La nomina di ben dodici donne ministro nel nuovo esecutivo guidato dal premier Edi Rama ha reso l’Albania il paese al mondo in cui la presenza femminile di governo è più numerosa. Nessuna nazione, infatti, può vantare una percentuale così rilevante di donne in posti chiave come il paese balcanico, il 75%.
Tra ammirazione e sessismo
In generale l’annuncio di Rama della lista dei ministri è stato accolto con un misto di favore, ammirazione e sorpresa – in alcuni casi persino delle dirette interessate. Ma accanto a questi sentimenti si sono fatti strada, nei giorni immediatamente successivi, anche commenti pesantemente sessisti e scetticismo.
I primi si sono palesati soprattutto tramite i social media, strumento sempre più spesso impiegato per dare la stura ai convincimenti meno nobili, se vogliamo dire così: insulti, ironie di basso cabotaggio e persino meme diventati presto virali. Ma sulla stessa scia si sono allineati, anche, alcuni illustri opinionisti e diversi noti giornalisti, sebbene con le opportune diversità di stile. Lo scetticismo ha invece trovato espressione nel dubbio, espresso da più parti, che la scelta di Rama sia stata dettata più da esigenze di forma che di sostanza, senza che fosse stata realmente approfondita l’adeguatezza dei profili professionali indicati.
Come se Rama avesse fatto prevalere le ragioni propagandistiche del suo gesto, piuttosto che quelle della necessaria concretezza. Al di là della sua importanza, anche simbolica, la scelta di Rama rischia, per paradosso, di essere una foglia di fico messa a mascherare una situazione che vede un paese dove è ancora forte l’impronta patriarcale e marcatamente maschilista. E questo nonostante l’Albania sia profondamente cambiata negli ultimi anni avvicinandosi sempre di più agli standard europei, dove pure permangono macroscopiche differenze di genere.
La situazione delle donne: un quadro contraddittorio
Da questo punto di vista, dunque, il paese offre un quadro contraddittorio: contraddizione nitidamente rappresentata dagli atteggiamenti ora descritti, che sembrano rispondere alla logica dell’azione e reazione, retaggio di un retroterra storico e culturale difficile da estirpare. A fotografare questo contesto concorre il report redatto dall’Istituto di statistica albanese (INSTAT) intitolato “Donne e uomini in Albania (2021)”, curiosamente pubblicato proprio in questi giorni con una coincidenza temporale quantomai opportuna.
Da una parte l’Albania è il paese che integra le 12 donne ministro con il 30% di quota rosa in parlamento – soglia introdotta per regolamento già dal 2008 (erano meno del 10% nel 2005). E ancora, quello in cui risultano in crescita gli indicatori che descrivono la presenza femminile in posizioni apicali nelle imprese pubbliche e private, specie nelle grandi città e nel settore dei servizi (sebbene largamente inferiore a quella maschile).
Dall’altra – di contro – l’Albania è anche il paese dove, a fronte di un tasso di disoccupazione equiparabile a quello maschile (12% circa), i salari delle donne risultano mediamente inferiori del 6,6% rispetto a quello degli uomini con punte del 25% nelle imprese manifatturiere. In un paese dove il 46% della popolazione è a rischio povertà (un dato comunque in diminuzione) sono dunque le donne quelle più esposte a tale evenienza, specie tra le disoccupate e tra coloro che hanno un grado di istruzione inferiore.
Ma è in campo sociale, a partire dalle problematiche legate alla violenza sulle donne, che il percorso di modernizzazione sembra ancora lungo. E non è solo un problema di percezione – il retaggio di cui si diceva poc’anzi – seppure anche questo aspetto sia esplicitamente chiarito dal dato che indica come la metà degli albanesi ritenga tollerabile la violenza domestica se questa è finalizzata all’unione della famiglia e che, in generale, sia una questione da regolare all’interno della coppia senza ingerenze esterne. È anche, molto più concretamente, una questione di sostanza: sono migliaia, infatti, i casi di violenza contro le donne denunciati ogni anno, spesso a sfondo sessuale; molti di più, con ogni probabilità, quelli non denunciati, secondo la logica dell’inversione dei ruoli tra vittima e colpevole e del reato subito vissuto come vergogna. Più in generale una donna su due sostiene di aver subito violenza, fisica o psicologica, e più di un terzo di loro afferma di trovarsi tutt’ora in tale condizione.
Un paese in movimento
Va detto che il report INSTAT definisce un paese in lento, ma costante, miglioramento per ciò che attiene le differenze di genere. Così come si deve sottolineare che il contesto albanese non è poi così dissimile da quello di molti altri paesi europei, Italia inclusa. Ciononostante il divario da colmare è ancora considerevole e si può quindi solo sperare che la scelta di Rama possa effettivamente sottendere un ribadito impegno in tale direzione e non solo un’operazione di facciata; e che, pertanto, si traduca in politiche di sostegno e di sviluppo della parità di genere. E che, ancora più significativamente, sia un segnale inviato al paese affinché si intraprenda il necessario rinnovamento e il superamento di quelle convenzioni sociali che hanno reso l’Albania un paese per uomini.
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