La storia dell’Ungheria nella competizione è particolarmente complessa, fatta di ritiri, polemiche e poche soddisfazioni. Una chiave di lettura per leggere la società ungherese nel suo complesso, in bilico fra un’entusiastica adesione a valori e aperture europee, e prepotenti riaffermazioni tradizionaliste.
Gli esordi
Sebbene si fosse vociferato di una partecipazione ungherese all’Eurovision già negli anni ’70, l’esordio magiaro nella competizione è targato 1994. Nell’anno delle elezioni che consegnarono il paese al Partito socialista, prova evidente della difficoltà nella gestione della transizione economica, Friderika Bayer, accompagnata da Szilveszter Jenei superò le più rosee aspettative, portando il paese a ottenere il quarto posto.
Da quel momento però gli artisti del paese non riuscirono a ripetere un analogo exploit. Forse per colpa della riproposizione di modelli chiaramente di ispirazione anglosassone, come i “Take That ungheresi” V.I.P, capaci comunque di raccogliere il 12° posto (1997), o per la scelta cantautori più démodé, come Charlie, che rivendicò prima della sua partecipazione di non voler cambiare minimamente “stílus” e “feeling” (23°). Una scelta infelice nell’edizione dominata dall’affermazione di Dana International, cantante transessuale, seguita con attenzione dai media ungheresi.
Il primo ritiro
Dal 1999 il paese decise di ritirarsi dalla competizione per questioni economiche, perdendosi così alcune delle edizioni più favorevoli verso i paesi che avevano composto il blocco orientale: fra il 2000 e il 2004 vincono la competizione Estonia, Lettonia e Ucraina. Una vera e propria fiera dell’est, che il «Magyar Nemzet» celebrò come un rinnovamento del genere grazie alle forze fresche che provenivano dalla parte orientale del continente.
Il ritorno dei magiari nella competizione non fu però così fortunato: nel 2005 la band Nox arrivò nuovamente 12° con una canzone che elaborava motivi musicali folk in chiave pop. Un risultato con una piccola appendice polemica: József Vígh, rappresentante di Jobbik, protestò contro il commento del cronista BBC Terry Wogan, reo di aver apostrofato il complesso magiaro come “zingaro”.
Ancora sconvolto dalle registrazioni del premier Ferenc Gyurcsány sullo stato delle finanze ungheresi, il paese non partecipò all’edizione del 2006, vinta dai “cugini linguistici” finlandesi con i Lordi.
Anni di transizione
Nel 2007 l’orgoglio delle minoranze ungherese all’estero fu ridestato dalla partecipazione di Magdolina Rúzsa, nativa di Titov Vrbas (Verbász), in Serbia. Una partecipazione capace di suscitare anche eccessiva fiducia negli ungheresi, che pensarono persino a una possibile vittoria per la canzone in inglese Unsubstantial Blues, alla fine arrivata 9°.
L’Ungheria di Orbán
Il paese magiaro era nel frattempo cambiato profondamente: le elezioni del 2010 avevano regalato la maggioranza di 2/3 alla FIDESz di Viktor Orbán, senza portare a grandi rivoluzioni musicali. Così dopo il pop nostalgico di Kati Wolf e i Compact Disco l’Ungheria tornò ad affacciarsi fra le prime posizioni solo nel 2013 con ByeAlex, ostacolata secondo «Heti Válasz», solo dai giochi diplomatici fra le nazioni. L’anno dopo, nel concorso dominato da Conchita Wurst, l’Ungheria ottenne il suo secondo miglior risultato della sua storia, piazzandosi 5° con Kállay-Saunders, spinto dai voti delle minoranze magiare all’estero.
“Europerverzió”
Mentre l’Ungheria recupera un posto di rilievo nella rassegna continentale, l’offensiva culturale nei suoi confronti si intensifica. La vittoria di Conchita Wurst venne rapidamente ricollegata a quella di Dana International, che fomentò polemiche contro i criteri del festival, che premiavano figure di genere non conforme.
L’epilogo di questa polemica è nel 2019: dopo un buon 8° posto raccolto nel 2017 da Joci Pápai e il metal degli AWS, Budapest annunciò il proprio ritiro dalla competizione, motivato ufficialmente dal cambio di destinazione del contest A dal, utilizzato per selezionare la canzone del festival.
Una strategia che si andava a inserire nella più vasta campagna intrapresa dall’esecutivo di Budapest che nello stesso periodo condannava diverse iniziative culturali, come il musical Billy Elliot, accusato di essere “propaganda gay”, quindi smentiva la propria posizione attraverso l’uscita di qualche esponente di alto profilo.
E ora?
La storia dell’Eurovision e dell’Ungheria, per il momento si ferma qui: Budapest non ha ancora chiarito se in futuro riprenderà a partecipare alla rassegna europea. Un vero e proprio simbolo della scelta culturale intrapresa dal paese, in netta contrapposizione con i valori di integrazione e antidiscriminazione che caratterizza l’Unione.
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