La sicurezza dei confini con Azerbaigian e Turchia è sempre stata una questione all’ordine del giorno per l’Armenia. La sconfitta di Erevan nella seconda guerra in Nagorno-Karabakh nell’autunno 2020, e la conseguente perdita di territori, non hanno solamente aperto nuove problematiche, ma anche nuovi scenari, impensabili prima del conflitto di un anno fa.
Azerbaigian, il nuovo confine
La vittoria nella guerra del 2020 ha permesso a Baku di riprendere il controllo del confine internazionalmente riconosciuto tra Armenia e Azerbaigian. Per trent’anni Erevan ha infatti mantenuto il controllo de facto di ampie porzioni di territorio azero e, nel corso del tempo, i centri abitati e le infrastrutture armene si sono sviluppati in base alla realtà sul campo, non quella riconosciuta a livello internazionale.
La delicatezza della nuova situazione è emersa ripetutamente dopo la fine del confine. Negli ultimi mesi di agosto, in particolare, truppe azere hanno bloccato per quarantotto ore un tratto della strada M2 tra Goris e Kapan. La M2 è un’arteria di fondamentale importanza, visto che collega Erevan al sud dell’Armenia e al confine con l’Iran; ma, proprio nel punto in questione, la strada passa in quel territorio che ora è sotto il controllo di Baku. La questione è tornata agli onori delle cronache il 10 settembre, quando Baku ha installato dei check point nello stesso tratto di strada per monitorare (e tassare) il passaggio di camion e merci iraniane verso l’area del Nagorno-Karabakh rimasta sotto il controllo armeno.
Per questi motivi, negli ultimi mesi il governo armeno ha investito nella sistemazione di una strada che passa più ad ovest, lontano dal confine. Si tratta di un’opera di primaria importanza per l’Armenia, paese senza sbocco sul mare per cui i collegamenti con Georgia e Iran costituiscono l’unica via di accesso al commercio internazionale.
La questione della strada potrebbe risolversi in maniera relativamente semplice. Tuttavia, solo una demarcazione del confine con l’Azerbaigian renderà forse possibile risolvere le tante problematiche emerse nei mesi dopo la fine del conflitto, in cui tanti soldati e civili sono caduti prigionieri o vittime negli scontri tra le due parti.
Il fronte turco, novità all’orizzonte?
Se la guerra dello scorso anno ha esacerbato ulteriormente le relazioni tra Erevan e Baku, parallelamente ha riaperto la possibilità di una parziale riconciliazione tra l’Armenia e il suo vicino occidentale, la Turchia. Ankara nel 1991 fu tra i primi paesi a riconoscere la nuova Armenia emersa dal crollo dell’Unione sovietica, ma le relazioni tra i due paesi non decollarono. Già nel 1993, il confine venne unilateralmente chiuso da parte turca in risposta all’occupazione armena di diversi distretti dell’Azerbaigian (alleato storico della Turchia). Le relazioni non vennero mai ristabilite e la frontiera rimane conseguentemente chiusa da allora.
Lo scorso 27 agosto il primo ministro armeno, Nikol Pashinyan ha però dichiarato in una seduta di governo: “Stiamo ricevendo segnali positivi dalla Turchia. Valuteremo quei segnali, risponderemo ai segnali positivi con un segnale positivo”. In risposta, due giorni dopo, il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan si è detto anch’egli possibilista: “Possiamo lavorare per normalizzare gradualmente le nostre relazioni con un governo armeno che si è dichiarato pronto a muoversi in questa direzione”.
Non è la prima volta che Ankara e Erevan lanciano segnali distensivi. In particolare, nel 2009 le due parti erano arrivate a firmare una serie di protocolli per la normalizzazione delle relazioni che però non vennero mai ratificati. Tali documenti costituiscono ancora la base legale per velocizzare una eventuale distensione
A rendere potenzialmente realistico tale scenario è il fatto che la premessa che aveva causato la rottura delle relazioni nel 1993, l’occupazione di parte del teritorio azero da parte armena è venuta meno per effetto del conflitto dello scorso anno. Rimane però difficile prevedere una svolta tanto radicale dopo un trentennio di tensioni.
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Immagine: La strada M2 nei pressi di Eghegnadzor (East Journal/Aleksej Tilman)