A quasi un anno di distanza dal suo inizio, la crisi politica in Georgia scaturita dalle elezioni parlamentari del 2020, è tutt’altro che superata e seguirne le dinamiche diviene sempre più importante per comprendere l’evoluzione del sistema politico del paese.
Gli avvenimenti degli ultimi dodici mesi, dalle denunce di brogli elettorali al conseguente boicottaggio del parlamento da parte delle opposizioni, dagli scandali che hanno coinvolto il partito di governo, fino allo scontro con le istituzioni europee, hanno acceso i riflettori sulle contraddizioni che si sono sviluppate in Georgia nel recente passato.
Un interessante accordo mediato dal consiglio dell’UE la scorsa primavera aveva ridotto la polarizzazione tra maggioranza e opposizione e sembrava poter mettere una fine alla crisi. Purtroppo, però, sono bastate poche settimane perché la situazione tornasse a precipitare.
La retromarcia di sogno Georgiano
Con l’accordo del 18 aprile, Sogno Georgiano, il partito di governo, aveva accettato di trasformare le elezioni locali del prossimo 2 ottobre in un referendum de facto sulla legittimità del governo e del parlamento. In base al testo dell’accordo, infatti, qualora nella prossima tornata elettorale Sogno Georgiano non avesse ottenuto almeno il 43% dei consensi, sarebbero state automaticamente convocate nuove elezioni politiche nazionali. Grazie a questa e ad altre condizioni, i parlamentari dell’opposizione avevano scelto di interrompere il boicottaggio e prendere posto in parlamento. Tra i firmatari, vi erano quasi tutti i partiti rappresentati nelle istituzioni del paese, fatta eccezione per il Movimento Nazionale Unito, il principale partito di opposizione, che, pur a sua volta interrompendo il boicottaggio, non ha mai accettato di ufficializzare alcuna distensione.
Tuttavia, il 22 luglio scorso, Irakli Khobakidze, il presidente di Sogno Georgiano, ha annunciato il ritiro del proprio partito dall’accordo, sostenendo che, cento giorni dopo la sua stipula, questo avesse esaurito la sua utilità e che lo scioglimento del parlamento non sarà vincolato all’esito delle elezioni locali, ma eventualmente seguirà considerazioni della maggioranza circa la capacità delle opposizioni di formare un esecutivo di coalizione.
Tale scelta è stata ufficialmente motivata con la mancata adesione del Movimento Nazionale Unito, ma vi sono ragioni per pensare che l’accordo stesse portando più di un problema a Sogno Georgiano.
Oltre alle ragionevoli preoccupazioni che qualsiasi formazione politica si porrebbe dinnanzi alla necessità di ottenere il 43% dei consensi, infatti, pare che fosse la riforma giudiziaria a mettere in difficoltà il partito di governo. L’accordo di aprile prevedeva che il parlamento si impegnasse a migliorare l’indipendenza e la qualità del sistema giuridico georgiano, cambiando il sistema di nomina dei giudici e sospendendo tutte le procedure di nomina in corso al momento della firma.
Nei fatti, il governo non ha sospeso controverse nomine a vita per la Corte Suprema. Tanto gli Stati Uniti quanto l’Unione Europea hanno duramente condannato tali scelte ed esercitato pressioni per l’effettiva implementazione dell’accordo, scontrandosi con un secco rifiuto da parte del governo. Khobakidze, nel discorso con cui ha comunicato l’uscita di Sogno Georgiano dall’accordo, ha rispedito le critiche al mittente, sostenendo che i partner occidentali si sarebbero piuttosto dovuti adoperare per spingere il Movimento Nazionale Unito a sottoscrivere il documento.
I rapporti con l’Unione Europea alla prova del nove
In Georgia, dalla Rivoluzione delle Rose in poi, l’integrazione euroatlantica non solo è stata costantemente posta al centro dell’agenda politica, ma ha anche contribuito a plasmare l’identità politica del paese e la percezione di sé di parte dei cittadini, desiderosi di presentarsi come sempre più occidentali e autenticamente europei.
In questo contesto, lo scontro tra il governo e le istituzioni di Unione Europea e Stati Uniti risulterebbe un evento di per sé abbastanza eccezionale, se non fosse che negli ultimi mesi le relazioni con l’UE sembrano essersi gradualmente incrinate, aprendo piccole, ma importanti crepe.
Il momento simbolicamente più forte di questo scontro è stato raggiunto lo scorso 23 agosto, quando, di fronte alla constatazione che la riforma giudiziaria era un requisito per l’assistenza macro-finanziaria dall’Unione, di cui aveva ottenuto una prima rata di 100 milioni euro sotto forma di debiti, il governo ha deciso di rinunciare a richiedere la seconda rata.
Il liberalismo ha fallito?
L’elevatissima polarizzazione politica non è stata che accresciuta da una serie di scandali e controversie in cui il partito di governo è piombato nel corso degli ultimi mesi.
Mtavari Archi, una tv vicina all’opposizione, a inizio agosto ha reso pubblici dei documenti secondo cui i Servizi di Sicurezza di Stato della Georgia (SSG) avrebbero illegalmente spiato e registrato telefonate di giornalisti, esponenti dell’opposizione e attivisti, arrivando a indagare sulla vita privata e le abitudini sessuali di questi ultimi. La SSG ha negato qualsiasi coinvolgimento.
Il 5 settembre, inoltre, il gruppo di opposizione “Per la Georgia” ha denunciato presunte pressioni ricevute dai propri candidati per ritirarsi dalle prossime elezioni di ottobre.
Come se non bastasse, secondo il difensore civico (ombudsman) della Georgia Nino Lomjaria, decine di funzionari pubblici sarebbero stati spinti alle dimissioni e in taluni casi persino licenziati a causa delle proprie posizioni politiche, perché troppo vicini a Giorgi Gakharia, ex presidente del consiglio dimessosi in seguito all’arresto di Nika Melia.
Lo scandalo in cui è piombato il figlio del magnate Bidzina Ivanishvili non può che completare il quadro. Lo scorso marzo, infatti, erano emerse registrazioni di telefonate avvenute tra il ragazzo e l’attuale primo ministro Irakli Gharibashvili nel corso delle quali il ragazzo chiede l’impiego di forze di polizia per spaventare chiunque tentasse di screditarlo sui social.
Una crisi sistemica
Consultando i sondaggi condotti a luglio dal Caucasus Research Resource Center, sembra che l’instabilità politica che si protrae da ormai un anno non abbia significativamente aumentato i consensi dell’opposizione, ma abbia, piuttosto diffuso un clima di delusione e sfiducia nel sistema politico nel suo complesso. Infatti, alla domanda “A quale partito ti senti più vicino?” il 51% degli intervistati ha dichiarato di non riconoscersi in nessun partito, il 18% di identificarsi ancora con il partito di governo, mentre soltanto il 6% ha scelto il Movimento Nazionale Unito. Un segnale ancor più sintomatico è la percezione della democraticità del paese.
Sempre il 51% degli intervistati, infatti, ha sostenuto che non definirebbe la Georgia una democrazia, dato che rispetto ad un anno fa è cresciuto del 14%.
L’assenza di un soggetto politico in grado di interpretare tale insoddisfazione, le tendenze illiberali divenute sempre più esplicite, la stagnazione politica e la crescente conflittualità con l’occidente spingono a domandarsi se la Georgia non stia intraprendendo un cammino diverso da quello percorso sino ad ora. Anche per questo, le prossime elezioni locali assumono un’importanza particolare per il futuro del paese.
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Immagine: East Journal/ Eleonora Febbe