Nel corso del mese di giugno l’Ungheria di Orbán, ormai ostracizzato dal Partito Popolare Europeo, ha adottato leggi omofobe che hanno suscitato la riprovazione di buona parte dei governi europei. Ma dietro tale battaglia culturale contro “gayropa” si cela la costruzione di uno “stato profondo” in grado di controllare il paese in caso Orbán perda le elezioni del prossimo anno.
Le leggi omofobe di Orbán
Il 15 giugno il parlamento ungherese ha adottato all’ultimo minuto degli emendamenti alla legge sulla lotta alla pedofilia, che vietano la diffusione ai minori di 18 anni di informazioni che potrebbero essere percepite come promozione dell’omosessualità e richiede alle organizzazioni di ottenere una licenza governativa per fornire educazione sessuale nelle scuole. La legge, che secondo i critici è più restrittiva del divieto “propaganza gay” in vigore in Russia dal 2013, dovrebbe entrare in vigore nel mese di luglio.
La nuova norma fa seguito a due recenti decisioni governative volte a limitare i diritti della comunità LGBT: il divieto per le persone transgender di cambiare nome sui documenti ufficiali, lo scorso anno, e il divieto di adozione per i single (e le coppie omosessuali), a dicembre.
Le reazioni
I governi di 17 paesi UE hanno firmato una dichiarazione congiunta contro la legge, mentre la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen l’ha qualificata come “vergognosa“, annunciando azioni legali. Ma secondo Orbán vergognosa sarebbe la reazione europea. “Questa non è una legge sull’omosessualità, ma una legge su come i bambini vengono educati in materia di sessualità”, ha affermato il premier ungherese (già nel 2018 l’Opera Nazionale ungherese aveva cancellato Billy Elliot, ritenuto “un modello di vita deviante per i bambini”).
La polemica ha avuto anche ripercussioni sportive, quando la UEFA ha vietato al sindaco di Monaco di illuminare lo stadio con i colori dell’arcobaleno in occasione della partita Germania-Ungheria di Euro2020 del 22 giugno, definendola una questione “politica” – e ottenendo il plauso del ministro degli esteri ungherese Peter Szijjarto.
In vista delle elezioni 2022
Un politico di Fidesz ha recentemente affermato: “Con noi a Fidesz, tutti possono assumere liberamente la propria identità sessuale”. E il caso di József Szájer, dello scorso anno (con l’eurodeputato magiaro pizzicato a un festino gay a Bruxelles in violazione del coprifuoco) dimostra come l’ipocrisia in fatto di sessualità sia la cifra del partito Fidesz: a Budapest tutti sapevano dell’omosessualità di Szájer, la cui moglie Tünde Handó, è un avvocato di spicco e l’ultima persona a essere nominata da Orbán alla Corte costituzionale ungherese. Nonostante la retorica omofoba permamente, essere gay in Fidesz non è un problema, finché non viene reso pubblico.
Perché, allora, la svolta legislative omofoba degli ultimi mesi? L’Ungheria si avvia verso le elezioni politiche della primavera 2022, e non è difficile intravedere in questa continua guerra culturale contro un’immagine costruita del cosiddetto Occidente (“gayropa”, Soros, ecc.) la volontà del regime di Orbán di compattare il proprio blocco elettorale di sostegno.
A differenza delle due precedenti tornate elettorali, infatti, l’opposizione ungherese ha deciso di presentare liste unificate per cercare di estromettere Orbán. Con Fidesz e l’opposizione testa a testa nei sondaggi, il partito di Orbán rischia di perdere le elezioni tra dieci mesi, dopo aver governato l’Ungheria per dodici anni. La posta in gioco non potrebbe essere più alta per entrambe le parti.
Le ragioni della svolta omofoba
Secondo quanto spiegato a La Libre Belgique da Zsuzsanna Szelényi, ex deputata di Fidesz dal 1990 al 1994 ed esperta di politica estera ungherese all’Accademia Robert Bosch, ci sono tre ragioni alla base delle nuove leggi omofobe di Orbán: mobilitare il proprio elettorato, dividere l’opposizione e provocare una reazione internazionale che gli permetta di far passare in sordina altre riforme ben più radicali. Queste riforme puntano alla costruzione di uno “stato profondo” che permetta a Orbán di continuare a controllare il paese anche in caso dovesse perdere le elezioni.
In primis, le nuove norme omofobe rafforzano il quadro interpretativo illiberale della cospirazione mondiale da parte della lobby gay. In tal modo, Fidesz conta di mobilitare l’elettorato rurale e conservatore per opporsi ai liberali urbani di Budapest e, più in generale, di Bruxelles.
In secondo luogo, Orbán sa che i diritti civili restano una questione divisiva per la variegata coalizione di opposizione che comprende liberali, socialisti, verdi e Jobbik, e che ancora fatica a trovare candidati comuni per i 106 collegi elettorali da opporre a Fidesz. Jobbik ha infatti votato a favore delle leggi omofobe il 15 giugno.
Infine, secondo Szelényi, la svolta omofoba aveva esattamente lo scopo di provocare uno shock nelle capitali europee, distraendo l’attenzione da altri progetti di legge problematici approvati lo stesso giorno. Fidesz ha infatti approvato un bilancio che dà carta bianca al governo per offrire somme illimitate agli ungheresi prima delle elezioni.
Il parlamento ungherese ha anche istituito una fondazione pubblica per ospitare il campus privato dell’Università Fudan a Budapest, che sarà costruito con un prestito cinese che indebiterà i contribuenti ungheresi per decenni, privando inoltre le università ungheresi dell’accesso ai fondi di ricerca governativi ed europei. Il partito Fidesz ha creato alcuni mesi fa questo tipo di fondazioni di gestione del patrimonio pubblico per affidare in gestione beni e proprietà statali – ad esempio università e autostrade – a enti gestiti da Fidesz. Secondo Szelényi, queste fondazioni, controllate da uomini di Fidesz, creeranno uno stato all’interno dello stato che impedirà al prossimo governo di esercitare il potere se Fidesz dovesse perdere le elezioni.
E mentre la Commissione europea, il governo tedesco e il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti si affrettavano a condannare le leggi omofobe come in contrasto con i “comuni valori europei”, queste altre decisioni che mettono sempre più a rischio la democrazia in Ungheria sono passate sotto traccia. Il rischio è che, quand’anche Orbán dovesse perdere le elezioni, resti comunque lui a tirare le fila in un regime politico in cui le decisioni non passano più attraverso le istituzioni democratiche.
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