Durante l’incontro svoltosi a Skopje il 28 e 29 luglio, i leader di Albania, Macedonia del Nord e Serbia hanno confermato che l’accordo di libera circolazione “Open Balkan“, denominato precedentemente “mini Schengen”, rappresenta un’opportunità per aumentare il commercio, la circolazione di persone e l’integrazione europea tra i paesi dei Balcani occidentali che hanno deciso di farne parte. Tuttavia, la pandemia globale e la mancanza di iniziativa politica da parte delle classi politiche hanno reso l’attuazione di questo accordo più complicato del previsto.
Open Balkan
Nell’incontro di Skopje, il presidente serbo Aleksandar Vučić, il primo ministro albanese Edi Rama e quello macedone Zoran Zaev, hanno voluto puntare su un rafforzamento della libera circolazione, con l’obiettivo di eliminare i principali ostacoli a turismo e affari tra i paesi entro il 2023. Una zona senza piu’ attese ai confini, questo l’obiettivo dei promotori, che hanno esteso l’inivito agli altri paesi della regione.
L’incontro ha portato anche alla firma di un accordo di cooperazione in caso di catastrofi naturali e di due memorandum su commercio e mercato del lavoro. A fare notizia, è anche il cambio di nome dell’iniziativa, con “Open Balkan” che prende il posto di “mini-Schengen”.
I leader dei tre paesi, accompagnati a Skopje da circa 350 aziende provenienti dalla regione, si sono dati appuntamenti a Tirana, per un nuovo meeting da svolgersi entro la fine dell’anno.
Un’evoluzione lenta
Dichiarata congiuntamente a Novi Sad nell’ottobre 2019, l’iniziatiava si fonda sul piano pluriannuale lanciato a Trieste per la creazione di un’Area Economica Regionale nei Balcani occidentali. Dal suo annuncio, sono stati tenuti altri due incontri, uno a novembre 2019 a Ohrid e uno a Durazzo nel dicembre 2019. In particolare, durante questi ultimi incontri, i leader dei tre stati hanno espresso due obiettivi concreti: la possibilità viaggiare nei paesi limitrofi senza l’uso del passaporto, e poter lavorare con solo un permesso di lavoro. Il presidente serbo Vučić e il primo ministro albanese Rama si erano dichiarati subito entusiasti di questa iniziativa. In particolare, Rama aveva affermato che l’iniziativa rappresentava una delle rare occasioni in cui i leader dei Balcani si sono incontrati senza i “mentori” dell’Unione europea.
Tuttavia, all’appello mancavano altri tre paesi: Montenegro, Bosnia Erzegovina e Kosovo. I primi due hanno partecipato all’incontro di Ohrid come “spettatori”, pur avendo dubbi riguardo al piano di libera circolazione. L’allora presidente kosovaro Hashim Thaçi aveva inizialmente criticato l’iniziativa, dal momento in cui né Serbia né Bosnia riconoscono l’indipendenza del paese.
Nonostante l’iniziativa rappresentasse una novità sulla scena politica dei Balcani nella seconda metà del 2019, nei primi mesi del 2020 non ci sono stati progressi, a causa anche dell’aggravarsi della pandemia globale. Inoltre, nella seconda metà del 2020, l’attenzione dell’opinione pubblica si è pian piano spostata verso accordi bilaterali tra i paesi dell’area: in particolare, gli accordi tra Kosovo e Serbia firmati a Washington e quello tra Serbia ed Albania sulla libera circolazione. Tuttavia, in questi accordi veniva menzionato anche il “mini-Schengen”.
Gli accordi firmati a Washington sotto la mediazione del presidente americano Donald Trump prevedevano infatti, per il Kosovo, il piano di partecipare all’area “mini-Schengen”. Un paio di mesi dopo, Serbia e Albania hanno firmato un accordo che consente ai cittadini di entrambi i paesi di poter passare i confini solo con le loro carte d’identità. Durante l’incontro tra Rama e Vučić, a cui si è aggiunta anche la Macedonia del Nord, è stato firmato un memorandum sulla cooperazione nella lotta contro la pandemia di COVID-19. Tuttavia, questo non è stato sottoscritto dal Kosovo.
La situazione attuale
L’iniziativa era stata inizialmente percepita come una risposta, da parte dei paesi della regione, al rallentamento del processo di integrazione europea. Creare una zona di libero scambio, basata sulle quattro libertà descritte dall’area Schengen dell’Unione, avrebbe rappresentato per i leader dei Balcani occidentali la dimostrazione che i paesi hanno le capacità per entrare a far parte del mercato unico europeo.
I capi di stato di Macedonia del Nord, Serbia e Albania hanno riferito, in recenti interviste, di essere insoddisfatti del processo di allargamento dell’Unione europea, soprattutto a causa dei tempi lenti. Per questo motivo, hanno definito necessaria la creazione di una zona economica libera, con minori restrizioni nei viaggi, corsie preferenziali per i rispettivi cittadini ai confini e ottenimenti facilitati di visti lavorativi. Un processo, quello di “Open Balkan” che, dunque, continua, nella speranza di coinvolgere gli altri paesi dell’area nei mesi a venire.