Tra Serbia e Kosovo è guerra delle targhe. La tensione tra i due Paesi – che dura oramai dal 20 settembre – è montata dopo che il governo di Pristina ha imposto ai veicoli con targa serba in arrivo nel Paese di mettere sulle loro auto targhe kosovare provvisorie della validità di 60 giorni per poter entrare nel territorio del Kosovo, recanti la dicitura “Repubblica del Kosovo”.
La scelta del primo ministro Albin Kurti è stata motivata dalla parola “reciprocità”, il nuovo approccio della politica kosovara ai difficili rapporti col vicino serbo. La Serbia difatti non permette ai veicoli in entrata nel Paese di esporre targhe kosovare già dal 2008. Nel 2011 è stato firmato un accordo che prevedeva la liberalizzazione della circolazione a patto che le auto kosovare prendessero una targa serba temporanea a tariffa agevolata. L’accordo, che era stato rinnovato anche nel 2016, è scaduto nelle scorse settimane, senza che si fosse arrivati a un compromesso.
I blocchi e la tensione
La decisione di Pristina di introdurre la reciprocità sulle targhe ha avuto immediate ripercussioni nel nord del Kosovo, area a maggioranza serba. Manifestanti serbi hanno eretto blocchi stradali in corrispondenza dei valichi di frontiera di Brnjak e Jarinje e il Kosovo in risposta ha inviato le sue forze speciali a monitorare la zona.
Le autorità kosovare hanno lamentato nei giorni scorsi la distruzione dell’ufficio della motorizzazione nella località di Zubin Potok e quello di registrazione civile di Zvecan e aggressioni ad alcuni automobilisti. Le scene più preoccupanti dei giorni scorsi hanno però come sottofondo il rumore di cingolati e il rombo di aerei da guerra che la Serbia ha dispiegato al confine con la sua ex provincia.
Su Twitter la giornalista di Politico, Una Hajdari, ha spiegato che questa “è la prima volta che gli aerei militari serbi si avvicinano al confine del Kosovo dal ritiro delle truppe serbo/jugoslave nel 1999 in seguito ai bombardamenti della NATO”. L’accordo di Kumanovo firmato all’epoca e tuttora in vigore prevede una “zona di sicurezza aerea di 25 chilometri e una di terra di 5 chilometri”.
Le reazioni
Il presidente serbo Aleksandar Vučić ha descritto la recente mossa della targa del Kosovo come una “azione criminale” e ha posto il ritiro di tutta la polizia speciale kosovara come condizione per i negoziati mediati dall’Unione europea per risolvere la controversia.
La decisione del governo Kurti è stata difesa dalla presidente del Kosovo Vjosa Osmani, poiche’ “garantisce ai cittadini di entrambi i paesi un trattamento uguale, nonché la libertà di circolazione”, ha affermato Osmani.
In una visita a Pristina ieri, anche il primo ministro albanese Edi Rama ha dato il suo sostegno al suo omologo kosovaro per le misure imposte sulle targhe e ha descritto l’invio di truppe della Serbia nell’area vicino al confine come “teatro”.
Inviti al dialogo
Teatro o meno la missione della NATO in Kosovo (KFOR) in queste ore ha intensificato i pattugliamenti al confine con la Serbia e in tutto il Kosovo, anche se ha fatto sapere che la situazione è tranquilla.
L’Unione europea ha chiesto ai due Paesi una “de-escalation” e una ripresa del “dialogo”. Un dialogo che però, sostengono gli analisti, sul lungo periodo potrebbe non far gola a nessuno visto che a Pristina è previsto un voto amministrativo a ottobre, mentre l’anno prossimo si terranno le elezioni politiche in Serbia.
Nei giorni scorsi, il primo ministro kosovaro Kurti ha proposto che entrambi i Paesi revochino la regola delle targhe temporanee e ha detto di essere aperto a colloqui a Bruxelles, ma Belgrado si è rifiutata.
L’empasse potrebbe comunque non durare ancora molto. I media kosovari hanno riferito che la KFOR sta considerando di assumere la gestione dei due valichi di frontiera bloccati, una mossa che farebbe sì che i manifestanti sblocchino le strade, provocando il ritiro delle unità speciali di polizia kosovare.
Problemi irrisolti
La nuova escalation di tensione tra Pristina e Belgrado arriva un anno dopo l’accordo tra i due Paesi per la distensione dei loro rapporti, promosso da Washington e presentato come storico dall’ex amministrazione americana guidata da Donald Trump. L’accordo, come hanno notato subito molti analisti, era tutt’altro che storico e 12 mesi dopo sono ben pochi i punti in cui ci sono stati progressi.
In questo contesto, comincia proprio oggi 28 settembre da Tirana la missione nei Balcani della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, per preprare il vertice Ue-Balcani del prossimo 6 ottobre. Von der Leyen visiterà sia Pristina che Belgrado, nella speranza di un ritorno al dialogo tra le due parti.
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