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KOSOVO: L’accordo di Kumanovo e la fine della guerra

Il 10 giugno 1999 entrava in vigore l’accordo di Kumanovo tra la NATO e la Repubblica Federale di Jugoslavia, concludendo così ufficialmente la guerra del Kosovo. L’accordo poneva fine a 78 giorni di bombardamenti e sanciva il ritiro delle forze jugoslave dal Kosovo, sostituite da una missione internazionale, come regolato nella Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Due giorni dopo, il 12 giugno, le truppe della NATO entravano in Kosovo, accolte come liberatori da una popolazione stremata da anni di violenze.

La guerra

La guerra del Kosovo era iniziata ufficialmente nei primi mesi del 1998, con l’escalation degli scontri tra l’Esercito di Liberazione del Kosovo (UÇK) e le forze militari e di polizia jugoslave, culmine della decennale repressione contro gli albanesi attuata dal regime di Slobodan Milošević nell’allora provincia serba.

L’evolversi dello scontro attirò l’attenzione della comunità internazionale. A partire dall’estate del 1998, le potenze occidentali fecero capire a Milošević che non avrebbero tollerato un’altra Bosnia. Nell’ottobre 1998, sotto la minaccia dei bombardamenti, Milošević si convinse ad accettare una missione di osservatori internazionali dell’OSCE in Kosovo, ma la ripresa delle ostilità, culminata nel massacro di 45 civili albanesi a Racak nel gennaio 1999, dimostrarono la scarsa volontà delle parti di giungere ad un compromesso.

Il fallimento di ogni mediazione durante la conferenza di pace di Rambouillet portò alla decisione della NATO di procedere con i bombardamenti aerei sul territorio della Jugoslavia, iniziati ufficialmente la sera del 24 marzo. Durante i bombardamenti, il piano di pulizia etnica perpetrato dal regime di Milošević subì un’impennata. Fino alla fine della guerra, fu un susseguirsi di attacchi indiscriminati su villaggi e città, massacri di civili, deportazioni forzate, stupri.

In due anni di guerra, circa 13.000 persone furono uccise in Kosovo, di cui più di 10.000 albanesi, mentre in almeno 800.000 si rifugiarono nei paesi vicini. Per causa diretta dei bombardamenti della NATO, morirono all’incirca tra le 500 e le 1000 persone, di cui la maggioranza in Kosovo.

L’accordo di Kumanovo

La fine dei bombardamenti e delle operazioni di pulizia etnica in Kosovo arrivò a inizio giugno 1999 grazie ad un’offensiva diplomatica guidata dalla Russia e dal presidente finlandese Marti Ahtisaari, in stretto contatto con i paesi della NATO. Dopo l’accettazione dei termini dell’intesa da parte di Milošević e l’approvazione del parlamento serbo ottenuta pochi giorni prima, il 9 giugno veniva firmato nella città macedone di Kumanovo l’accordo tecnico militare tra la forza di sicurezza internazionale (KFOR) e i governi della Repubblica Federale di Jugoslavia e di Serbia.

Il contenuto dell’accordo, il cui nucleo era il ritiro di tutte le forze di natura militare jugoslave dal Kosovo e la fine delle ostilità, fu poi completato dalla risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU dell’11 giugno. Secondo tale risoluzione, al Kosovo veniva riconosciuto un progressivo autogoverno sotto supervisione internazionale. Una missione civile ONU (UNMIK) sarebbe stata inviata in Kosovo per assistere alla ricostruzione e allo sviluppo democratico, mentre la missione militare KFOR, sotto l’egida ONU e con la partecipazione di membri NATO e non, avrebbe garantito la sicurezza dei residenti.

Una soluzione che, sul lungo periodo, lasciava aperta la questione dello status del Kosovo (fino all’indipendenza dichiarata in modo unilaterale nel 2008) ma che nel breve ebbe il merito di porre fine alla guerra.

La fine della guerra

Per gli abitanti del Kosovo, la fine della guerra ebbe la sua rappresentazione concreta nel ritiro delle forze serbe e nell’arrivo delle forze militari della KFOR, iniziato il 12 giugno. Folle festanti, bandiere dei paesi della NATO, fiori e abbracci accompagnarono i circa 50.000 soldati al loro arrivo in Kosovo, simbolo della fine di un incubo. Nelle stesse ore, anche la popolazione di Belgrado scendeva in piazza per festeggiare la fine dei bombardamenti, che avevano paralizzato la città e l’intero paese per più di due mesi. Nonostante i media di regime esaltavano la capacità di Milošević di resistere alla NATO, celebrando una presunta vittoria, fu chiaro da subito che la Serbia aveva definitivamente perso ogni controllo sul Kosovo.

L’arrivo dei soldati della KFOR segnò anche un doppio, ed inverso, movimento di popolazioni. Circa 800.000 kosovaro-albanesi, dopo mesi passati nei campi profughi dei paesi vicini, potevano finalmente fare ritorno in Kosovo: alla felicità del ritorno si accompagnò ben presto la disperazione per quanto ritrovato. Le forze serbe, difatti, si erano rese colpevoli della distruzione di case, luoghi di cultura, moschee ed interi quartieri delle città, in particolare quelli più antichi e rappresentativi della cultura albanese.

Tale scenario apocalittico generò in alcune aree una reazione degli albanesi contro la popolazione serba locale, le loro proprietà e le chiese ortodosse. Durante e subito dopo la guerra, furono circa 1800 le vittime tra i civili serbi e di altre etnie minoritarie. Le vendette e le intimidazioni, ma anche la consapevolezza di alcuni di non poter restare dopo aver collaborato ai crimini e ai soprusi a danno degli albanesi negli anni precedenti,  portarono tra le 200 e le 230.000 persone, soprattutto serbi ma anche rom ed altre etnie, ad abbandonare la ormai ex-provincia e cercare rifugio in Serbia, mostrando come il progetto di un Kosovo multietnico partiva con evidenti difficoltà.

Una data spartiacque

Il 10 giugno 1999, dunque, fu una data cruciale per la storia del Kosovo e della Serbia, carica di sentimenti contrastanti come solo la fine di una guerra può essere. Fu la conclusione di una storia iniziata nel 1912, quando le truppe serbe entrarono in Kosovo per portarlo, con la violenza, sotto il controllo di Belgrado; al contempo, fu l’inizio di un nuovo capitolo per quello che oggi è un giovane stato.

Nel Kosovo di oggi, le truppe della KFOR sono ancora presenti, seppur ridotte a 3.500 unità, e i rapporti tra la maggioranza albanese e la minoranza serba continuano ad essere segnati da scarso dialogo e sospetto reciproco, anche a causa della politica di Belgrado, contraria ad ogni riconoscimento dell’indipendenza di Pristina. Nonostante le inevitabili ferite della guerra, la strada del Kosovo verso un futuro europeo e di pace è ormai segnata, un percorso iniziato proprio il 10 giugno del 1999.

Foto: Wikipedia

Chi è Andrea Zambelli

Andrea Zambelli è uno pseudonimo collettivo usato da vari membri della redazione di East Journal.

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