madonna arcobaleno

POLONIA: Assolte le attiviste pro-LGBT dall’accusa di blasfemia

Elżbieta Podleśna, Anna Prus e Joanna Gżyra-Iskandar, accusate di aver “offeso i sentimenti religiosi di altre persone”, sono state assolte perché il fatto non costituisce reato. Nel 2019 avevano creato un poster raffigurante la Madonna di Częstochowa con l’aureola arcobaleno.

La Madonna “arcobaleno”

Nell’aprile 2019, il parroco della Chiesa di S. Domenico a Płock aveva predisposto dei cartelloni, in occasione della Pasqua, per indicare i peccati da cui i fedeli avrebbero dovuto tenersi lontani. Tra i peccati più gravi erano inclusi avidità, invidia, ma anche “LGBT e gender“. Venute a conoscenza all’iniziativa, Podleśna, Prus e Gżyra-Iskandar sono andate a Płock per esprimere il proprio sostegno alla comunità LGBT+ polacca. Le tre attiviste hanno quindi incollato adesivi e manifesti della Madonna con l’aureola arcobaleno sulle panchine e lampioni della zona, ma anche nella bacheca della parrocchia.

In realtà, la Madonna arcobaleno, rinominata Matka Boska Równościowa (Nostra Signora dell’Uguaglianza), aveva già fatto la propria comparsa al Pride del 2018, dopo le proteste della Chiesa contro una campagna per il contrasto all’omofobia nelle scuole. L’immagine raffigura la celebre icona della Madonna Nera custodita nel santuario di Jasna Góra. Risalente all’epoca bizantina, nel 1656 la Madonna Nera fu proclamata Regina e Protettrice della Polonia dal sovrano Giovanni II Casimiro. Il gesto, quindi, ha una forte portata simbolica e politica: “Volevamo che l’icona diventasse un simbolo di amore e accettazione per tutte le persone escluse“, hanno affermato le tre attiviste.

Il processo

Il 6 maggio 2019, alle sei del mattino, la polizia ha fatto irruzione nell’abitazione a Varsavia di Elżbieta Podleśna, sequestrando il suo computer, diverse chiavette USB e gli adesivi con la “Madonna arcobaleno”.  Podleśna, psicologa attiva in Amnesty International, è stata quindi arrestata e trattenuta per oltre sei ore alla stazione della polizia di Płock, dove le è stato anche prelevato un campione di DNA. Il metodo usato dalle forze dell’ordine è stato considerato sproporzionato dalla stessa Corte, che ha infatti risarcito economicamente la donna.

Lo scorso gennaio, tuttavia, è iniziato il procedimento penale contro Elżbieta Podleśna, Anna Prus e Joanna Gżyra-Iskandar, accusate di aver violato l’articolo 196 del codice penale, che punisce con la reclusione fino a due anni chiunque “offenda i sentimenti religiosi di altre persone insultando pubblicamente un oggetto di culto“. Nel corso del dibattimento – tra i più seguiti dai media negli ultimi anni – sono intervenute come persona “offesa” il sacerdote di Płock e la nota attivista pro-vita Kaja Godek, tra le principali sostenitrici della recente restrizione del diritto all’aborto. Non è mancato il sostegno alle imputate da parte di associazioni e singoli, inclusi numerosi cattolici contrari all’omofobia diffusa tra il clero polacco.

Il 2 marzo, il processo si è concluso con l’assoluzione. Il giudice ha infatti riconosciuto che le tre attiviste non avessero l’intenzione di offendere un oggetto di culto, ma solo di mostrare il proprio sostegno alla comunità LGBT+.

Il reato di blasfemia

L’articolo 196 del codice penale polacco, introdotto nel 1989, fa parte della categoria di leggi contro la blasfemia presente anche in paesi come Grecia e Italia. Solo raramente le segnalazioni alle autorità si trasformano in un processo, quasi mai si concludono con una condanna.

Tuttavia, negli ultimi anni si è registrato in Polonia un forte incremento delle denunce, in particolare contro artisti e dissidenti politici. Il mese scorso il noto cantante metal Nergal è stato condannato per blasfemia per aver postato su Facebook una foto in cui calpesta una rappresentazione della Madonna sul selciato.

Nel corso degli ultimi anni gruppi cattolici ultra-nazionalisti, come Ordo Iuris e il movimento pro-vita di Kaja Godek, sono diventati sempre più estremi e politicizzati; è in questo contesto che bisogna considerare il crimine di blasfemia. Non a caso, l’articolo 196 è stato usato solo per gesti considerati offensivi alla fede cattolica, mai per tutelare altre confessioni religiose come Islam o ebraismo che sono comunque presenti da secoli sul territorio polacco. Il rischio, secondo alcuni analisti, è che da strumento di protezione di minoranze religiose il reato di blasfemia possa diventare un’arma per reprimere il dissenso politico.

 

Foto: Rainbow Madonna / Wikipedia

Chi è Maria Savigni

Nata a Lucca nel 1994, si è laureata in Giurisprudenza presso l'Università di Pisa. Durante un soggiorno studio in Polonia si è perdutamente innamorata della Mitteleuropa e della sua storia. Si interessa in particolare di diritti, questioni di genere e cultura ebraica.

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