“Le bon Dieu est dans le détail” – il buon Dio è nei dettagli – avrebbe ricordato Gustave Flaubert secondo quel celeberrimo motto a lui attribuito. Ma anche nelle “definizioni”, si potrebbe dire parafrasandolo per adattarlo al caso dato.
Il fiume Vjosa a rischio
E il caso dato è quello del Vjosa, un fiume che si snoda per circa 200 chilometri in territorio albanese originandosi, proprio al confine con la Grecia, dalla confluenza dei torrenti Aoos e Sarantaporos, entrambi ellenici. Non un fiume qualsiasi, però, perché il Vjosa è considerato l’ultimo corso d’acqua d’Europa completamente naturale, poiché sia l’asta principale sia i suoi affluenti scorrono indisturbati a flusso libero, ovvero senza ostacoli e senza argini. Il sistema fluviale si estende, intatto, su un’area che è due volte quella della Val d’Aosta, fungendo da habitat a svariate specie animali e vegetali, prima di sfociare in Adriatico appena a nord della laguna di Narta, una delle più grandi ed ecologicamente ricche d’Albania (su cui peraltro incombe un’altra catastrofe ecologica, quella della costruzione del nuovo aeroporto internazionale di Valona il cui progetto sembra definitivamente confermato).
Ma fa gola, il Vjosa: sembra fatto apposta per la costruzione di dighe e impianti idroelettrici, per lo sfruttamento della sua corrente e la produzione di quell’energia di cui l’Albania ha sempre più fame. Non è un caso, dunque, che sulle sue acque – e su quelle dei suoi affluenti – penda la pesante spada di Damocle di una miriade di progetti, grandi e piccoli, tra dighe e centrali (HPP, Hydro Power Plant). Sono trentuno gli impianti progettati in territorio albanese (altri sette in quello greco) nel bacino del fiume: per ventiquattro di essi, stanti a fonti del Ministero dell’Ambiente albanese, sembrerebbe già esserci una licenza.
La più grande è la diga di Poçem, 25 metri d’altezza, per la quale nel marzo del 2016 il governo albanese ha dapprima concesso l’autorizzazione a costruire a due società turche recedendo poi dalla propria decisione a fronte delle pressioni esercitate dalle associazioni ambientaliste e dall’Unione europea e, soprattutto, di una sentenza del tribunale amministrativo albanese. Destino simile per la centrale di Kalivaç, uno sbarramento alto 45 metri per una lunghezza di 350: qui i lavori erano addirittura iniziati nel 2007, proseguendo poi a singhiozzo per un decennio, prima di essere interrotti (definitivamente?) nel maggio del 2017 per l’intervento del governo albanese.
Tutti d’accordo? Forse sì, anzi no
Sulla carta sembrerebbe non esserci discussione, pertanto, tutti d’accordo: anche i sondaggi d’opinione svolti tra gli albanesi indicano incontrovertibilmente che la schiacciante maggioranza è contraria a qualsivoglia sfruttamento del fiume.
Un fatto che, di suo, rappresenta un’argomentazione sufficientemente convincente per qualsiasi classe dirigente del mondo. E in effetti il mondo politico albanese sembrerebbe convergere con la volontà popolare: sembrerebbe, appunto. Ha cominciato il presidente della repubblica in persona, Ilir Meta, che a settembre dello scorso anno, ha pubblicamente dichiarato di considerare prioritaria la creazione del Parco Nazionale del Vjosa; a stretto giro ha rintuzzato, piccato, il primo Edi Rama che ha affermato che “Meta protegge il Vjosa da un pericolo immaginario” dato che “il Ministero dell’Ambiente ha ufficialmente rifiutato di concedere il permesso per i progetti idroelettrici nel fiume”, aggiungendo poi che “il nostro governo ha dichiarato la parte alta del Vjosa parco nazionale”.
Si sa, i due non si amano, ma è proprio nella definizione di “parco nazionale” che si annida il bon Dieu, il dettaglio di cui si diceva poc’anzi. Nel piano presentato a dicembre dall’Agenzia Nazionale per le Aree Protette (NAPA), un’autorità che dipende dal Ministro dell’Ambiente Blendi Klosi, la porzione superiore del Vjosa è stata “semplicemente” indicata come “area protetta”, mentre nessun particolare status di protezione è stato riconosciuto per la porzione inferiore – dove peraltro sono previste le dighe di Poçem e Kalivaç.
“Semplicemente” perché la normativa albanese non preclude, a priori, la possibilità di realizzare impianti idroelettrici in aree protette, mentre tale evenienza è perentoriamente esclusa nei parchi nazionali. L’operato di Klosi, dunque, sembra smentire quanto affermato dal primo ministro lasciando, se non la porta spalancata, almeno uno spiffero aperto alla possibilità di veder realizzato qualcuno dei progetti incombenti.
Le associazioni verdi
Uno spiffero che è stato più che sufficiente per indurre il mondo verde che da anni ruota attorno al problema a intervenire: Eco Albania, Riverwatch, EuroNatur, WF Adria e molte altre sigle ancora, nel febbraio scorso, hanno rinnovato l’appello al governo albanese affinché il Vjosa sia inserito nelle aree a massima tutela, dichiarandolo infine parco nazionale. Una questione, questa, che potrebbe avere ripercussioni sulle elezioni politiche di fine aprile come sibillinamente paventato da Annette Spangenberg, rappresentante di EuroNatur, che ha affermato che “vogliamo vedere quale partito e quale leader sosterrà il Parco Nazionale del Vjosa e quale no”.
Al fianco delle associazioni verdi, si è schierato anche il noto attore americano Leonardo Di Caprio, da anni in prima linea sulle tematiche ambientali. Attraverso i social media, Di Caprio ha invitato a sostenere l’appello al governo albanese e a difendere il fiume e la sua fauna.
La situazione su scala regionale
La vicenda che riguarda il fiume Vjosa, tuttavia, non è altro che la punta dell’iceberg di una situazione ben più ampia che coinvolge molti altri corsi d’acqua in tutti i Balcani. Sarebbero addirittura 3.400 i progetti di impianti idroelettrici nella regione secondo quanto riportato dalle associazioni ecologiste radunatesi, già dal 2012, nella lotta comune con la campagna internazionale “Salviamo il cuore blu d’Europa”. Sono note le battaglie – spesso vincenti – condotte nel Parco Nazionale di Mavrovo (Macedonia del Nord); ma anche quelle per la salvaguardia della Sava, vera e propria spina dorsale che innerva Slovenia, Croazia e Serbia, e per la difesa della capillare rete idrica in Bosnia minacciata soprattutto dalla costruzione delle cosiddette mini-centrali – tra di esse la Neretva, il fiume di Mostar.
Una campagna, quella del “cuore blu d’Europa”, che parte dalla considerazione che malgrado tutto i fiumi e i torrenti balcanici sono, per la gran parte (l’80% almeno), ancora integri e preservano – intatta – la propria peculiare biodiversità: un unicum in Europa che rischia di perdersi visto che, solo tra il 2011 e il 2018, almeno 1.500 chilometri di corsi d’acqua avrebbero subito un degrado importante.
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