del Bologna Massimo Bonini, ex campione d’Europa con la maglia della Juventus. San Marino, quindi, non pareva in grado di arrecare grattacapi alla formazione polacca. Quel che, però, sembrava impossibile sulla carta, divenne possibile nella realtà.
Nel riassunto dell’incontro, che ancora oggi si può facilmente reperire su YouTube, si nota subito, infatti, come le due squadre espressero un livello di gioco molto simile. È vero, gli attaccanti polacchi sprecarono molte buone opportunità per andare in rete, effettuando scelte di gioco profondamente sbagliate e cadendo nella trappola del fuorigioco più di una volta, ma gli azzurri, dal canto loro, non sfigurarono affatto. Anzi, bisogna proprio dirlo, la Polonia fu molto fortunata. Già nel primo tempo, infatti, San Marino avrebbe potuto mettere il naso avanti, e se non fosse stato per un rocambolesco salvataggio sulla linea, o per il piede oltremodo impreciso di Bacciocchi che, a tu per tu col portiere, si divorò una gigantesca occasione da gol, oggi celebreremmo ancora la più grande impresa portata a compimento dalla “Serenissima”.
Tutto è bene, ciò che finisce bene. O quasi…
Invece, di quella partita ci si ricorda sopratutto per un gesto: il provvidenziale tocco con il quale Jan Furtok spinse il pallone in rete, salvando l’onore dell’intero movimento calcistico polacco. Accadde tutto in pochi istanti, intorno al settantesimo minuto di gioco. Kosecki, lanciato in profondità da un compagno, raggiunse il pallone al limite dell’area di rigore, laddove quest’ultima si interseca con la linea di fondo; poi lo controllò con l’esterno del piede destro, per eludere l’intervento in scivolata di un difensore avversario; infine, si girò su se stesso, per mettere al centro dell’area piccola un insidioso traversone basso. All’altezza del primo palo, rapido come un treno, si fiondò Furtok. L’attaccante polacco fu così veloce che nemmeno le telecamere riuscirono a catturarne la corsa, né riuscirono ad immortalare con chiarezza l’impatto col pallone. Furtok vinse il duello col diretto marcatore di un’incollatura, come si suol dire in gergo ippico, poi depositò il pallone in rete, facendo ricorso a tutta la sua astuzia.
Ma in che modo Furtok colpì la sfera? Ebbene, non con il piede destro, né con la testa, come pur poteva sembrare a velocità naturale. La colpì con la mano sinistra, la stessa utilizzata da Maradona per punire l’Inghilterra ai mondiali messicani: la “mano de Dios”. Molto probabilmente, Furtok scelse deliberatamente di impattare il pallone in quel modo per la paura di dover rinunciare ancora una volta (probabilmente l’ultima) alla possibilità di calcare un importantissimo palcoscenico internazionale, ma il suo gesto sortì soltanto parzialmente l’effetto sperato.
Un gesto scorretto quanto inutile
La Polonia, infatti, si sbarazzò di San Marino con uno striminzito 1 a 0, ma poi proseguì il proprio cammino di qualificazione nel peggiore dei modi, perdendo 5 dei 6 successivi incontri. E così, Furtok non solo non riuscì a giocare un altro mondiale (in precedenza aveva preso parte alla spedizione polacca che si recò in Messico nell’86), ma cominciò anche a portarsi addosso la nomea del più grande giustiziere della sportività che il calcio internazionale abbia mai conosciuto. Un’etichetta che, sul suo curriculum, assunse ben presto i contorni di una macchia indelebile e che, col passare del tempo, non riuscì più a scrollarsi di dosso. Neppure ora, che versa in uno stato di salute piuttosto precario e che a Katowice gli è stato dedicato un murale.
Ancora oggi, infatti, la gente, quando lo incontra per strada, gli ricorda quel benedetto Polonia-San Marino. Una maledizione non da poco, se si pensa che, alla fine, quel gol di mano fu davvero inutile.
Foto: RetroFootball.pl