L’ultimo progetto di Nikola Mihov s’intitola Čupi, reže, poliva (“Spezza, taglia, versa”, ed. Janet 45) e combina 45 foto dell’ex primo segretario del Partito comunista bulgaro (BKP) Todor Živkov, realizzate tra gli anni Sessanta e Ottanta, con alcune citazioni del premier uscente Boyko Borisov. Strategicamente pubblicatо subito dopo le elezioni parlamentari, traccia un parallelo tra il socialismo apparente del passato e la difettosa democrazia attuale, evidenziando il continuum politico formato dalle due figure. Oltre ai ben noti trascorsi da guardia del corpo del leader del BKP, Borisov ha infatti pubblicamente affermato che Živkov è stato per lui “come un’università” da cui ha imparato molto.
Rilegato da una spirale, il libro è diviso in tre sezioni. Nella prima parte Živkov spezza le pagnotte (pogàča in bulgaro) offerte da ragazze in costumi tradizionali, secondo il rito di benvenuto del “pane e sale” (chljab i sol). In quella successiva taglia nastri tricolore a varie cerimonie di inaugurazione, mentre nella terza versa su tappeti e pavimenti piccoli catini d’acqua, un’usanza folcloristica di buon auspicio diffusa anche in Serbia e Turchia. Le citazioni di Borisov, con tanto di traduzione in inglese, intervallano le sezioni, ma i nomi dei due protagonisti appaiono solo al termine del volume.
Nato a Sofia nel 1982, Mihov è un fotografo e visual artist di fama internazionale, le cui opere hanno girato mostre e festival in lungo e in largo per l’Europa, ricevendo svariati premi e nomination. Il suo primo volume Forget your past (2012, ed. Janet 45), incentrato sul destino dei monumenti socialisti nel paese, è stato inserito nella lista dei migliori libri dell’anno dal British Journal of Photography. Ai reportage realizzati coi propri scatti affianca un instancabile lavoro di ricerca tra i faldoni degli archivi dell’Agenzia telegrafica bulgara (Bălgarska telegrafna agentsija, BTA). Lo abbiamo intervistato.
Da dove arriva l’intuizione per quest’opera?
L’idea mi era venuta già alla fine del secondo mandato di Borisov, quello terminato con le proteste del 2013, dopo le quali è però stato rieletto. L’ondata di contestazioni dell’estate scorsa, a cui ho partecipato, mi ha fatto presagire l’arrivo di un cambiamento, e nonostante Borisov non si sia dimesso, ho deciso che era il momento giusto per la pubblicazione. È la prima volta che realizzo un libro con scatti non miei, ma in questo caso non fa differenza, poiché la parte fondamentale è l’idea che sta alla base, e cioè la decontestualizzazione, processo tipico della found photography. L’ho applicato al mio lavoro d’archivio per dare un’interpretazione nuova alle foto, lontana dal loro scopo e significato originale, in una cornice completamente diversa.
Il periodo socialista mi interessa molto e, nonostante avessi solo sette anni quando il regime è crollato, ho la sensazione di averlo vissuto per più tempo, anche a causa della fumosità della cosiddetta transizione. Una delle professioni che mi sono inventato è quindi quella di “cercatore di archivi”: quelli della BTA non sono digitalizzati e mentre frugavo tra i faldoni per un altro lavoro mi sono reso conto della mole di scatti in cui Todor Živkov compie le stesse azioni.
È un’edizione bilingue bulgaro-inglese: in che misura può risultare interessante al di fuori della Bulgaria? Come spiegarla al pubblico internazionale?
Il mio non è un volume storico, non racconta il passato, bensì delinea un parallelo col momento attuale. Se oggigiorno c’è una figura paragonabile a Živkov in quanto a persistenza al governo e “carisma”, si tratta di Boyko Borisov. Ho vissuto per quasi dieci anni all’estero e questo distacco ha influito sul mio punto di vista, portandomi a riflettere sulle trasformazioni che sono – o non sono – avvenute dopo il 1989. L’opera s’interroga sull’influenza del passato sul presente, racchiudendo il mio parere critico di cittadino che si sente offeso dalla presenza di una figura come Borisov, ma al contempo in quanto artista vede un enorme potenziale nel suo atteggiamento grossolano e poco educato.
Le immagini si presentano svuotate di ogni cerimoniosità, la loro ripetitività ridicolizza le tradizioni popolari di cui la politica si è appropriata, la rilegatura a spirale spesso attraversa e taglia la stessa figura di Živkov. Perciò da una parte c’è il lato umoristico, l’allusione ironica al passato, mentre dall’altra un tema serio, la dittatura, messo a confronto con la situazione odierna, che non può definirsi tale, ma senz’altro non manca di rimandi al regime. Mi sono ispirato al volume Kim Jong Il Looking at Things. Mi è difficile immaginare come il mio libro possa essere percepito in altri paesi, ad esempio in Italia. Magari potrebbe indurre a paragonare il nostro Boyko col vostro Silvio, che senza dubbio hanno molti tratti in comune…
Com’è possibile l’uscita un libro del genere in un paese in cui la libertà di stampa è gravemente minacciata?
La censura ideologica del passato si è oggi trasformata in censura economica. Se la prima era come un muro altissimo che si poteva superare con l’astuzia, citando il regista Rangel Valčanov, la seconda è praticamente invalicabile se non si hanno i mezzi e contatti necessari; io ho la fortuna di essere un artista indipendente. In Bulgaria è difficile informarsi correttamente perché manca un punto di vista critico e il lavoro della maggior parte dei media si riduce al copiare e incollare le notizie, senza commentarle. Le uniche testate che hanno annunciato l’uscita del mio libro sono quelle fuori dal controllo dell’oligarca Delyan Peevski e la Radio nazionale bulgara (BNR), una delle ultime roccaforti della libertà d’informazione nel paese. Secondo l’editore di Janet 45 Manol Peykov, da poco eletto parlamentare nella coalizione di Hristo Ivanov, il lato più ottimista e tangibile della transizione bulgara è proprio il raggiungimento di un livello di tolleranza sufficiente da permettere la pubblicazione di un libro simile.
Il passato socialista è un tema divisivo per la società bulgara, di cui in genere non si discute molto. Quali sono state le reazioni alla pubblicazione?
Il tema del comunismo catalizza la società bulgara in due poli opposti, che non comunicano tra loro: da una parte ci sono gli anziani con le loro opinioni spesso estreme e dall’altra le nuove generazioni. Credo che i giovani abbiano diritto a esprimere il proprio parere sul passato tanto quanto coloro che l’hanno vissuto in prima persona. Uno degli scopi del mio lavoro è proprio quello di instillare una riflessione anche su questi argomenti. Le reazioni sono state varie: alla presentazione online sono emerse domande interessanti, qualcuno ha trovato il parallelo offensivo nei confronti di Živkov oppure di Borisov, altri hanno detto che questo paragone non dice “niente di nuovo sugli idioti che ci governano” e non c’è bisogno di pagare 25 leva [il prezzo del libro, ndt] per coglierlo. Ritengo questi commenti tutti ugualmente utili e preziosi.
Un altro risvolto del rapporto col passato in Bulgaria è l’atteggiamento verso l’architettura socialista. Da un lato sembra ci sia una spinta “revisionista” che vorrebbe smantellarne ogni traccia, com’è successo al monumento 1300 anni di Bulgaria a Sofia, rimosso nel 2017, mentre dall’altro c’è chi tenta di preservarli, come nel caso di Buzludža. Che opinione ha a riguardo?
Nel 2015 ho scritto una lettera aperta affinché quel monumento venisse preservato, anche se all’epoca ero in Francia. Il governo abbatte queste opere con la scusa che sono brutte, cadono a pezzi e tutti le odiano, senza chiedersi perché sono in quelle condizioni e soprattutto senza un dibattito adeguato con i cittadini. Sicuramente c’è chi vorrebbe vederle sparire, ma molto spesso viene spacciato per opinione pubblica l’esito di sondaggi condotti su una cerchia ristretta di persone. Nel caso sopracitato il costo della demolizione era pari a quello necessario per una manutenzione costante. È un’operazione propagandistica, nei confronti dell’Unione europea, di facciata, così come certi altri interventi disastrosi fatti in città. Da una parte l’amministrazione distrugge, mentre dall’altra erige elementi che nulla hanno a che fare con l’ambiente e l’architettura circostante, in maniera assolutamente non regolamentata, irrispettosa e anacronistica, a differenza di quanto avveniva durante il regime.
Tale atteggiamento ambivalente è il culmine di questa transizione infinita, il lato più cinico e insopportabile di un problema che al momento si chiama GERB, ma che infesta la politica bulgara da generazioni. Non è solo una questione ideologica, ma strutturale, insita nel funzionamento delle istituzioni stesse, che seguono dinamiche oscure frutto dalla gestione unilaterale dello stato e perciò la gente le evita. Non c’è nessuna strategia ufficiale né legislazione a tutela dei monumenti socialisti, sono più che altro considerati delle patate bollenti e i cittadini da soli possono ben poco. Lo spazio pubblico pullula di bugie, ma controbattere o smentirle è difficile. Credo che l’Italia sia un buon termine di paragone per capire la realtà bulgara, penso che ciò che succede qui non sia niente di nuovo né di incomprensibile per voi.
Qual è secondo lei il ruolo di un artista?
Il ruolo e il senso del lavoro di un artista sta nella sua capacità di porre domande più che dare risposte. Questo non vuol dire che io non abbia una mia opinione, al contrario, ma non la esprimo in modo diretto per non vanificare il lavoro di interpretazione critica del pubblico. Un parere espresso in maniera troppo chiara a mio avviso è controproducente, indebolisce la potenza di un’opera invece di rafforzarla, ne annulla il significato. In quanto artista lavoro con il sottotesto, la struttura, l’impostazione. L’idea di fondo del libro è di per sé molto semplice e trasparente, il processo di composizione invece complesso e articolato, e ogni dettaglio, dalla spirale alla voluta assenza di introduzione e didascalie, è pensato per produrre associazioni nel lettore, che può sfogliarlo velocemente, leggerlo e discuterne cominciando da qualunque parte.
foto: locandina della presentazione online/Nikola Mihov