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BIELORUSSIA: Protasevich è un “combattente di parole”, non un soldato di Azov

La scheda anagrafica di Roman Protasevich – giornalista bielorusso ed ex-redattore del canale Telegram NEXTA arrestato domenica 23 maggio in seguito al dirottamento all’aeroporto di Minsk del volo Ryanair Atene-Vilnius – è ormai nota non solo in Bielorussia, ma si è diffusa anche tra i diversi media internazionali (italiani compresi).

Tuttavia, se le posizioni di Protasevich nei confronti del regime di Lukashenko possono ormai sembrare abbastanza chiare ed evidenti, è il caso di fare un passo indietro per capire di cosa precisamente viene accusato il ventiseienne bielorusso e, soprattutto, perché da alcuni media filogovernativi (e non solo bielorussi!) viene definito come un “estremista di destra” che avrebbe combattuto in prima linea nel fronte più caldo del Donbas, in Ucraina, con il battaglione Azov. Chi è, allora, Roman Protasevich e perché è stato incluso nell’elenco delle organizzazioni e delle persone coinvolte in attività terroristiche?

Un “combattente di parole” nel Donbas ucraino

Fin da adolescente oppositore del regime di Lukashenko, Roman Protasevich ha partecipato alle prime “azioni silenziose” contro la leadership del paese all’età di 16 anni, venendo espulso dal liceo per aver accusato il governo di azioni che hanno portato alla crisi finanziaria, alla svalutazione del rublo bielorusso e a un forte aumento dei prezzi nel paese nel 2011.

Roman riesce comunque poi a entrare all’Università statale di Minsk, dove studia per diventare giornalista, ma non termina gli studi a causa di alcune controversie con gli insegnanti che, secondo le sue parole, “formano propagandisti di Stato e non giornalisti”. Viene quindi espulso per motivi politici, ma trova subito lavoro nei media, collaborando prima con Euroradio e Radio Liberty Belarus e poi co-fondando NEXTA con Stepan Putilo.

Protasevich non nasconde il fatto di aver preso parte alle proteste di Maidan durante la “rivoluzione della dignità” in Ucraina nel 2014, non come manifestante, bensì come blogger e giornalista: “Volevo semplicemente vedere come tutto era organizzato laggiù”, ha affermato, aggiungendo di essere rimasto solo pochi giorni nella capitale ucraina “fino a quando alcuni Berkut mi hanno colpito alla testa”. 

Da lì, si è recato, sempre come giornalista freelance, nei territori dell’Ucraina orientale del Donbas – ancora oggi teatro di scontri tra l’esercito ucraino e le forze separatiste – dove ha incontrato Ihor Huz, ai tempi leader del partito ucraino Alleanza Nazionale e coordinatore di Euromaidan nella sua città natale di Lutsk, nell’Ucraina occidentale. Huz e altri membri di Alleanza Nazionale, nel marzo del 2005, avevano sostenuto l’opposizione bielorussa che voleva rovesciare il regime di Lukashenko unendosi alla protesta (poi brutalmente soppressa dagli OMON bielorussi). Arrestati e rilasciati dopo  10 giorni, a Huz e ai suoi compagni venne vietato l’ingresso in Bielorussia per 5 anni.

Secondo Grigorij Azarenok – corrispondente regionale per il canale televisivo bielorusso STV e grande sostenitore e propagandista del regime di Lukashenko – Roman Protasevich sarebbe entrato a far parte del reggimento delle operazioni speciali Azov proprio su suggerimento di Huz, seguendo anche “un addestramento speciale per sparare con armi da fuoco, combattimento corpo a corpo, sabotaggio, lavoro sovversivo e operazioni d’assalto”. Ma Aleksej Kuzmenko, giornalista del gruppo internazionale di investigatori Bellingcat, smentisce: “In Ucraina dicono che Protasevich era al fianco del battaglione Azov come giornalista. Finora, non ci sono dichiarazioni e prove che abbia combattuto con Azov”, ha sottolineato Kuzmenko. Lo stesso leader di Azov, Andriy Biletskyi, afferma su Telegram: “Roman, insieme ad Azov e altre unità militari, ha combattuto contro l’occupazione dell’Ucraina. Era con noi vicino a Šyrokyne, dove è stato ferito. Ma come giornalista la sua arma non era la pistola, bensì la parola“.

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Nonostante le dichiarazioni di Azarenok siano per ora solo speculazioni e totalmente prive di fonti – oltre che provenienti da un uomo che appoggia Lukashenko – il regime bielorusso potrebbe usarle come nuove accuse contro Roman Protasevich.

“Lì mi aspetta la pena di morte!” 

È con queste parole che Roman Protasevich è sceso dall’aereo dopo l’atterraggio forzato a Minsk. Nonostante i timori fondati di questo destino (la pena di morte è ancora in vigore in Bielorussia) non siano per ora confermati, l’opposizione non si aspetta nulla di buono, essendo Protasevich tra i più noti oppositori del regime di Lukashenko, su cui ora gravano accuse non indifferenti.

Nato a Minsk nel 1995 in una famiglia di militari, la madre Natalia ha lavorato come bibliotecaria presso l’Accademia militare della Repubblica di Bielorussia, la stessa dove il padre Dmitrij Protasevich ha prestato servizio per diversi anni come tenente colonnello riservista.

ukasDmitrij, dimessosi poco dopo lo scoppio delle proteste anti-governative dell’agosto del 2019, è stato di recente privato di tutti i suoi gradi militari dal presidente in persona, Alexander Lukashenko. Il figlio Roman, commentando il documento portante la firma del capo di stato, ha scritto: “Mio padre ha prestato servizio nell’esercito per 29 anni e si è dimesso nell’autunno del 2019, dopodiché ha lavorato nel settore della raccolta differenziata. Non ha preso parte attiva alle proteste, non è mai stato arrestato o coinvolto. E Lei dice, la famiglia non la tocchiamo?”.

Dmitrij, che ha saputo dell’arresto del figlio tramite Telegram, ha paragonato il dirottamento e l’atterraggio forzato da parte dei servizi speciali a un atto terroristico. In un’intervista a Radio Svoboda afferma: “La cosa assurda è che tutto ciò sta accadendo nel XXI secolo, nel cuore dell’Europa. Come ex soldato, sono assolutamente sicuro che si trattasse di un’operazione pianificata in anticipo, preparata con cura, e probabilmente i servizi segreti della Bielorussia non erano soli”. 

Con lo scoppio delle manifestazioni, la famiglia di Roman si è spostata in Polonia: “No, non sono in Bielorussia. È impossibile vivere qui. Siamo all’estero da 8 mesi ormai”, afferma Dmitrij, sottolineando che temevano la persecuzione politica per le attività del figlio.

Per saperne di più: Cosa succede in Bielorussia, tutti gli articoli. E in ordine

Immagine: Engin Akyurt/Pixabay

Chi è Claudia Bettiol

Nata lo stesso giorno di Gorbačëv nell'anno della catastrofe di Chernobyl, sono una slavista di formazione. Grande appassionata di architettura sovietica, dopo un anno di studio alla pari ad Astrakhan, un Erasmus a Tartu e un volontariato a Sumy, ho lasciato definitivamente l'Italia per l'Ucraina, dove attualmente abito e lavoro. Collaboro con East Journal e Osservatorio Balcani e Caucaso, occupandomi principalmente di Ucraina e dell'area russofona.

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