“Spirito libero e sangue caldo”, l’autobiografia di una donna rom dalla Bosnia a Trieste

Questo articolo è frutto di una collaborazione con OBCT

Tostissimo. Non riesco a staccarmi”: come non concordare con Luigi Nacci nel leggere le pagine di Spirito libero e sangue caldo. Autobiografia di una donna rom di Marianna A., pubblicato il 16 settembre da Ediciclo. Nato come un diario destinato a se stessa e ai figli — “per lasciare loro un messaggio quando non ci sarò più, perché conoscano da adulti la storia della loro mamma e della nostra famiglia” — questo libro racconta, senza mediazioni né ‘edulcoranti’ narrativi, la storia personale di una donna che, nata in Bosnia e ora stabilitasi a Trieste, ha conosciuto in poco più di mezzo secolo esperienze tra loro diverse, spesso dolorose, non di rado violente, riuscendo infine a far trionfare quello ‘spirito libero e sangue caldo’ che l’ha mandata sempre coraggiosamente avanti.

“Nella mia infanzia non avevo avuto nessun sogno, per molto tempo ero chiusa nel silenzio e nel buio totale, ecco perché sono diventata grande e forte presto. Sì, dico forte perché con tutto quello che ho subito nella mia vita mi ritengo fortissima, anche se le mie debolezze si sanno nascondere bene” (p. 99). 

Non è il caso di svelare troppo di questa narrazione che si lascia leggere d’un fiato (il quale spesso rimane in gola). Basterà dire che, come di regola accade con i diari non nati per la pubblicazione, nel leggere queste pagine dense, pesanti più della carta che le contiene, si entra non solo nella vita di chi scrive, ma si accede al mondo dei suoi pensieri e delle sue emozioni, finendo per parteggiare per Marianna, suggerirle cosa fare (scappare? rispondere alle violenze? chiedere aiuto? amare e lasciarsi amare?), si è in due davanti alle violazioni, alle ingiustizie, al dolore e infine lo si è nello stupore di essere rimasti, fino alla fine, umani dal ‘sangue caldo’ assieme a lei.

“Ci sono persone ricche che navigano nell’oro e si vantano, ma poi penso alle loro anime povere e vuote… io sono povera ma so che la mia anima è ricca di amore per tutti, ho tanto amore che potrei regalarne” (p. 113).

Intervistata a margine della presentazione del libro al festival Pordenonelegge il 16 settembre, Marianna ci ha raccontato qualcosa di più sulla nascita del diario e sui livelli di lettura che ne emergono. 

“Ho iniziato a scrivere cinque o sei anni fa, scrivevo a mano, ogni giorno un pezzetto, una storia. Poi un giorno una mia amica lo ha visto e mi ha detto che questo diario era praticamente un libro. Così lo ha copiato a computer, messo in chiavetta e alla fine il manoscritto è arrivato a Luigi” (la storia dei vari passaggi, fino all’approdo finale alla libreria Lovat di Trieste e da lì all’editore, è descritta nell’introduzione curata da Nacci). 

“Io ho voluto raccontare me stessa — continua l’autrice — e non conta nulla il fatto che sono rom, benché io di esserlo ne sia orgogliosa. Non ho mai avuto paura di quello che sono, perché mi conosco e so come mi comporto, così come si comportano i miei figli. In primo luogo però io sono una donna e qui ho voluto raccontare la mia vita. Se io ho incontrato queste difficoltà nella mia vita, non vuol dire che tutte le famiglie rom hanno vissuto queste stesse esperienze”, un concetto sottolineato anche dallo studioso Santino Spinelli nella postfazione al libro. 

“Non tutte le donne rom sono maltrattate — ribadisce Marianna. — Il bene e il male esistono ovunque, in famiglie rom come in famiglie gagé, ovvero in quelle non rom, che siano italiane, africane, indiane o americane. Io parlo di me stessa, della mia sfortuna, ma è il mio caso, la mia vita. Con orgoglio ho scritto questo diario e con orgoglioso sono qui a presentarlo, ne sono proprio fiera. E devo ringraziare moltissimo mia figlia Veronika per l’aiuto con la lingua italiana nella stesura”.

“C’è un messaggio molto forte in questo libro — conclude. — È  un messaggio rivolto a tutte le donne, che siano rom o meno, donne di qualunque popolo, un invito a trovare una soluzione e lasciare le persone di cui sono succubi, a lottare sempre per la propria libertà. E non quella libertà che si sa scrivere solo su un pezzo di carta, ma quella che si sente dentro, che fa sentire orgogliose e fiere. Occorre liberarsi, essere guerriere e vincere”.

Il libro si inserisce nella collana della Biblioteca del viandante curata da Luigi Nacci (scrittore e ‘viandante’ triestino, autore tra le altre cose di una appassionante Trieste selvatica per Laterza) che così racconta il suo incontro con il diario di Marianna: “il testo mi ha subito preso e mi sono messo in contatto con lei. Il suo manoscritto arrivava inizialmente al 2001, ma poi siamo andati avanti a lavorarci per arrivare all’oggi, alla sua ‘liberazione’”. 

“Io ho cercato di lavorare sulla leggibilità — continua, — non aggiungendo niente di mio, non lavorando sul lessico, anzi riducendo alcune parti, cercando di lasciare una storia asciutta che si potesse leggere tutta d’un fiato”. 

Il volume si inserisce armoniosamente nella collana dedicata alla ‘viandanza’ di Ediciclo, spiega Nacci, “un concetto largo che tiene dentro sia nomadismo che stanzialità, più in generale una riflessione su altri modelli di vita, sul rapporto con la natura, con il consumo, le tradizioni, i paradigmi sociali. Questo libro mi sembrava un evento importante: non è la storia dei rom, è quella di Marianna, ma allo stesso tempo ci fa ragionare su altre cose. La storia dei rom è misconosciuta, fraintesa, demonizzata. Il fraintendimento inizia già a partire dalla parola ‘nomade’, che non per forza ha a che fare con la parola ‘rom’. Molti rom sono stanziali o sono stati costretti al nomadismo”. 

Luigi Nacci conclude tracciando uno sguardo d’insieme sul libro, “che ha tante chiavi: una è quella di leggerci la storia di un continente che non esiste più, quei Balcani che non ci sono più,  un mondo che è finito; dentro però si trovano anche degli elementi che rimandano alla cultura rom; infine, c’è la storia di una donna, un singolo individuo che cerca la sua strada e si scontra con una serie di problemi che sono legati anche all’elemento maschile. È come se fossero più libri in uno”.

“‘Prima di tutto, tesoro mio, che cosa provi quando qualcuno ti dice zingaro? Che cosa provi a sentirtelo dire da un estraneo?’, e lui: ‘Mamma, io sento una rabbia dentro di me… ma una rabbia!’, e io: ‘Allora tu pensa così: zingaro vuol dire come quanto tu dici a qualcuno albanese o rumeno o italiano o francese, sono tutti esseri umani, sono sempre persone viventi su questa terra… gli zingari sono sparsi per tutto l’universo, a loro piace girare dappertutto e conoscere sempre più cose, vivono giorno per giorno, oggi sono qua, domani chissà. Noi però preferiamo dire rom. Quello rom è un popolo molto grande a cui piace viaggiare e vivere all’aperto e appena svegli ai rom piace vedere l’alba e alla sera il tramonto e quando arriva la notte guardare le stelle… le guardano brillare in cielo anche tutta la notte” (pp. 89-90).

Chi è Martina Napolitano

Dottoressa di ricerca in Slavistica presso l'Università di Udine, è direttrice editoriale di East Journal e scrive principalmente di Russia.

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