di Salvatore Greco
Varsavia, primo dicembre 1875. Fa molto freddo, come è lecito aspettarsi da queste parti in una sera di fine autunno. Alla stazione Petersburski è appena arrivato un treno da San Pietroburgo. Quando la locomotiva è ormai ferma e sbuffa gli ultimi aliti di vapore, tra i pochi passeggeri che scendono c’è un uomo dallo sguardo severo, il volto segnato da un paio di occhiali piccoli e ovali, e da un paio di baffi folti che gli coprono le labbra. Sotto il cappotto, su cui ha appuntata l’aquila bicipite, porta una divisa da ufficiale dell’esercito imperiale. Tra i suoi bagagli c’è una valigia piena di documenti, uno dei quali attesta che lui, il maggior generale Sokrat Ivanovič Starynkevič, è stato chiamato a fare le funzioni del sindaco di Varsavia. In fondo al foglio, la firma di Alessandro II Romanov, zar di tutte le Russie.
Ancora non lo sa, ma Starynkiewicz governerà Varsavia per sedici anni e ci rimarrà per altri dieci, fino alla sua morte nel 1902. Non sa neanche, e di certo non lo immagina, che sarà un amministratore incredibilmente amato. All’epoca è solo un ufficiale russo in pensione, chiamato a governare una città pacificata nel sangue, capitale di una provincia orgogliosamente ribelle. Non parla neanche bene il polacco. Sa solo che da quelle parti il suo nome suonerà Sokrates Starynkiewicz.
Il motivo per cui il sindaco di Varsavia nel 1875 è un generale russo mandato da Pietroburgo è presto detto. Uno stato polacco sulle mappe non esiste da circa ottant’anni, frutto delle famigerate spartizioni di fine Settecento. Varsavia, con tutta la Polonia orientale, è finita sotto il controllo dell’impero dei Romanov. Sono stati ottant’anni a dir poco complicati da queste parti, con un dominio russo mai davvero digerito, conditi da insurrezioni, sogni di riconquistata indipendenza, e dalla repressione zarista. Fino al 1866, quando Nicola II, non toglie alla Polonia i pochi privilegi che ha all’interno dell’impero e la riduce a una provincia qualsiasi. Varsavia reagisce, combatte, e perde.
Mentre la capitale piange ancora i suoi morti e lava il sangue dalle strade, viene liquidata la banca di Polonia, vengono chiuse scuole e università, dismessi conventi. L’ordine da Pietroburgo impone anche di vietare l’uso della lingua polacca nell’amministrazione pubblica e nella scuola. Il chiaro obiettivo è quello di spezzare il sentimento nazionale polacco prima che causi un’altra insurrezione.
A guidare la nuova provincia, che non si chiamerà Polonia ma “provincia sulla Vistola”, è un militare esperto e brillante, un tedesco del baltico di nome Paul von Kotzebue. Il generale von Kotzebue, da buon figlio della chiesa riformata, condivide lo zelo dell’amministrazione zarista quando si tratta di piegare e punire la chiesa cattolica, ma non è un entusiasta propagatore della politica di russificazione che il governo di Pietroburgo vorrebbe estendere in Polonia. È per questo che, per il ruolo di Varsavia, indica allo zar il nome di Starynkiewicz, uomo fidato e con cui ha collaborato per anni.
Certo, leggendolo frettolosamente, il cursus honorum del futuro sindaco di Varsavia non fa ben sperare. Figlio di una famiglia nobile originaria del mare d’Azov, va a studiare al collegio nobiliare di Mosca e poi all’accademia di artiglieria di Pietroburgo dalla quale esce con il grado di sottotenente. Da lì in poi, una rapida carriera nell’esercito: combatte nella guerra di Crimea, sopprime rivoluzioni a Budapest, seda rivolte contadine nelle campagne intorno a Lublino. Nel 1863 conosce Kotzebue in Bessarabia e da lui ottiene il grado di generale, con il quale poi governerà la provincia di Cherson, nell’attuale Ucraina.
Nel 1871, a 51 anni di cui 15 passati nell’esercito, può andare in pensione. Dunque, l’uomo che arriva a Varsavia per governarla è un generale russo in pensione, che ha fatto carriera spegnendo nel sangue rivolte antizariste e che, quando ha messo piede in Polonia, ha fatto sparare sui contadini. Le premesse non sono le migliori per una città pacificata da poco e che vive con sconforto gli ordini arrivati da Pietroburgo atti ad amputare chirurgicamente il suo spirito nazionale.
Non è peregrino immaginare che i polacchi che hanno collaborato con Starynkiewicz all’inizio lo guardassero con sospetto, diffidenza e probabilmente anche odio. Sapevano di lui quello che dicevano le medaglie sulla sua uniforme, non sapevano cosa pensava von Kotzebue del suo collaboratore. E, per loro stessa fortuna, si sbagliavano…
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Foto: Il funerale di Starynkiewicz a Varsavia, 26 agosto 1902 / WikimediaCommons