Georgi Gospodinov è senza dubbio l’autore bulgaro più noto e tradotto degli ultimi decenni. In Italia approda già nel 2007, grazie all’interessamento del professor Giuseppe Dell’Agata e alla casa editrice Voland. Dopo la raccolta di racconti Tutti i nostri corpi, uscita lo scorso anno, finalmente il celebre poeta e prosatore ritorna con un nuovo romanzo, Cronorifugio. Pubblicato in Bulgaria nel 2020, si è aggiudicato il Premio letterario nazionale per il romanzo bulgaro dell’anno (Natsionalna literaturna nagrada za bălgarski roman na godinata).
Come nei precedenti Romanzo naturale e Fisica della malinconia, anche in Cronorifugio Gospodinov continua l’esplorazione del rapporto tra essere umano, passato e malinconia in una veste letteraria innovativa e sperimentale. Lo scrittore bulgaro imbastisce una distopia incombente che racchiude l’ambiguo, irresistibile richiamo dei vecchi tempi, che possono curare, ma anche essere strumentalizzati, specie dalla politica. Un “romanzo [che] viene per urgenza coi fari accesi e a sirene spiegate”, un condensato di interrogativi su ciò che ci aspetta alla fine della pandemia, un viaggio a ritroso nel futuro in cui il lettore può trovare asilo. Abbiamo intervistato l’autore.
La traduzione italiana di Cronorifugio è la prima edizione del romanzo in lingua straniera. Che legame ha con l’Italia e il pubblico italiano? Italia e Bulgaria sono due paesi meridionali “disordinati”, come scrive nel libro – quali sono i tratti che li accomunano, secondo lei?
Sì, il primo a tradurlo è stato il mio amico e traduttore preferito Giuseppe Dell’Agata. La stessa cosa è successa con Fisica della malinconia. È il quinto dei miei libri pubblicato in italiano e posso dire con tranquillità che in Italia ricevo una delle accoglienze più calorose di pubblico e critica. C’è una sorta di vicinanza particolare che non riesco a spiegare. Penso che il mio vissuto bulgaro venga compreso al meglio proprio dal lettore italiano. Il nostro e il vostro essere meridionali s’intendono perfettamente. C’è una qualche fratellanza emotiva, una parentela emotiva. Tale vicinanza deriva probabilmente da questo essere “disordinati”, dal trovarsi al di fuori della logica convenzionale. E proprio nelle pagine che parlano dell’Italia emerge la nostra comune “spinta della malinconia”. Perfino nelle nostre malinconie c’è spinta e passione. Sempre lì, nella parte dedicata all’Italia ci sono alcuni dei pensieri più intimi del protagonista, che vuole invecchiare così, in compagnia di amici in una loquace piazza italiana, di sera. Che le sue mattine siano austro-ungariche e le sere italiane.
La terza parte del romanzo è interamente dedicata alla Bulgaria, che definisce “un paese a parte”. All’inizio del libro parla dell’“eterna malinconia e disagio di essere bulgari”. Come spiegherebbe queste espressioni al pubblico ‘occidentale’?
Non vorrei spiegarle. La terza parte del romanzo affronta il cosiddetto Referendum sul passato in Bulgaria, che nelle pagine seguenti viene esteso agli altri stati europei. Ma in cosa si differenzia il caso bulgaro? Nel mio romanzo precedente, Fisica della malinconia, ho provato a tracciare una possibile geografia della malinconia, chiedendomi in che misura le nostre malinconie siano diverse, oppure se in definitiva si possa parlare di un’unica malinconia, la malinconia di essere umani. In Cronorifugio proseguo la storia affrontando il tema degli anni felici che una persona o un popolo ricorda. E quanto questa memoria sia ingannevole, alle volte perfino pericolosa. È possibile ritornare al proprio passato felice?
Possiamo dire che il passato rappresenta il grande tema di tutte le sue opere. Qual è il suo rapporto personale con il passato? C’è differenza tra il passato socialista e quello successivo al 1989?
Uno dei temi, sì. Allo stesso modo mi interessa anche il passato che non è accaduto. Esiste pure questo tipo di passato. Come continuiamo a ricordare e a vivere con la consapevolezza di quello che non è successo? In che maniera determina la nostra esistenza, talvolta addirittura più di ciò che ci è successo? Se il passato è una stanza, è normale volerla visitare ancora una volta, starci seduti dentro un paio d’ore, dopodiché alzarsi e chiudere bene la porta, per non confondere i tempi. La pericolosità sopraggiunge quando qualcuno prova a usare il passato come un’esca per attirare intere società, promettendo loro i vecchi tempi. È quello che fa la maggior parte dei populisti in questo momento. Durante il socialismo ci promettevano un futuro luminoso. Adesso promettono il passato, è questa la differenza.
Come può un lettore interpretare il personaggio di Gaustìn? È un suo alter ego, un sosia letterario, un gemello? Che relazione ha con lui?
Gaustìn è presente in modo più o meno marcato nella maggior parte dei miei libri. Nel nuovo romanzo si trova però nel suo elemento, prende le cose in mano e tutto l’esperimento con il passato è una sua idea e ossessione. E come tutte le ossessioni non va a finire bene. Gaustìn non vuole più essere solo il mio alter ego, ma inizia ad avanzare la pretesa di avermi creato lui. Come dice lui stesso nel romanzo – io ti ho inventato perché tu inventassi me. Certe volte arriva a farmi arrabbiare. Ma la verità è che ho costantemente bisogno di lui. Soprattutto quando vuole portarmi in un’altra epoca. Lui riesce a fare queste cose.
Nel romanzo lei descrive in maniera dettagliata e metaforica la situazione politica in Bulgaria – il nazionalismo, la nostalgia per il socialismo, le proteste, i brogli elettorali, le coalizioni impensabili… Tra qualche settimana si terranno le nuove elezioni parlamentari e nel frattempo gli scandali non si arrestano – qual è il suo parere circa il contesto attuale? Sente che qualcosa potrebbe finalmente cambiare?
Ho scritto questo romanzo con l’idea che potesse essere letto come un’utopia imminente. Avevo la sensazione che le vicende descritte sarebbero accadute presto, che sarebbe stata questione di cinque-dieci anni. Non mi aspettavo però che sarebbero successe adesso. Qui in Bulgaria sembra di essere tornati all’inizio degli anni Novanta, perfino alcuni dei “nuovi” volti della politica sono in realtà figure di quel decennio. Non mancano gli appelli a riavviare tutto, a ricominciare tutto daccapo, solo che l’energia e l’ottimismo dei Novanta non ci sono più.
Nel libro sostiene che la professione dello scrittore sia “innocua” e “inafferrabile” e che “non c’è modo di legittimarla”. Come intende il suo ruolo di autore? Qual è il legame che i suoi libri hanno intessuto con i lettori bulgari e stranieri?
Avevo 21 anni quando il sistema cambiò, nel 1989. Ho vissuto tutte le crisi della cosiddetta fase di transizione, sono sceso in strada, sono invecchiato in strada. Alle proteste del 2013 avevo già 45 anni, e mia figlia 7. Abbiamo manifestato insieme. Penso che uno scrittore, specie quando ha raggiunto tanta notorietà, abbia delle responsabilità nei confronti dei propri lettori e debba essere con loro.
La cosa più bella che mi è capitata grazie ai miei libri non sono i premi o le traduzioni in altre lingue, ma le parole che ricevo dai lettori. Una donna mi scrisse dall’ospedale, a seguito di un’operazione difficile, e mi disse che mentre leggeva il mio libro sentiva di avere ancora voglia di vivere. Cos’altro può chiedere uno scrittore.
Anni fa, a una lettura nel piccolo paesino di Sora (FR) ho avuto un incontro incredibile con lettori che sapevano a memoria passi e dialoghi di Fisica della malinconia. Io amo parlare con i lettori. Amo ascoltare le storie che mi raccontano, evocate dalle mie stesse storie. Noi ci scambiamo storie. Questo è il grande conforto della letteratura. Esiste una comunità invisibile di tuoi lettori che magari non incontrerai mai, ma nel momento in cui qualcuno legge il libro intrattiene con te un dialogo incessante. Questo dialogo ci salva dalla solitudine e dalle nostre paure.
L’autrice ringrazia Nikola Mihov per l’aiuto nell’organizzazione dell’intervista a Georgi Gospodinov. Traduzione dal bulgaro a cura dell’autrice.
foto: capital.bg/Tsvetelina Belutova