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CALCIO: Lo Šachtar Donetsk, l’esiliato di guerra che parla italiano

È lei, è la squadra dei minatori. E sta tornando per la Prem”jer-lіha (il campionato ucraino di serie A) guidata da un mister tutto italiano. Lo scorso 25 maggio, infatti, l’ex allenatore del Sassuolo Roberto De Zerbi ha firmato un contratto di due stagioni con uno dei club calcistici più prestigiosi dell’Ucraina: lo Šachtar Donetsk.

La miniera calcistica di Donetsk

Un legame indissolubile quello tra le miniere di carbone e la squadra di calcio fondata nel 1936 con il nome di Stachanovets in onore del leggendario minatore di carbone sovietico della regione, Aleksej Stachanov, e che prese il nome Šachtar – in ucraino “minatore” – solo nel decennio successivo. Anche il logo del club riflette l’importanza della professione mineraria della regione di Donetsk: combina, infatti, due martelli incrociati e un contrasto di colori arancione-nero, rappresentanti rispettivamente la luce del sole e l’ombra delle miniere.

Con pochi successi da esibire nei 55 anni in cui ha gareggiato nell’ex Campionato e Coppa dell’Unione Sovietica, lo Šachtar ha avuto un inizio traballante nell’Ucraina indipendente. È riuscito a evolversi solo dopo un drammatico cambio di leadership nel 1995: quel 15 ottobre, durante una partita di campionato allo stadio Šachtar di Donetsk, ebbe luogo un’esplosione che uccise l’allora presidente del club Achat Bragin, noto imprenditore della regione che aveva acquistato lo Šachtar Donetsk l’anno precedente. Nell’esplosione morirono anche i suoi cinque uomini, mentre molte altre persone rimasero ferite. Motivo dell’assassinio di Bragin, che non era nuovo a tentativi di omicidio, erano i suoi affari: conosciuto nel mondo criminale come “Alik il Greco”, la sua organizzazione era in conflitto con altre della zona.

Una volta calmatosi il polverone sull’omicidio di Bragin con l’arresto dell’ex poliziotto Vjačeslav Sinenko, lo Šachtar ha trovato la sua fortuna nell’oligarca Rinat Achmetov, che ha preso le redini del club e l’ha condotto a una gloria senza precedenti. Sotto il comando dell’allora 29enne Achmetov, la squadra si è piano piano affermata come un serio contendente al titolo di campione. Giocando un tipo di calcio molto piacevole, combinando principalmente difensori locali e attaccanti brasiliani lo Šachtar ha raggiunto vette inimmaginabili, tra cui 4 titoli di campionato ucraino (2017, 2018, 2019 e 2020), 4 coppe ucraine (2016, 2017, 2018, 2019), due supercoppe (2015 e 2017) e la Coppa UEFA 2009.

Il peso della guerra nel Donbas

Costretti all’autoesilio dalla loro Donbass Arena nel 2014 a causa dello conflitto armato (scoppiato allora e ancora in corso) nei territori orientali dell’Ucraina, i minatori dello Šachtar hanno trovato rifugio temporaneo in altre parti del paese, con notevoli alti e bassi nelle loro prestazioni sul campo. Ma finché Achmetov continuerà a finanziare il club, i minatori sembrano sicuri di poter continuare a vincere titoli, sempre sognando di tornare nella loro Donetsk natia.

Ma se è impossibile tornare a giocare nella Donbass Arena, significa che lo Šachtar non è più un club di Donetsk? Ciò solleva la questione della sua identità, problema che si pone anche per gli altri club interessati della regione e per i relativi tifosi e ultras, alcuni dei quali hanno combattuto (e continuano a farlo) in prima linea.

Lo Šachtar Donetsk non è, infatti, l’unico club ad aver subito questo tipo di cambiamenti. Altri due club professionistici della regione hanno dovuto affrontare un destino simile: l’Olympik Donetsk e lo Zorja Luhansk, che giocano rispettivamente a 600 e 300 chilometri da casa. Il primo ha già giocato in quattro stadi diversi dal 2014 e chiama finalmente “casa” lo stadio di Černihiv, dove gioca anche la squadra locale, il Desna Černihiv. Lo Zorja Luhansk, invece, disputa le sue partite casalinghe alla Slavutyč Arena di Zaporižžja, condividendo il campo con il Metalurh Zaporižžja.

Dopo essere stato sballottato da est a ovest e aver cercato di trovare un equilibrio in almeno tre stadi diversi (Kiev, Leopoli, Charkiv), nel maggio 2020 il club di Achmetov è riuscito a trovare un compromesso con il Ministero della Gioventù e dello Sport ucraino e ha firmato un contratto di tre anni per giocare le sue partite casalinghe presso lo Stadio Olimpico della capitale ucraina, a 700 chilometri dall’ormai distrutta Donbass Arena.

Costruito nel 1923 e conosciuto in epoca sovietica come Stadio Rosso, l’imponente e moderno Nacional’nyj Sportyvnyj Kompleks «Olimpiyskiy», con i suoi 70mila posti, non è solo un luogo di incontri internazionali, ma è soprattutto lo stadio ufficiale della Dinamo Kiev, squadra rivale dello Šachtar. Una vera e propria ironia della storia se si considera l’antagonismo che esiste da vent’anni fra i due club.

De Zerbi allo Stadio Olimpico di Kiev

La politica sportiva dello Šachtar Donetsk è leggermente cambiata negli ultimi anni e non solo a causa della guerra. Il club ora si affida più ai giovani ucraini che ai brasiliani che sono stati (e sono tuttora) la forza della squadra sin dai primi anni 2000 grazie alle decisioni dell’allenatore Mircea Lucescu (2004-2016), ora allenatore niente di meno che della rivale Dinamo Kiev. 

Giovani ucraini che si sono fatti valere durante il recente Campionato Europeo: i centrocampisti della nazionale ucraina Ruslan Malinovskiy e Oleksandr Zinčenko, pur non avendo mai giocato nello Šachtar, sono nati e cresciuti nel settore giovanile di questo club. Lo Šachtar ha potuto esibire a Euro 2020 (+1) anche il talento del portiere Anatoliy Trubin, del difensore Mykola Matvijenko e del centrocampista Taras Stepanenko, tutti giocatori che il nuovo allenatore italiano stima molto.

L’arrivo di De Zerbi, di recente ben accolto sia all’Olympiyskiy che allo stadio di Sviatošyn dove si allena la squadra, promette bene per lo Šachtar: “Il mio obiettivo è migliorare il livello dei giocatori e vincere trofei, ma anche aiutare il club ad alzare il suo livello, proprio come il club alzerà il mio. Con questo intendo tutto: calciatori, strutture e livello di gioco”, afferma l’italiano in una delle prime interviste.

Per approfondire:

 

Immagine: NSC Olimpiyskiy/Claudia Bettiol

Chi è Claudia Bettiol

Nata lo stesso giorno di Gorbačëv nell'anno della catastrofe di Chernobyl, sono una slavista di formazione. Grande appassionata di architettura sovietica, dopo un anno di studio alla pari ad Astrakhan, un Erasmus a Tartu e un volontariato a Sumy, ho lasciato definitivamente l'Italia per l'Ucraina, dove attualmente abito e lavoro. Collaboro con East Journal e Osservatorio Balcani e Caucaso, occupandomi principalmente di Ucraina e dell'area russofona.

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