Essere credente e, allo stesso tempo, parte della comunità LGBT+ può sembrare a molti un ossimoro. Per smontare questo pregiudizio basterebbe accennare alla presenza, in tutto il mondo, di gruppi di persone credenti LGBT+ impegnate nella lotta contro un doppio stigma: quello inflitto dalle comunità religiose d’appartenenza e quello spesso proveniente dall’interno, da una comunità queer non sempre pronta a comprendere una fede percepita come aliena.
A ciò, in Russia, si aggiunge l’ostilità dell’opinione pubblica e di una propaganda politica che ha fatto dell’omobitransfobia il proprio cavallo di battaglia.
Il ruolo della Chiesa ortodossa russa nella propaganda anti-queer
Nel 2000, la Chiesa ortodossa russa pubblicava i suoi Fondamenti della dottrina sociale (Osnovy social’noj koncepcii Russkoj pravoslavnoj cerkvi). In questo testo, per la prima volta nella storia della neonata Federazione, un’istituzione prendeva posizione ufficiale nei confronti delle cosiddette relazioni non tradizionali. Nel documento, l’omosessualità – o meglio, il gomoseksualizm, la pratica ideologica e perversa dell’omosessualità – non veniva nemmeno inserita nei capitoli dedicati alla relazionalità, ma era ricondotta nell’alveo della bioetica e dei bisogni peccaminosi.
Di lì a pochi anni, la politica e la legislazione russa avrebbero conosciuto un’inclinazione inarrestabile verso l’omobitransfobia. In tale sviluppo, il documento ufficiale della Chiesa ortodossa ha senza dubbio rappresentato un precedente autorevole. Ed è probabile che i progetti legislativi successivamente proposti in ambito secolare si siano ispirati ai principi e alla terminologia in esso contenuti.
Leggendo questi dati in maniera superficiale, si potrebbe imputare proprio alla Chiesa l’apertura di una rinnovata fase di attacchi verso la comunità LGBT+. In realtà, come raccontiamo in questo articolo, le origini del forte sentimento omobitransfobico in Russia sono principalmente laiche. Esse si legano, infatti, alla legislazione e ai contenuti di una propaganda sovietica sedimentatasi nella coscienza comune, al di là delle più disparate variabili sociali. La Chiesa ortodossa russa è espressione di un contesto culturale trasversalmente incline all’omobitransfobia, e porta avanti, in maniera del tutto sinfonica, un discorso morale incentrato sugli ideali patriarcali e ipermascolini propugnati dalle stesse istituzioni laiche.
Anche sul piano ecumenico-diplomatico l’attitudine della Chiesa russa sembra ricalcare quella della politica secolare. Essa si presenta, infatti, come baluardo di valori tradizionali non negoziabili, in aperta opposizione al liberalismo delle chiese protestanti occidentali, colpevoli di un eccessivo lavoro di reinterpretazione del messaggio biblico.
Come si traduce tutto ciò nella vita quotidiana di un credente?
In un contesto in cui un dialogo pubblico disteso è ostacolato con ogni mezzo anche a livello secolare, le porte di tutte le chiese legalmente registrate – non solo, quindi, di quella ortodossa – rimangono ufficialmente chiuse per i fedeli LGBT+. Esistono singoli sacerdoti, all’interno della chiesa ortodossa, cattolica e protestante, disposti a porgere il proprio sostegno ai fedeli in forma del tutto privata. O, per meglio dire, segretissima. La nascita di spazi ufficialmente riconosciuti dalle chiese per un confronto aperto e tollerante rimane, per il momento, una speranza remota. Di fronte all’eventualità di essere discriminati o cacciati dalla propria comunità, ai fedeli non resta che tacere.
La necessità di riflettere in ottica intersezionale sul significato della propria fede e della propria identità queer rimane, tuttavia, un bisogno fondamentale per tanti cristiani LGBT+ russi, schiacciati dal peso di essere una minoranza all’interno di una minoranza. Negli ultimi decenni, a Mosca e San Pietroburgo sono nati gruppi come Svet Mira, Nuntiare et recreare, l’Associazione delle comunità eucaristiche cristiane (Associacija christianskich evcharističeskich obščin). Qui, viene dato spazio all’accoglienza e al sostegno reciproco tra credenti di diverse confessioni, cristiane e non, in costante dialogo con i forum e le associazioni internazionali di cristiani LGBT+.
Tra le iniziative più coraggiose spiccano le messe-kvartirniki (messe “in appartamento”) che padre Aleksandr Chmelev celebra dal 2016 a San Pietroburgo. Per garantire la sicurezza di tutti, le attività di questi gruppi, per quanto non segrete, rimangono intimamente private, circoscritte a un cerchia di “amici”. La luce delle croci arcobaleno di queste piccole comunità ci ricorda che giugno non è solo il mese dell’orgoglio, ma, soprattutto, del coraggio.
Vi aspettiamo mercoledì 30 giugno alle 18 per una nuova tavola rotonda in collaborazione con Memorial Italia. Si parlerà di diritti LGBT+ nel mondo post-sovietico.
Moderati da Simone Attilio Bellezza, interverranno: Eugenia Benigni, Yuri Guaiana, Martina Napolitano e Andrea Zoller.
La diretta verrà registrata e sarà in seguito disponibile sui nostri canali YouTube e IGTV.
Immagine: currenttime.tv