SERBIA: Rio Tinto e i rischi di una transizione ecologica fuori controllo

Lotta ai cambiamenti climatici, transizione ecologica, Agenda verde. Temi sempre più al centro delle politiche dei governi, soprattutto in un’Europa che mira a conquistarsi un ruolo guida a livello globale verso un futuro e uno sviluppo più sostenibili. Non a caso, negli ultimi anni, l’UE ha posto questi temi tra le priorità del processo di adesione dei Balcani Occidentali.

La Serbia sembra aver preso sul serio le richieste europee. Non certo per una particolare sensibilità verso i cambiamenti climatici quanto per le enormi potenzialità economiche derivanti dallo sfruttamento di nuove risorse di cui il paese si è, improvvisamente, ritrovato ricco. Un esempio su tutti la scoperta, avvenuta nel 2004 nell’area di Loznica, di uno dei più grandi giacimenti mondiali di jadarite. Il minerale, che prende il nome proprio dal fiume Jadar che scorre nella Serbia occidentale, è composto da litio, utilizzato per la fabbricazione di batterie per autoveicoli elettrici, smartphone e pannelli solari, e boro, utile per la produzione di vetro, ceramica e anche in campo nucleare e aerospaziale. Date le enormi potenzialità di questo nuovo minerale, la miniera serba è stata al centro di un grande progetto di investimento da parte della compagnia anglo-australiana Rio Tinto, interessata a mettere le mani sul “petrolio del futuro”.

Il progetto

Le ricerche condotte da Rio Tinto in questi anni hanno dimostrato che la miniera serba risulta essere uno dei più grandi giacimenti di litio al mondo. Nel 2017 l’azienda ha firmato un memorandum d’intesa con il governo serbo per lo sfruttamento della miniera, prevedendo un sicuro boom nella vendita di veicoli elettrici e di pannelli solari. Non a caso tutte le più grandi compagnie automobilistiche del mondo si sono già dette interessate ad acquistare il materiale dalla Rio Tinto, limitando in questo modo l’egemonia cinese nel settore.

Lo scorso luglio, l’azienda anglo-australiana ha presentato un piano di investimento pari a 2,7 miliardi di dollari per lo sfruttamento della miniera per i prossimi 40 anni, su una superficie di oltre 2 mila ettari comprendente ben 22 villaggi. Stando ai dati presentati nel piano, l’investimento garantirà circa 2100 posti di lavoro nella fase preparatoria per poi scendere a 1000 unità una volta avviata la produzione. Questa dovrebbe iniziare nel 2026 e permetterà a Rio Tinto di entrare nella Top Ten globale delle aziende produttrici. L’operazione avrà ricadute economiche per la Serbia, stando alle previsioni dell’azienda, pari all’1% diretto del PIL e al 4% considerato l’indotto.

I dubbi

Se l’abbandono dei combustibili fossili e il passaggio a fonti di energia pulita sono ormai un imperativo per tutte le società, la cosiddetta transizione ecologica rischia di sostituire il vecchio modello con uno nuovo altrettanto disfunzionale.

L’estrazione e la lavorazione della jaradite, per esempio, pone più di un dubbio sulla reale sostenibilità ambientale dei processi produttivi. Il primo problema è legato all’utilizzo di enormi quantità di acqua destinate all’estrazione del litio. Nel caso della miniera serba, le principali fonti di acqua sarebbero i fiumi Jadar e Drina, già alle prese con enormi problemi ambientali e fonte di approvvigionamento per milioni di persone.

A questo va aggiunto il problema delle emissioni legate alle successive fasi di lavorazione e soprattutto la produzione di rifiuti ad esse connesse. L’estrazione produce infatti due tipi di rifiuti: gli scarti di materiale roccioso, da cui vengono estratti i minerali necessari, e i rifiuti industriali prodotti dalla loro lavorazione.

Su questo punto la Rio Tinto si è impegnata a raggiungere l’ambizioso, quanto irrealistico, obiettivo “zero rifiuti”, attraverso la creazione di aree di stoccaggio ad hoc e un costante monitoraggio dell’inquinamento delle acque, dell’aria e del suolo.

Le proteste

Proprio i dubbi sulle ricadute ambientali hanno provocato negli ultimi mesi numerose proteste da parte dei cittadini serbi. La stessa Loznica, la cui area è coinvolta dal progetto Jadar, deve il suo nome alla parola “loza” (vite) che indica la propensione agricola della città. Tra i principali oppositori ci sono proprio gli agricoltori preoccupati di perdere la loro unica fonte di reddito e di esser costretti a vendere i terreni alla Rio Tinto, trasformando così definitivamente il paesaggio e l’economia dell’area.

A questo si aggiungono le critiche legate all’inquinamento, specialmente quello delle acque, che avrebbe ricadute significative per milioni di persone. Il fiume Jadar e soprattutto la Drina scorrono infatti per diverse centinaia di km, passando non solo per la Serbia ma anche per la Bosnia Erzegovina.

A diffondere sfiducia tra la popolazione, oltre al disinteresse per le comunità mostrato ormai da anni dalla classe politica al potere in Serbia, concorrono anche vicende poco trasparenti relative alla Rio Tinto. In passato infatti, alcuni rappresentanti dell’azienda sono stati condannati per frode e distruzione illegale di terreni. Ancor più grave quanto denunciato da Human Rights Law Centre sul coinvolgimento indiretto nella guerra civile in Papua Nuova Guinea e nella distruzione di un sito archeologico aborigeno in Australia.

In questi mesi si sono svolte a Loznica diverse manifestazioni di protesta contro il progetto della Rio Tinto. Nell’ottobre 2020, diverse centinaia di cittadini hanno manifestato di fronte alla filiale dell’azienda a Brezjak, mentre lo scorso aprile la protesta si è spostata direttamente nella capitale Belgrado con il sostegno di numerose realtà ambientaliste provenienti da tutto il paese. L’ultima manifestazione si è svolta in occasione della presentazione del piano di investimento, lo scorso 29 luglio a Loznica. Ad animare le proteste sono semplici cittadini, riuniti in gruppi come Pravo na Vodu (Diritto all’acqua) e Podrinje Anti-Corruption Team (PAKT), che hanno più volte preso le distanze dal partito di opposizione di destra Dveri, anch’esso presente in piazza.

Il presidente Aleksandar Vučić ha paventato la possibilità di un referendum popolare per ottenere il via libero definitivo alla costruzione della miniera. Una promessa rimasta ancora disattesa nonostante le modifiche al piano regolatore già attuate dal consiglio comunale di Loznica.

Non è difficile credere che, anche questa volta, gli interessi economici avranno la meglio sulle paure e l’opposizione della comunità locale coinvolta dal mega progetto.

Foto: Rio Tinto

Chi è Marco Siragusa

Nato a Palermo nel 1989, ha svolto un dottorato all'Università di Napoli "L'Orientale" con un progetto sulla transizione serba dalla fine della Jugoslavia socialista al processo di adesione all'UE.

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