KAZAKHSTAN: Arresti e repressione non fermano il declino di un regime al bivio

di Pietro Acquistapace

Le notizie che giungono dal Kazakhstan in questi giorni confermano quanto già scritto da EJ nelle settimane scorse: il colosso centro asiatico si sta rivelando in tutta la sua debolezza. E lo sta facendo colpendo chi può maggiormente mettere in luce le crepe del sistema, ossia i giornalisti e i membri dell’opinione pubblica.

Il 23 gennaio Igor Vinyavskiy, direttore del settimanale indipendente Vzgliad, è stato arrestato ad Almaty dai servizi speciali kazaki nell’ambito di un’inchiesta per ”sovversione” ai danni del regime del presidente Nazarbaiev e per attentato all’unità territoriale dello Stato. Nella stessa giornata è stato tratto in stato di fermo anche Vladimir Kozlov, leader del partito d’opposizione Alga!, ufficialmente non registrato.

La ragione dell’arresto di Vinyavskiy e Kozlov sembra risiedere nella loro attività in merito ai tragici fatti di Zhanaozen, dove morirono almeno 17 persone in durissimi scontri tra scioperanti e polizia. In particolare Kozlov è accusato di avere incitato i disordini, accusa per la quale rischia fino a dodici anni di reclusione. Con la stessa accusa si trovano imprigionate anche l’attivista di Alga!Ayzhangul Amirova, in attessa di giudizio, e l’avvocato Natalya Sokolova, che ha difeso legalmente gli scioperanti ed è stata condannata in agosto a sei anni di carcere.

Vinyavskiy invece, a causa dei suoi articoli molti critici nei confronti del governo Nazarbayev in merito alla gestione delle violenze di Zhanaozen, è detenuto, come detto, con l’accusa di voler favorire il rovesciamento violento dell’ordine costituzionale, reato che può portare a una condanna fino a sette anni di reclusione. Complessivamete in relazione ai fatti di Zhanaozen al momento le persone a vario titolo imprigionate sono trentatrè.

In aggiunta a ciò Alga! e altri mezzi di informazione come Stan TV ed il giornale Respublika sono stati pubblicamente accusati da Yermukhamet Yertysbayev, consulente politico di Nazarbayev, di essere legati all’oligarca Mukhtar Ablyazov, acerrimo nemico del presidente kazako e stabilitosi a Londra dal 2009 dopo la nazionalizzazione della banca da lui amministrata (BTA Bank). Questione per la quale Ablyazov si è rivolto ai tribunali inglesi e dove il procedimento giudiziario è tuttora in corso. Basti citare il fatto che per attaccare il governo Nazarbayev, Ablyazov ha addirittura creato un canale televisivo ad hoc, ossia K+. Sempre a Londra è da segnalare la presenza di Rakhat Aliev, ex genero di Nazarbayev, entrato in rotta in rotta di collisione con la potente famiglia al potere e profondo conoscitore di quanto avviene dietro le quinte kazake. Entrambi avrebbero interesse nel destabilizzare il Kazakhstan ed alcuni analisti hanno visto la loro mano dietro l’escalation delle proteste di Zhanaozen.

Un paese quindi che si rivela una volta di più fragile, con una classe politica incapace di affrontare i cambiamenti e le sfide che si profilano nell’immediato futuro. Incapacità palesatesi in un’area chiave, e parliamo ancora di Zhanaozen, e determinante per l’avvenire del paese vista la sua importanza economica e geostrategica. A ciò si sommi il pericolo latente di derive nazionaliste per le minoranze presenti sul territorio kazako e si vedrà come la situazione rischi di essere esplosiva. La stessa regione del Mangistau, teatro delle violente proteste operaie e storicamente appartenente ad una etnia diversa dalla dominante, sarebbe in procinto di ribellarsi ad Astana vista come un centro parassita che spoglia la regione delle sue ricchezze senza una valida contropartita. Non è un caso che Karimbek Kurshibaev, governatore della regione comprendente Zhanaozen, sia stato rimosso con l’accusa di approfittare della difficile situazione per rivendicazioni personali contro il potere centrale.

Il Kazakhstan si trova quindi di fronte ad una serie di problemi aperti, tra cui quello delle sue minoranze, fortemente influenzabili dalle scelte geopolitiche future. La stessa partecipazione all’Unione doganale con Russia e Bielorussia rischia di innescare meccanismi identitari dall’alto potenziale disgregante, come la questione del dibattito sullo status della lingua russa ha recentemente dimostrato.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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3 commenti

  1. Giusto per chiarire come stanno le cose… http://www.inform.kz/eng/article/2444303, ormai Londra e’ il PR ufficiale di Astana

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