Questo articolo è frutto di una collaborazione con OBCT
Il prossimo 11 luglio i cittadini moldavi si recheranno alle urne per eleggere il nuovo parlamento, dopo che la precedente legislatura ha chiuso i battenti anzitempo a causa di una crisi prolungata, che non ha trovato altro sbocco se non le consultazioni anticipate. Dal voto dipende non soltanto la stabilità politica del paese, ma anche il suo futuro economico nel breve e medio termine.
Il contesto: come si è arrivati al voto anticipato
Il vuoto di potere in Moldavia era nato a seguito delle dimissioni, nel dicembre 2020, del premier Ion Chicu, leader di un esecutivo nato dalla coalizione tra il Partito dei Socialisti dell’ex presidente della Repubblica Igor Dodon e il Partito Democratico. Con le sue dimissioni, Chicu ha anticipato il voto di sfiducia, già calendarizzato, proposto da PAS (Partito Azione e Solidarietà) la formazione politica guidata da Maia Sandu.
Durante l’inverno e la primavera scorsi, Sandu ha cercato invano di favorire la nascita di un esecutivo di transizione. Tuttavia, le figure da lei proposte – l’ex ministro delle finanze Natalia Gavrilița (nominata due volte nel giro di pochi giorni nonostante un’evidente mancanza di forza parlamentare) e il presidente ad interim di PAS Igor Grosu – non hanno ricevuto il necessario sostegno per formare una maggioranza. Il 28 aprile il presidente ha quindi sciolto le camere e convocato le elezioni per il prossimo 11 luglio.
Per molti osservatori l’intento di Sandu era chiaro sin dall’inizio: nominare consapevolmente figure che non avrebbero mai ottenuto una maggioranza al fine di dissolvere il parlamento e andare al voto anticipato, così da cementificare con un governo fedele la vittoria ottenuta alle presidenziali dello scorso autunno. Prima del suo scioglimento infatti il parlamento moldavo esprimeva ancora i rapporti di potere emersi dalle elezioni del 2019, a seguito delle quali i socialisti di Dodon avevano ottenuto la maggioranza relativa.
I contendenti
È diventato quasi un luogo comune affermare come ogni tornata elettorale in Moldavia rappresenti un crocevia per stabilire la posizione geopolitica del paese, ormai endemicamente diviso tra chi vorrebbe affermarne l’orientamento europeo e chi invece sottolinea l’indissolubile legame con il mondo russo.
Neanche le prossime consultazioni dell’11 luglio si sottraggono a questa narrativa dicotomica. A PAS, il partito della Sandu da sempre favorevole ad un rafforzamento dei legami con l’Europa, si oppongono i cosiddetti filorussi, oggi riuniti nel Blocco Elettorale dei Comunisti e dei Socialisti (BECS). A capo di questa coalizione vi sono due ex presidenti della Repubblica, Igor Dodon e Vladimir Voronin, riunitisi nonostante una lunga storia di screzi. Dodon è stato per anni un discepolo di Voronin, fino a quando non lo “tradì” nel 2011 fuoriuscendo dal Partito Comunista per sostenere Nicolae Timofti alla presidenza della Repubblica insieme alle forze pro-europee.
Ha ragione Maia Sandu quando afferma che soltanto la paura di scomparire politicamente abbia potuto rimettere insieme due figure che nell’ultimo decennio non hanno mai nascosto di detestarsi. La campagna elettorale del BECS si basa su alcuni leitmotiv ormai abbastanza noti e stereotipati: la paura che Sandu e i suoi “vendano” il paese agli stranieri (occidentali), e che questo comporti lo smantellamento dei valori tradizionali moldavi, primo fra tutti il cristianesimo ortodosso.
Dagli ultimi sondaggi, PAS appare favorito, ma ancora non abbastanza forte da poter formare da solo un governo. Il problema principale per Sandu è che le altre formazioni pro-europee, come il partito dell’unità nazionale di Octavian Țîcu (fautore di un’unione con la Romania) o ACUM, dell’ex sodale Andrei Năstase, sembrano lontani dalla soglia del 5% che garantirebbe loro l’accesso in parlamento.
La diaspora
Come sempre, fondamentale sarà il voto dei moldavi all’estero. Da questo punto di vista non dovrebbero esserci sorprese; la maggioranza dei loro voti si indirizzerà verso PAS, come accaduto in occasione delle ultime presidenziali. Sono già oltre 100.000 gli espatriati che si sono iscritti nelle liste elettorali; mai si era stato registrato un numero così alto. La Commissione Elettorale Centrale ha stabilito che saranno 139 i seggi disseminati in Europa e nel mondo, un numero troppo basso secondo molti cittadini, che hanno veementemente protestato nella capitale per chiedere l’istituzione di nuove sezioni.
Un voto fondamentale per l’economia
La Commissione europea ha approvato lo scorso 1° giugno un piano di 600 milioni di euro, da erogare nei prossimi tre anni, in sostegno all’economia moldava. I soldi dovranno essere dedicati soprattutto allo sviluppo delle infrastrutture e al rafforzamento delle piccole e medie imprese nazionali. Naturalmente, la concessione di questa somma è condizionata alla realizzazione delle varie riforme richieste dall’Europa, specialmente quella della giustizia. È facile pensare che se PAS dovesse vincere le elezioni il denaro incontrerebbe molti meno ostacoli nel suo percorso verso Chișinău.
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Immagine: di David Peterson/Pixabay