Sei mesi sono trascorsi dalla fine del conflitto fra Azerbaigian e Armenia per il controllo del Nagorno-Karabakh. Cionostante, le tensioni fra i due paesi continuano a rimanere più alte che mai, specialmente dopo la penetrazione di soldati azeri in territorio armeno.
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Continua la conta dei prigionieri di guerra
Nella giornata del 4 maggio, le autorità azere hanno liberato tre prigionieri di guerra, sale quindi a 67 il totale dei detenuti armeni rilasciati.
Il numero di prigionieri di guerra armeni ancora detenuti in Azerbaigian resta però questione di dibattito fra Erevan e Baku. Il 4 maggio, le autorità azere hanno riconosciuto di tenere in stato detentivo circa 72 persone arrestate nell’area di Hadrut dopo l’accordo di cessate il fuoco del 9 novembre. D’altro canto, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) e il Parlamento europeo fanno pressione sul governo dell’Azerbaigian per la protezione dei diritti di circa 188 persone, ritenute essere al momento in stato di detenzione.
Artak Zeynalyan, uno degli avvocati rappresentanti alla CEDU dei familiari dei prigionieri di guerra armeni, ha pubblicato una lista di 19 nomi di prigionieri la cui morte è stata confermata, tra cui risultano quattro donne. Secondo l’avvocato, molti di questi nomi non figurano tra i prigionieri riconosciuti dalle autorità azere.
Tra ricostruzioni e celebrazioni
Come è noto, Baku ha già avviato diversi progetti per la ricostruzione e riabilitazione delle infrastrutture nei territori riconquistati a seguito della guerra dello scorso autunno. Questo processo sembra voler portare cambiamenti anche al patrimonio architettonico e culturale dell’area. Non solo la ricostruzione delle moschee lasciate in rovina dopo il primo conflitto negli anni Novanta, ma anche interventi su chiese che apparentemente non necessiterebbero di alcun restyling. All’inizio di maggio, le autorità di Baku hanno annunciato il restauro della cattedrale armena di Ġazančec’oc’ a Shusha/Shushi per riportarla alla “sua forma originale.”
Dal punto di vista azero, la chiesa sarebbe stata alterata negli anni Novanta dagli armeni attraverso la costruzione di una cupola, che in epoca sovietica non era presente. L’idea di rimuovere la cupola per portare la chiesa al suo stato anteguerra appare però controversa: lo stesso elemento architettonico è, infatti, presente in numerose fotografie nei primi anni dalla sua costruzione, voluta da Alessandro II imperatore di Russia alla fine del 19esimo secolo, e sembra essere stata demolita nel 1920 durante il massacro armeno di Shusha/Shushi e mai più ricostruita. Rimane ancora un’incognita se la cattedrale verrà riconosciuta come un luogo di culto armeno o sotto la controversa denominazione di chiesa russo-ortodossa.
Il 13 maggio, sempre a Shusha/Shushi, si è svolto il festival musicale Xarıbülbül, un evento culturale in onore del cantante azero Seyid Shushinski tenutosi per la prima volta nel 1989. A trent’anni dall’ultima edizione nel 1991, l’edizione di quest’anno si è svolta in quella che è considerata la capitale culturale del paese ed è stata presenziata dal presidente Ilham Aliyev e la sua famiglia. Con il motto “Multiculturalismo nella musica azerbaigiana”, l’evento ha ospitato numerosi artisti rappresentanti le diverse comunità etno-culturali del paese, come segno di voler mostrare al mondo l’armonia tra diversi popoli esistenti in Azerbaigian.
Un confine sempre più labile
È notizia degli ultimi giorni lo sconfinamento da parte di forze azere nel territorio dell’Armenia nelle regioni del Syunik e Gegharkunik iniziato il 13 maggio. Come affermato dal primo ministro armeno uscente Nikol Pashinyan, 250 soldati azeri sono tuttora presenti nelle due regioni armene. Il premier armeno ha fatto notare come lo stesso giorno il presidente Aliyev abbia annunciato esercitazioni militari di larga scala con 15 mila soldati e sottolineato l’intenzione di aprire il corridoio di Zangezur (che dovrebbe connettere l’Azerbaigian alla sua exclave del Nachicevan in base all’accordo trilaterale del 9 novembre) anche attraverso l’uso della forza, se necessario. In particolare, nella regione del Syunik le forze di Baku sono penetrate di circa 3,5 chilometri nei pressi della zona di confine del Lago Nero (Sev Lich) in un tentativo di circondare il bacino idrico.
Pashinyan si è appellato all’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO), un’alleanza difensiva composta da sei stati (tra cui Russia e Armenia) il cui documento istitutivo prevede un meccanismo di misure nel caso di minacce alla integrità territoriale di uno dei suoi membri.
Se da un lato l’Unione Europea tramite il suo Alto Rappresentante, Joseph Borrell, auspica la risoluzione della controversia attraverso i negoziati fra i due paesi, il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov ha reso noto che la Russia è pronta a mediare per la risoluzione del problema, aiutando i due paesi nella demarcazione del proprio confine.
Come per molti paesi dell’ex spazio sovietico, la demarcazione dei confini dopo il collasso dell’URSS rappresenta ancora oggi un tema di tensioni, come quelle recentemente registratesi fra Tagikistan e Kirghizistan. Il portale EVN report dà un escoursus storico sulla controversia del confine armeno-azero, e di come il problema si ripresenti solo trent’anni dopo l’indipendenza dei due paesi con il ripristino dell’integrità territoriale de jure dell’Azerbaigian e una diversa lettura delle mappe sovietiche che demarcavano il confine delle due entità ex-sovietiche quasi mezzo secolo fa.
Dalle controversie sui monumenti culturali armeni in Nagorno-Karabakh a quelli legate alla demarcazione del confine, rimangono ancora molti i punti spinosi da risolvere nei rapporti fra Baku e Erevan. A sei mesi dal conflitto, una concreta normalizzazione dei rapporti fra i due paesi resta ancora un traguardo lontano da raggiungere.
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Immagine: East Journal/Marco Alvi