Domenica 20 giugno in Armenia si svolgeranno elezioni parlamentari anticipate. In quali condizioni il paese arriva a questo importante appuntamento elettorale? Quali sono le forze in campo? Lo spiegheremo in questa guida e nella diretta in programma per il 20 giugno alle 20.
Un anno da dimenticare
Il 2020 è ormai impresso nella nostra memoria collettiva come un annus horribilis, la cui fine è stata celebrata con particolare enfasi in tutto il mondo. Tale narrazione risulta particolarmente veritiera per l’Armenia, paese che, oltre alla pandemia e alla conseguente crisi economica, lo scorso autunno ha subito una sconfitta militare dal vicino Azerbaigian. Il risultato di quest’ultimo evento è stata la perdita di molti dei territori del Nagorno-Karabakh, regione per la cui indipendenza gli armeni si erano battuti in modo compatto a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta e per la difesa della quale tanti sacrifici erano stati fatti nei decenni successivi.
Le elezioni parlamentari anticipate del 20 giugno sembrano quindi una conseguenza quasi inevitabile di questa catena di disastri. Appare, infatti, normale che in un periodo di crisi per un paese chi è alla guida venga messo in discussione. Eppure, le dimissioni del primo ministro uscente Nikol Pashinyan, in apparenza imminenti lo scorso 10 novembre, giorno in cui è stato firmato l’accordo di pace – una resa per molti versi – con l’Azerbaigian non sono arrivate prima di marzo, quando, dopo una lunga agonia per il governo, le forze politiche hanno definito i passaggi per arrivare alla tornata elettorale di domenica prossima.
La fine del velluto
Nei mesi durissimi che hanno fatto seguito alla sconfitta militare sono definitivamente scomparsi l’ottimismo per il futuro e le aspettative – più o meno realistiche – derivanti dalla cosiddetta rivoluzione di velluto dell’aprile 2018 che aveva portato al potere Pashinyan.
Se la rivoluzione era stata, agli occhi di molti, il momento in cui la popolazione armena era riuscita a far sentire la propria voce eliminando politicamente una élite corrotta che da anni bloccava lo sviluppo economico del paese, lo stesso gruppo di potere uscito sconfitto nel 2018 – e in particolare l’ex presidente Robert Kocharyan – è tornato prepotentemente sulla scena sfruttando il malcontento derivante dal disastro militare.
Se i manifestanti si riferivano a quella del 2018 come a una “Rivoluzione dell’Amore e della Solidarietà” e il riferimento al velluto indicava la volontà distensiva della nuova classe politica, tale retorica è stata dimenticata nei primi mesi del 2021, lasciando spazio a una guerra senza esclusione di colpi tra le forze politiche e anche tra i vari poteri dello stato in base alla loro affiliazione politica.
Lo stesso Pashinyan, lo scorso 25 febbraio, nel pieno di uno scontro frontale con i vertici militari, dalla piazza della Repubblica di Erevan, quella che lo aveva incoronato nel 2018, aveva proclamato la fine del velluto. Il premier uscente ha poi ribadito il concetto l’8 giugno promettendo una: “strage del personale” in caso di vittoria, per liberare l’apparato governativo dai suoi “cavalli di Troia”.
Come vedremo, tale retorica è corrisposta da una narrazione similmente dura da parte dell’opposizione che ha Pashinyan nel mirino, oltre che per la sconfitta militare, anche per la crisi irrisolta legata alla demarcazione del confine tra Armenia e Azerbaigian e per la questione dei prigionieri di guerra armeni che, a più di sei mesi dalla fine del conflitto, sono ancora sotto la custodia delle autorità azere.
Un paese a pezzi
L’Armenia arriva quindi alle elezioni parlamentari in un clima di pessimismo diffuso. Nell’ultimo anno i suoi abitanti sono stati colpiti dalla crisi economica e dal forte rincaro dei prezzi di diversi beni alimentari. In un paese con meno di 3 milioni di abitanti, tante famiglie hanno perso almeno un caro per conseguenza della Covid-19 (che in base ai dati ufficiali ha mietuto più di 4mila vittime) o della guerra (circa 4mila sono anche i caduti, spesso giovanissimi, nel conflitto).
Quale che sia il risultato delle elezioni, lo scontro politico è destinato a continuare con conseguenze poco chiare per il futuro del paese. Tra i motivi di cauto ottimismo per l’avvenire, l’attesa ripresa economica post-pandemia – nonostante il diffuso scetticismo sui vaccini – e la speranza che un governo con una maggioranza solida abbia il mandato popolare per risolvere le tante questioni in bilico cruciali per la sicurezza nazionale, su tutte: la demarcazione del confine con l’Azerbaigian e la definizione di uno status definitivo per il Nagorno-Karabakh.
Nella seconda parte della guida alle elezioni parlamentari in Armenia introduciamo le principali forze in campo nella tornata del 20 giugno.
Immagine: East Journal/Aleksej Tilman