Nonostante il 38% dei cittadini ungheresi abbia già ricevuto la prima dose del vaccino, l’Ungheria rimane il paese europeo con il dato più alto di mortalità per Covid-19. A inizio aprile il premier Orbán ha annunciato la riapertura di scuole e ristoranti all’aperto, ma nonostante il buon avanzamento del piano vaccinale la situazione resta drammatica.
Il piano vaccinale
In ambito sanitario, Budapest ha scelto ancora una volta di agire in autonomia rispetto all’Unione Europea. L’Ungheria, infatti, è il paese che ha autorizzato il maggior numero di vaccini contro il coronavirus al mondo. Oltre ai vaccini approvati dall’Agenzia Europea del Farmaco, tra febbraio e marzo il governo ungherese ha iniziato a somministrare anche il russo Sputnik V e i cinesi CanSino e Sinopharm, con cui è stato vaccinato lo stesso Viktor Orbán. Ad oggi, ben 3.7 milioni di ungheresi hanno ricevuto la prima dose vaccinale. Il numero di persone che hanno ricevuto la seconda dose si abbassa ad 1.7 milioni, pari al 18% della popolazione. Il ministero della Salute ha annunciato l’obiettivo di raggiungere l’immunità entro l’estate.
La scelta di usare Sputnik e Sinopharm mostra il chiaro intento di prendere le distanze dal piano vaccinale europeo e, al contrario, usare la diplomazia dei vaccini per rafforzare i rapporti già solidi con Russia e Cina. Proprio in questi giorni è stata annunciata l’apertura a Budapest, prevista per il 2024, di una sede distaccata dell’Università Fudan di Shangai. Si tratterebbe del primo campus universitario cinese su territorio europeo, finanziato interamente da investitori cinesi. La nuova sede sembra riempire, almeno simbolicamente, il vuoto lasciato dalla Central European University di George Soros, costretta a trasferire il proprio campus a Vienna nel 2018.
Stato di emergenza
Malgrado la percentuale di vaccinati sia alta rispetto alla media europea, il tasso di mortalità per Covid-19 in Ungheria si attesta attorno ai 180-190 morti al giorno. Sin dall’inizio della pandemia 27mila persone hanno perso la vita a causa del coronavirus: il numero, in un paese di poco più di 9 milioni di abitanti, è impressionante.
Eppure, i dati non vengono mai citati nei documenti governativi e tantomeno discussi nelle conferenze stampa dei ministri. Al personale sanitario è proibito rendere interviste sulla situazione in cui versano gli ospedali, e gli unici medici disposti a farlo raccontano una realtà ben distante dall’epopea trionfale verso l’immunità descritta da Orbán. Le strutture mediche, in particolare i reparti di terapia intensiva, sono al collasso e la scarsità di personale ha reso necessario l’intervento di volontari per assicurare cure mediche ai ricoverati. Oltre alle fragilità del sistema sanitario e la carenza di personale adeguato, il Paese sconta il prezzo di una forte diffusione della variante inglese. L’efficacia dei vaccini cinesi, inoltre, è stata messa in dubbio da numerosi esperti e persino da funzionari di Pechino.
Il piano di riapertura, annunciato dal premier a inizio aprile, prevede una graduale eliminazione delle restrizioni. Il piano, criticato da numerosi esperti, è partito lo scorso fine settimana con la decisione di riaprire locali e ristoranti all’aperto. La maggior parte della popolazione, tuttavia, non ha percezione della reale situazione in cui versa il paese. L’appello per consentire l’accesso dei giornalisti agli ospedali, presentato da alcuni media indipendenti, è caduto nel vuoto. Alla devastante fotografia di un’emergenza nazionale, Fidesz preferisce una narrazione autoindulgente del proprio operato. Le elezioni parlamentari del 2022, del resto, sono ormai vicine.
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