“Questa fratellanza criminale usa metodi da banditi per prendere il controllo delle istituzioni statali. […] I socialisti e i deputati di Șor’s sono passati dalla farsa e irresponsabilità politica ad azioni non-costituzionali”, ha affermato la presidente Maia Sandu di fronte al consiglio supremo di sicurezza il 23 aprile.
Non è la prima volta che Sandu si riferisce a questi deputati come corrotti. Da quando è giunta alla presidenza, l’ex leader del Partito Azione e Solidarietà (PAS) ricorda quasi quotidianamente ai cittadini moldavi la sua intenzione di liberarsi dei “banditi” in parlamento.
I criminali in questione sono Igor Dodon, presidente del Partito dei Socialisti della Repubblica di Moldova (PSRM), e Ilan Șor, leader dell’omonimo partito. Dodon, nel 2020, è stato accusato di aver intascato una mazzetta sotto forma di kuliok (involto di carta) dall’oligarca in fuga ed ex leader del Partito Democratico Vladimir Plahotniuc. Mentre Ilan Șor è stato identificato come il principale artefice della sparizione di un miliardo di dollari dal sistema bancario moldavo nel 2015.
I populisti contro i corrotti
Le elezioni anticipate dell’11 luglio si preannunciano come la battaglia finale tra i populisti e i corrotti. Da un lato ci sono gli attivisti di PAS e della Piattaforma Dignità e Verità (DA) guidata da Andrei Năstase, dall’altro il PSRM, il resuscitato Partito Comunista della Repubblica di Moldova (PCRM), e Șor. Sebbene i giornalisti siano abituati a riportare i confronti elettorali moldavi come uno scontro geopolitico tra pro-europei e pro-russi, per la prima volta quest’elezione sembra un referendum sulla corruzione e il risultato farà capire quanto sia profonda la frattura tra popolazione ed élite.
Gli slogan populisti di PAS non sono cambiati e, sull’onda lunga delle presidenziali del 2020 (“E’ l’ora delle brave persone”), il leader ad interim del partito, Igor Grosu, ha optato per la speranza: “Iniziamo i bei tempi”. Il blocco socio-comunista ha invece ha adottato lo slogan “insieme vinceremo”, ma dai loro volantini si legge il tentativo di sfruttare la paura del cambiamento: “Oggi, quando il pericolo di distruggere lo stato moldavo incombe sulla Moldavia, rischiamo di essere privati della nostra patria, della nostra casa paterna”. Anche in Moldavia i conservatori sfruttano dunque la paura, mentre i progressisti si affidano alla speranza.
L’unico vero punto programmatico su cui i due principali blocchi elettorali si sono confrontati sono le pensioni. Infatti, se all’inizio della campagna elettorale PSRM e PCRM sostenevano che PAS intendeva diminuire le pensioni minime, da qualche giorno il partito di Grosu sostiene di voler alzare la pensione minima a 2.000 lei mensili (94 euro circa).
Pochi si aspettavano che Dodon avrebbe ricucito lo strappo con l’ex alleato ed ottuagenario autocrate Vladimir Voronin, leader dei comunisti. Eppure, i due hanno trovato un’intesa, situazione che preannuncia il rafforzamento del blocco elettorale, in particolare nelle periferie. Con la stessa dialettica apocalittica che contraddistingue Berlusconi, in queste settimane Voronin è stato più volte ospitato in televisione, dove ha avvertito il popolo moldavo dei rischi di votare a favore di PAS e dei partiti pro-europei. La dichiarazione che ha fatto più scalpore è stata quella in cui ha chiesto se i moldavi volessero avere figli con la pelle nera come risultato della presenza dei soldati della NATO sul territorio del paese.
Non è stata ricucita invece la rottura tra Sandu e Năstase, ex alleati nel 2019 nel blocco ACUM. Questa potrebbe essere una grave perdita per l’elettorato populista e pro-europeo che vedrebbe così sparire dal parlamento tanti di quei deputati, come Alexandru Slusari, che hanno combattuto per anni il regime corrotto di Vladimir Plahotniuc.
I partiti in gara
Parteciperanno alla corsa elettorale 23 partiti, confermando così la tradizione elettorale che vede la partecipazione di un alto numero di liste rispetto ai 101 seggi disponibili in parlamento. Ma ormai è chiaro quanto la politica moldava, caratterizzata da un frequente ricorso ai “tecnici”, finisca per invogliare ex ministri o primi ministri a entrare in politica in maniera più stabile. Ne è un esempio il Partito per lo Sviluppo e il Consolidamento della Moldova guidato da Ion Chicu, ex primo ministro dimessosi appena a dicembre del 2020. Un altro è il Partito Legge e Giustizia di Mariana Durleșteanu, proposta da PSRM e Șor nei mesi scorsi come possibile primo ministro da succedere a Chicu. Chiaramente la proposta non era stata gradita da Sandu che non l’ha nominata alla carica.
Tra i candidati che si sono resi protagonisti in questa campagna elettorale c’è sicuramente il Partito Costruiamo l’Europa a Casa (PACE) guidato dall’ex poliziotto Gheorghe Cavcaliuc. In aprile, membri del partito hanno attaccato il presidente della regione di Sângerei versandogli addosso vernice verde. Il politico si era reso colpevole di “saltare la fila” nella procedura di vaccinazione contro il virus Sars-Cov2. In quelle settimane, il vaccino era disponibile solamente per il personale sanitario. Decine sono state le violazioni in giro per il paese, ma non ci sono state iniziative autorevoli volte a punire i trasgressori. I candidati di PACE, con metodo quasi squadrista hanno quindi deciso di far rispettare l’ordine.
Lo stesso Gheorghe Cavcaliuc si è reso protagonista di quella che in politica informale si definisce “uccisione del personaggio” (che consiste nella distruzione della reputazione di un avversario politico), quando a Cutia Neagră, su TV8, ha denunciato che nel 2016 Nata Albot, nota giornalista e co-conduttrice del popolare programma web Internetu’ Graiaeste, (Internet parla), fu fermata all’aeroporto di Chișinău con 0,78 grammi di marihuana. Albot aveva da poco accettato la proposta di PAS di entrare nelle fila dei candidati elettorali, ma poco dopo la rivelazione ha deciso di ritirarsi. Chiaramente, la polizia non aveva avviato indagini e aveva archiviato la pratica. Eppure, Cavcaliuc, probabilmente facendo leva sulle sue conoscenze professionali, è riuscito a mettere le mani sul report della polizia e farlo vedere in diretta TV. Chiaramente, alla rivelazione sono seguiti servizi televisivi dei gruppi vicini al PSRM che si sono riferiti ad Albot alternativamente come “drogata” e “narco-trafficante”.
Lo scontro sulla diaspora
Come fatto notare da Francesco Magno sulle pagine di East Journal, ci si aspetta che anche a queste elezioni il voto della diaspora sia determinante. Lo sa bene il PSRM che ha fatto pressione sul Comitato Elettorale Centrale (CEC) per avere lo stesso numero di seggi previsti alle elezioni presidenziali. Eppure, come sa chi ha seguito la nostra diretta per le presidenziali, code interminabili di elettori caratterizzano un po’ in tutti i seggi sparsi per l’Europa. Tant’è che il Ministero degli Esteri aveva chiesto al CEC di aumentare la cifra di seggi all’estero per raggiungere la quota minima di 150.
Pur lamentando la mancanza dei fondi necessari per aprire nuovi seggi, il CEC si è poi adeguato in queste settimane alla cifra minima richiesta del Ministero. È stato necessario però un ricorso dei principali partiti, da PAS al Nostro Partito di Renato Usatîi, a chiamare in causa la Corte d’Appello. La sentenza della Corte ha obbligato il CEC ad aumentare la quota dei seggi all’estero da 139 a 150.
Chi ci si aspetta di vedere in parlamento
In generale, i moldavi non credono agli exit poll, in parte perché non si fidano della professionalità dei giornalisti che li propongono, in parte perché contestano la metodologia con cui sono realizzati. Infatti, da un lato la diaspora non può essere inclusa nelle misurazioni in maniera efficiente, dall’altro i sondaggi vengono fatti quasi esclusivamente nella capitale. Eppure, nei mesi scorsi IRI aveva condotto un buon sondaggio sulle presidenziali. Sebbene sia stato realizzato in aprile, l’istituto di ricerca ha individuato i partiti favoriti.
Chiaramente ci si aspetta che il grosso dei seggi sarà spartito tra PAS e il blocco PSRM-PCRM. Difficile sarà rivedere il Partito Democratico in parlamento. Frammentatosi nel corso della legislatura 2019-2021 con la fuga dell’oligarca Plahotniuc, difficilmente il partito di Pavel Filip riuscirà a superare la soglia di sbarramento del 6%. Neppure il partito di Andrei Năstase, reduce da una bruciante sconfitta alle presidenziali sembra destinato ad entrare in parlamento.
Invece è possibile che sia Șor che Usatîi passino la soglia in virtù del loro forte legame territoriale con le città di Orhei e Bălți. In particolare, Usatîi potrà essere l’ago della bilancia in caso di pareggio tra i due contendenti al governo. L’ex politico gangster Renato Usatîi è una figura ambigua della politica moldava. Esiliato per anni dal paese per colpa di Dodon e Plahotniuc, il sindaco di Bălți è un convinto filo-russo finanziato dal nazionalista russo Vladimir Zhirinovskij. Eppure, Usatîi cerca da mesi di non essere accostato a Dodon, tentando un “re-branding” come candidato anticorruzione. L’abbiamo visto alle presidenziali del 2020, quando al secondo turno ha deciso di supportare Sandu. Però lo stesso Usatîi ha dovuto fare un’alleanza con partito Patria per rinominare il blocco Usatîi, dato che il pubblico conosce lui ma non il suo Partito Nostro. Insomma, in un’elezione che si preannuncia come lo scontro finale tra il bene e il male, sembra che il risultato non sarà così scontato.
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