Si è conclusa da poche settimane la storica visita di Papa Francesco in Slovacchia. Il pontefice ha trascorso tre giorni nel paese mitteleuropeo, raccogliendo così l’invito che la presidente Zuzana Čaputová gli aveva ufficialmente inoltrato lo scorso dicembre. La visita del Papa è stata percepita come un momento memorabile per il paese, ma non sono mancate le critiche nei confronti delle istituzioni, in primis del governo, per l’organizzazione degli eventi.
Le polemiche della vigilia
Diversamente dai vicini cechi, gli slovacchi sono storicamente molto legati al cristianesimo e nella Slovacchia di oggi, i cattolici sono quasi il 70% della popolazione. L’ultima visita di un Papa nel paese era stata quella di Wojtyła, datata 2003. L’importanza della visita di Papa Francesco, definita dal ministro degli Esteri slovacco Korčok come un evento straordinario ed eccezionale, ha chiaramente posto l’evento in cima all’agenda politica pubblica.
I preparativi sono durati mesi e oltre centomila cittadini hanno potuto assistere ai diversi eventi organizzati alla presenza del Papa. Nelle settimane prima dell’avvenimento, le decisioni sulla gestione della visita papale avevano però generato feroci polemiche.
Il governo slovacco aveva inizialmente deciso di trattare gli eventi legati alla visita del Papa secondo la legislazione vigente, ovvero con una partecipazione massima di 1000 persone tra vaccinati e non. Successivamente, l’esecutivo, in accordo con la presidenza, aveva deciso di dare la possibilità di presenziare solamente ai cittadini in possesso di una certificazione che indicasse il completamento della vaccinazione contro il Covid, con l’obiettivo di superare i limiti numerici di partecipazione derivanti dalle restrizioni anti pandemiche.
La scelta aveva aperto una rumorosa polemica in un paese con una delle percentuali di vaccinati più bassa dell’UE, solamente il 40% della popolazione. La politica dell’esecutivo, oltre che dannosa in termini di consenso, rischiava di creare una divisione nella società slovacca in occasione di una visita, quella del Papa, che avrebbe dovuto invece unire la cittadinanza, almeno per quanto riguarda la maggioranza cattolica.
Infine, il governo è quindi tornato sui suoi passi a pochi giorni dalla visita ufficiale, decidendo di estendere la partecipazione agli eventi anche alle persone non vaccinate in possesso di tampone negativo o di certificato di guarigione dalla malattia, prevedendo aree comunque separate, con entrate e uscite apposite, in modo da superare formalmente i limiti di partecipazione imposti dalle restrizioni.
Le tappe della visita
Il 12 settembre il Papa è finalmente atterrato a Bratislava e, dopo gli incontri istituzionali di rito nella capitale con la presidente Zuzana Čaputová, il primo ministro Eduard Heger, e anche con il presidente del parlamento Boris Kollár, il Pontefice si è spostato nell’est del paese.
A Prešov, Papa Francesco ha tenuto la funzione con rito bizantino davanti a oltre trentamila persone, per poi spostarsi poco più a sud verso Košice, seconda città del paese. Qui, il Papa ha visitato Luník IX, il più grande quartiere-ghetto “rom” della Slovacchia.
La scelta del Papa, in linea con la politica del suo pontificato, ha voluto porre l’attenzione sul problema delle minoranze, in particolare di quella rom, che in Slovacchia rappresenta una percentuale di popolazione tra le più alte in Europa, ma che è ancora spesso discriminata e sostanzialmente non integrata nella vita pubblica del paese.
Paradosso dei tempi, durante la visita del Papa a Luník IX, a molti residenti rom del quartiere non è stato permesso avvicinarsi alle loro abitazioni, perché ufficialmente non registrati ad assistere all’evento.
A conclusione del suo viaggio, il Pontefice ha visitato il santuario di Šaštín, sito nazionale di pellegrinaggio religioso a pochi chilometri dal confine tra Slovacchia, Austria e Repubblica Ceca.
Lo scenario politico cambia
Complici anche le giravolte sull’organizzazione della visita papale, il gradimento del governo slovacco tra i suoi cittadini è in discesa. La coalizione di centro-destra guidata dal premier Eduard Heger, subentrato a inizio dell’anno a Matovič, non convince più gli slovacchi e gli ultimi sondaggi vedono i partiti della maggioranza in forte calo dei consensi. Le due forze di governo principali, SaS e Olano, rischierebbero di finire rispettivamente terzo e quarto partito alle urne, mentre Za Ludi addirittura fuori dal parlamento.
In testa nelle rilevazioni ci sono i due partiti di opposizione: Hlas, la formazione di centro-sinistra derivata dalla scissione di Smer e guidata dell’ex premier Peter Pellegrini, e gli stessi socialdemocratici di Smer, sotto la leadership del vecchio mattatore della politica slovacca Robert Fico.
Proprio quest’ultimo, in risalita nel gradimento popolare, sta tentando di porsi alla guida dello scontento sociale derivante, in buona parte, dalle misure anti pandemiche ideate e applicate prima con grande forza dal governo Matovič, e ora dal suo successore Heger. Misure tra le più dure in Europa, che nei mesi hanno causato, secondo le opposizioni, danni economici pesantissimi e una spaccatura nella società slovacca tra vaccinati e la maggioranza di non vaccinati.
Non se la passa meglio la presidente Čaputová, anche lei in calo nelle preferenze dei cittadini slovacchi, per la prima volta sotto al 50%. Il capo dello stato è nel mirino delle opposizioni per aver interpellato la Corte costituzionale sul referendum organizzato da Smer e Hlas che, se approvato dalla maggioranza dei cittadini, avrebbe portato la Slovacchia al voto anticipato.
Interpellata dalla presidente, la Corte ha dato parere negativo sulla costituzionalità della proposta di referendum, vanificando così le speranze di Fico e Pellegrini di andare presto al voto, e quelle di almeno mezzo milione di slovacchi di poter eleggere in anticipo un nuovo parlamento. Nelle scorse settimane il malcontento è finito anche nelle piazze delle maggiori città del paese. Salutato il Papa, il futuro politico della Slovacchia rimane incerto.
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