Nel corso degli ultimi mesi il presidente Recep Tayyip Erdoğan è tornato a mettere Cipro prepotentemente al centro dell’agenda della Turchia. La questione cipriota costituisce uno dei fattori determinanti della politica estera turca almeno dagli anni ‘50, ma l’assertività muscolare con cui l’attuale governo sta sostenendo gli interessi turco-ciprioti non ha probabilmente precedenti nell’ultimo trentennio.
Erdoğan torna a proporre con forza una «soluzione a due stati» (Two-States Solution) per Cipro, in pieno accordo con l’attuale leader turco-cipriota Ersin Tatar. Un interventismo così duro ed esplicito da parte turca non ha forse precedenti dai tempi della guerra del ‘74 – origine dell’attuale divisione dell’isola – e potenzialmente proietta l’annosa questione cipriota verso una rinnovata situazione di crisi acuta.
Una storia travagliata
Come noto, la maggiore isola del Mediterraneo Orientale è de facto divisa in due da quasi mezzo secolo, con una repubblica greco-cipriota che costituisce l’unico governo riconosciuto a livello internazionale e una Repubblica turca di Cipro Nord (Kuzey Kıbrıs Türk Cumhuriyeti) auto-proclamatasi nell’83 e riconosciuta esclusivamente dalla Turchia. Fino agli inizi del nuovo millennio la Turchia ha mantenuto politicamente una posizione di conservazione dello status quo creato dalla divisione dell’isola. Ciò è abbastanza comprensibile, dal momento che tale stato di cose ha consentito alla Turchia di mantenere nel tempo una pesantissima influenza a Cipro, grazie alla perdurante presenza militare e alla totale dipendenza economica e politico-diplomatica dei turco-ciprioti dalla «madrepatria anatolica».
Proprio l’ascesa del partito AKP di Erdoğan ha segnato un primo cambiamento nell’atteggiamento turco verso Cipro, di segno tuttavia opposto rispetto alle attuali evoluzioni. Rompendo con la tradizione del ventennio precedente, il primo governo Erdoğan ha infatti sostenuto diplomaticamente il progetto di riunificazione dell’isola sotto l’egida dell’ONU. In quel contesto è venuta a maturare una strana convergenza tra la destra turca e il centrosinistra turco-cipriota al tempo rappresentato dal filo-europeo Mehmet Ali Talat, favorevole alla pacificazione con la comunità greco-cipriota e alla riunificazione. Si trattava della fine di un tradizionale sodalizio tra i governi conservatori di Ankara e gli ultranazionalisti isolani che facevano riferimento allo storico leader turco-cipriota Rauf Denktaş, aprendo apparentemente nuovi scenari nel Mediterraneo orientale.
L’apertura turca verso una soluzione conciliatoria della questione cipriota ha in realtà costituito una parentesi del tutto particolare, da inserirsi nel contesto della breve ma intensa stagione riformista ed europeista dei primi anni di Erdoğan. Il fallimento del referendum tenutosi nel 2004 riguardo alla riunificazione dell’isola – approvato da una larga maggioranza di turco-ciprioti ma respinto dagli elettori della parte greca – ha costituito la pietra tombale per le speranze di una riunificazione che potesse soddisfare pienamente i turco-ciprioti e la Turchia. Il contestuale ingresso di Cipro nell’Unione Europea e l’atteggiamento sovente ostile del governo greco-cipriota verso la Turchia all’interno delle istituzioni europee non ha fatto altro che esacerbare il sentimento di sfiducia. Del resto il progressivo arenarsi del processo di integrazione della Turchia nell’Unione Europea ha fatto venire meno qualsiasi interesse turco nel trovare una soluzione equa per Cipro. Si può dunque dire che Ankara sia tornata da tempo sulle storiche posizioni riguardo alla questione cipriota.
Tra Cipro e Ankara
A Cipro il cambio di orientamento di Ankara non è stato però recepito passivamente. Nonostante il perdurare della dipendenza economica e politico-diplomatica da Ankara, i primi due decenni del nuovo millennio sono stati malgrado tutto caratterizzati da uno scenario di maggior dinamismo e indipendenza della società e della politica turco-cipriota rispetto alla Turchia. Mentre Ankara tornava alla tradizionale retorica nazionalista su Cipro, nel nord dell’isola hanno continuato ad alternarsi governi sovente progressisti e che proseguivano nel coltivare un atteggiamento maggiormente conciliante e moderatamente favorevole alla riunificazione. In linea generale si deve ammettere che le amministrazioni turco-cipriote hanno dimostrato un certo spirito di resistenza verso le linee politiche e sociali sempre più conservatrici provenienti dalla Turchia. Ciò è stato in special modo evidente durante la presidenza di Mustafa Akıncı tra il 2015 e il 2020, quindi nel periodo che per la Turchia è stato caratterizzato dalla massima pressione autoritaria e islamico-nazionalista. Affinché Cipro Nord si riallineasse ai progetti politici ad Ankara è stato dunque necessario uno stravolgimento del quadro politico turco-cipriota, concretizzatosi attraverso l’elezione alla presidenza del conservatore Ersin Tatar, fervente sostenitore del mantenimento del legame con la madrepatria e della presenza militare turca sull’isola.
La posizione attualmente assunta da Erdoğan e Tatar va però ben oltre la tradizionale – e comunque relativamente prudente – tendenza turca alla conservazione dello status quo isolano. Il duo si è fatto portavoce con grande forza della Two-States Solution, quindi della definitiva divisione dell’isola con il riconoscimento della comunità internazionale. Non si tratta più di mantenere lo stato di cose a Cipro, ma di volerlo cambiare in favore degli interessi turchi. Un gesto simbolico di estrema rilevanza è in questo senso la proclamata riapertura e il progetto di ripopolamento della città fantasma di Varosha, per altro in violazione di una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU. La volontà di agire in modo così spregiudicato e provocatorio costituisce ormai un marchio di fabbrica del nuovo stile politico inaugurato dal presidente Erdoğan nel corso dell’ultimo quadriennio. Bisogna però domandarsi in che modo Cipro rientri in questo quadro.
Le ambizioni del Reis
È molto difficile che le forzature e i gesti simbolici del presidente turco possano nel breve o nel medio periodo cambiare il quadro cipriota e convincere la comunità internazionale a mutare le proprie posizioni. L’unica realistica prospettiva è quella di esacerbare ulteriormente le tensioni e i rancori che dividono le due comunità dell’isola. Le ambizioni di Erdoğan sono di altra natura e riguardano il grande conflitto che si sta svolgendo sottotraccia nel Mediterraneo orientale, a partire dalla questione dello sfruttamento delle notevoli risorse energetiche nell’area. La Turchia sta usando la propria presenza a Cipro – intensificandola sotto molti aspetti – per aumentare il proprio peso geopolitico nel più ampio contesto delle avventure diplomatico-militari turche nella regione.
In definitiva è molto probabile che poche cose cambieranno a Cipro nel rapporto tra le due comunità e che le speranze dei turco-ciprioti che hanno eletto Tatar siano destinate a essere nuovamente frustrate. L’attuale atteggiamento di Erdoğan ha poco a che vedere con un reale interesse per la tutela della comunità turco-cipriota, ma semmai con le ambizioni egemoniche della Turchia nel Mediterraneo orientale.
Immagine: Flags of Turkey and Northern Cyprus – Northern Nicosia / Wikimedia Commons