Steaua Bucarest

CALCIO: 35 anni fa la Steaua Bucarest campione d’Europa fra mito e realtà

Trentacinque anni fa, per la prima volta, una squadra dell’Europa orientale vinceva la Coppa dei Campioni. Il 7 maggio del 1986, allo Stadio Ramón Sánchez Pizjuán di Siviglia, la Steaua Bucarest batteva ai calci di rigore il Barcellona.

Leggende e falsi miti

Su quella partita si è scritto molto, raccontando in maniera spesso romanzata cosa successe durante e dopo l’incontro. In particolare, come è giusto che sia, i riflettori sono da decenni puntati sul portiere Helmuth Duckadam, che di quella partita fu l’eroe e il mattatore, parando tutti e quattro i rigori agli avversari. In un’impeccabile divisa verde dell’Adidas, ipnotizzò i tiratori blaugrana, portando il trofeo dove non era mai stato: nella bacheca di un club romeno. Ma più che sulle sue gesta sportive, spesso neanche analizzate, si è sempre preferito indugiare sulla leggenda che lo volle vittima del figlio del Presidente Nicolae Ceaușescu, Nicu, che gli fece rompere entrambe le mani, accecato dalla gelosia. Ma lo stesso Duckadam, in una recente intervista alla rivista inglese FourFourTwo smentisce il fatto: “[si diceva che] Nicu Ceaușescu, […], mi avesse sparato al braccio, ma questo semplicemente non è vero. Ho sempre negato le varie storie su un membro della famiglia che mi sparava perché li avevo messi in ombra o li avevo infastiditi”. Eppure ancora oggi c’è chi insinua che la storia delle mani spezzate sia vera. Rimangono due alternative: o non è informato sui fatti, o è in malafede e preferisce scrivere il falso, perché è giornalisticamente più accattivante.

Ridurre però quella vittoria alla sola finale non rende merito alla portata dell’impresa che quegli uomini compirono. Innanzitutto è giusto ricordare qualche nome di quella splendida rosa. Ad esempio, Tudorel Stoica, Miodrag Belodedici, László Bölöni, Victor Pițurcă e Marius Lăcătuș. I difensori centrali erano davvero molto forti e Adrian Bumbescu era una vera e propria roccia. Stoica non figura nella formazione della finale, perché era indisponibile, così la fascia passò a Ștefan Iovan. È ancora più sorprendente pensare all’impresa dello Steaua Bucarest, alla luce dell’assenza di uno dei suoi migliori giocatori.

Il ruolo di Valentin Ceaușescu

Il presidente non ufficiale di quella squadra era Valentin Ceaușescu. Grande appassionato di calcio, fu l’unico membro della famiglia a passare indenne la tempesta del 1989. Per la Steaua Bucarest rivestì un ruolo piuttosto importante. Dopo i quarti di finale, nello spogliatoio disse ai calciatori che sarebbero arrivati fino in fondo. Nessuno lo prese sul serio e, una volta uscito, tutti scoppiarono a ridere. La storia dimostra che aveva ragione. Ma il suo impegno non si limitò alle parole. Durante l’inverno portò la squadra in ritiro in montagna, permetterndole di essere pronta all’arrivo dei primi caldi. Le permise anche di allenarsi sotto la luce dei riflettori, cosa niente affatto scontata in un periodo di razionamenti per il paese. In questo modo la Steaua avrebbe potuto affrontare le migliori squadre d’Europa anche in notturna. Infine, quando la Uefa disse che le divise delle due squadre erano troppo simili, Valentin si procurò velocemente una nuova muta, adatta alle esigenze cromatiche dell’incontro. Oggi sembra una cosa naturale, ma nella Romania della metà degli anni Ottanta non lo era affatto.

Un cammino non troppo accidentato

Il cammino dei romeni iniziò dalla Danimarca (Vejle), per poi passare dagli eterni rivali ungheresi (Honved) e dai finlandesi del Kuusysi Lathi, incredibilmente arrivati ai quarti di finale, dopo aver estromesso il Sarajevo e lo Zenit Leningrado. Dopo uno 0-0 a Bucarest, il ritorno in Finlandia divenne decisivo. Trentamila tifosi di casa (record assoluto del paese nordico) affollarono le tribune dello stadio. Tutto intorno al campo una fitta coltre di neve, per un’ambientazione incredibile e suggestiva. Il gol decisivo fu segnato da Pițurcă che portò i suoi alle semifinali contro i belgi dell’Anderlecht. L’andata a Bruxelles si concluse con il vantaggio dei bianco-malva, mentre il ritorno a Bucarest fu un’unica sinfonia romena: 3-0, grazie a una doppietta del solito Pițurcă e a un bel gol in girata di Gavril Balint. Non rimaneva che un ultimo scoglio: il Barcellona.

Le partite precedenti erano state preparate anche grazie all’aiuto di due giornalisti, che tramite le ambasciate straniere a Bucarest, avevano rimediato dei filmati delle future avversarie della Steaua. Tuttavia per la partita contro i catalani, non erano riusciti a trovare niente di niente. Questo fu un ulteriore scoglio, ma permise a Duckadam di giocarsi i rigori senza preconcetti, con la mente totalmente libera.

Il premio e il colpo di genio

Prima della partita tuttavia, iniziò a correre una voce nella capitale romena. La Steaua avrebbe venduto la partita per un non ben precisato premio. Sempre nella stessa intervista, Duckadam racconta che invece successe l’esatto opposto, ovvero che gli uomini del Partito Comunista promisero un premio in caso di vittoria. “Inizialmente ci dissero che avremmo avuto tutti una moto rumena, poi una Dacia, poi un ARO 4×4 di produzione nazionale. Due mesi dopo la finale, finalmente ci regalarono un ARO 4×4. Ma ci fu un’altra sorpresa: le auto non erano nuove. Ci avevano dato auto vecchie e usate dall’esercito. Addirittura Iovan ricevette un’auto assemblata da un meccanico con pezzi di varie macchine differenti! Nessuno di noi fu contento. Le ARO erano veicoli per i pastori. Decidemmo di venderle a pezzi”.

Arrivare ai rigori per i romeni non fu una passeggiata, anche perché il Barcellona era un’ottima squadra e gli spalti erano pieni di sostenitori dei catalani, mentre solo pochissimi romeni avevano potuto seguire la squadra a causa delle ferree regole per il visto. L’allenatore della Steaua non era certo uno sprovveduto e aveva allestito una formazione molto accorta. Emerich Jenei era conosciuto come un manager carismatico, ma in quella finale giocò un jolly di assoluta qualità, passato spesso in sordina. Al 75°, mentre il forcing del Barcellona aumentava, stupì tutti con il suo primo cambio: con il numero 15, dalla panchina si alzò non un giocatore qualunque, ma la bandiera dello Steaua, Anghel Iordănescu. 317 presenze e più di 155 gol. Niente di strano? Certo, se non fosse che Iordănescu era il vice di Jenei e non giocava una partita dal 1984. Una mossa d’altri tempi, un giocatore di classe, messo in campo per meno di un’ora, con il preciso compito di rallentare la manovra avversaria. Un colpo da maestro oggi impensabile.

Psicologia dei rigori

A proposito di quei rigori, Duckadam racconta: “Il primo rigore di Jose Ramon Alexanko è stato il più difficile da parare. Ho indovinato e sono andato dalla parte giusta. Era il tipo di tiro che ogni portiere ama: non troppo alto e non molto potente. […] Una questione di fortuna? Ascolta, puoi tuffarti all’angolo destro 10 volte di fila, ma se non sei abbastanza atletico o forte, non parerai nessun rigore. La pressione era alta, dato che i nostri due tiri dal dischetto erano stati parati da Urruti”.

Con il secondo rigore Duckadam dice di aver scelto un approccio più logico. Toccava a Pedraza. “Ho provato a pensare a cosa avrei fatto io se fossi stato in lui. Sono andato di nuovo alla mia destra. Forse Pedraza ha pensato che avrei fatto il contrario nel secondo rigore, come aveva fatto Urruti. Ero molto in forma. Avevo gambe forti e mi sono spinto al limite per pararlo”. Lăcătuș segnò il suo rigore e dopo due tiri parati ciascuno, la Steaua era passata in vantaggio.

Il terzo è stato il più facile da parare. Alonso deve aver pensato: Ok, è andato a destra due volte, non ci andrà di nuovo. Sparerò lì. Sbagliava”. Balint tirò con calma il suo rigore nell’angolino basso per il 2-0. Il successivo tiro di Marcos era decisivo. “Per me è stata una questione di ispirazione. Se guardi attentamente il replay del suo tiro, vedrai i giochi mentali che ho usato. Per prima cosa, gli ho lasciato pensare che sarei andato alla mia sinistra. Mentre si avvicinava, mi sono spostato leggermente sulla mia destra, poi improvvisamente sono saltato a sinistra. Mi ha visto cambiare direzione, ha pensato che avrei continuato a saltare alla mia destra e ha sparato debolmente alla mia sinistra. Quando lo spieghi in questo modo, sembra quasi facile, ma quando ci sono 70.000 persone che ti guardano in una finale di Coppa dei Campioni, è molto più complicato!”

E adesso che si fa? Come si festeggia?

La Steaua Bucarest era campione d’Europa, ma per i suoi giocatori si poneva una sfida ancora più difficile: come festeggiare il trionfo? Forse per scaramanzia, ma nessuno si era preparato a questa evenienza. La sera tornarono in albergo con la Coppa, trovarono ad aspettarli un bicchiere di vino e un po’ di champagne. E per quella sera non successe altro. Ma il bello arrivò il giorno dopo, quando i giocatori fecero una passeggiata per le vie di Siviglia. I tifosi delle due squadre locali, Siviglia e Betis, entusiasti per la sconfitta del Barcellona, offrirono interminabili giri di birra ai romeni, chiedendo autografi e facendo festa grande. “La storia ci racconta come finì la corsa…” e anche come finì quella squadra. Mentre per le strade di Bucarest decine di migliaia di persone festeggiavano i giocatori, la squadra al gran completo fu ricevuta dal Conducător che volle incontrarli personalmente. Ceaușescu però riservò loro parole molto fredde, arrivando addirittura a sostenere che se si fossero impegnati di più e preparati meglio avrebbero potuto vincere nei tempi regolamentari.

La vita di Duckadam invece cambiò radicalmente e in peggio: si rifiutò di prendere parte a un incontro “sistemato” dove l’attaccante della Steaua avrebbe dovuto segnare molti gol per vincere il titolo di capocannoniere. Il progetto naufragò e il goleador di quell’anno fu un attaccante dello Sportul Studentesc di nome Gheorghe Hagi (ma, come si dice in questi casi, questa è un’altra storia). A causa del suo rifiuto il portiere venne allontanato dal centro allenamenti e dovette subire anche un processo dal Generale Ilie Ceaușescu (la Steaua Bucarest era la squadra dell’esercito), che terminò con la multa di due mensilità.

Ma questo fu solo il primo scalino verso l’inferno sportivo. Poco dopo a Duckadam fu diagnosticato un aneurisma al braccio destro. Dopo l’operazione, volò a Tokyo per la finale di Intercontinentale. Non avrebbe giocato, ma i fotografi volevano scattare delle foto all’Eroe di Siviglia. “Dovevo solo assicurarmi di cadere sul braccio sinistro”. Ben presto però arrivò il divieto dei medici. Era troppo pericoloso continuare a giocare. Visto che non era più utile alla causa, Duckadam fu allontanato dalla Steaua Bucarest e venne invitato a lasciare l’esercito. Tornò alla sua città d’origine, Arad, dove trovò un impiego nella polizia di frontiera. Qualche tempo dopo ritornò in campo nelle serie minori e in una partita di Coppa nazionale, lontano da tutti i riflettori, ripeté in parte i miracoli di Siviglia. Tuttavia, non tornò mai più a giocare e solo recentemente è stato accolto come ambasciatore nella nuova società del presidente Gigi Becali, il FCSB.

Foto: wikipedia

L’autore vuole ringraziare per il supporto e l’aiuto nella realizzazione di questo perzzo il giornalista Emanuel Rosu e il videomaker Damiano Benzoni

Chi è Gianni Galleri

Autore di "Curva Est. Un viaggio calcistico nei Balcani" e "Questo è il mio posto. Le nuove avventure di Curva Est fra calcio e Balcani". Ha coordinato la redazione sportiva di East Journal fino al 2021.

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