Gli attivisti hanno vinto: la discarica di Shiyes non si farà. Lo scorso gennaio si sono ufficialmente concluse le proteste contro la costruzione di una mega discarica a Shiyes, nella regione di Archangel’sk, estremo nord russo. La discarica sarebbe dovuta diventare la più grande d’Europa e ricevere 500.000 tonnellate di rifiuti all’anno da Mosca. Dopo due anni di proteste e le dimissioni dei governatori di entrambe le regioni coinvolte nel progetto, Archangel’sk e Komi, la costruzione della discarica è stata ufficialmente annullata.
La “comune” di Shiyes
Un risultato raggiunto grazie a una mobilitazione senza precedenti della comunità locale, ma non solo. A Shiyes in due anni sono arrivate da tutta la Russia più di 7.000 persone, che qui hanno costruito una sorta di piccola comune autorganizzata, costituita da alcuni avamposti dai quali osservare e, se necessario, intervenire, per fermare i lavori della discarica. Col tempo, la “comune di Shiyes” è cresciuta fino a comprendere cucine, sale da tè e una banja (sauna) – insomma tutto il necessario per permettere a centinaia di persone di vivere nel bel mezzo di un bosco del nord della Russia, dove d’inverno le temperature scendono anche sotto i meno trenta gradi.
Nonostante le proteste si siano ufficialmente concluse, non tutti hanno lasciato Shiyes: alcune decine di attivisti sono rimasti, convinti che, non appena non ci sarà più nessuno a guardare, i lavori riprenderanno. Lo scorso febbraio, due avamposti sono stati bruciati e uno è stato distrutto a opera di sconosciuti, alimentando i sospetti che la costruzione della discarica potrebbe riprendere una volta che l’attenzione su Shiyes sarà calata.
Giù le mani dalla “nostra terra”
Ma chi sono le persone rimaste a fare la guardia a questo isolato e freddo angolo di bosco? A differenza di altri movimenti di protesta in Russia, come quelli a sostegno di Navalny, ma anche dei movimenti ambientalisti occidentali, quello che accumuna gli attivisti di Shiyes è una sorta di romanticismo del passato comunista, unito a un orgoglio “localista” nel proteggere da ingerenze esterne quella che, in molte interviste, definiscono “la nostra terra”. Sulla comune, infatti, sventola una bandiera con falce e martello, e i nomi di alcuni avamposti sono quelli delle “città-eroine” sovietiche (onorificenza data alle città che si erano distinte per il loro eroismo durante la Seconda Guerra Mondiale): Fortezza di Brest e Leningrado.
Non è un caso che i nomi scelti siano quelli delle città che avevano protetto il resto del paese dall’invasione della Germania nazista. Dalle parole degli attivisti, sembra evidente che a Shiyes ci si stia difendendo da un altro pericoloso nemico esterno: Mosca.
Il nemico moscovita
La dinamica “centro contro periferia” è fondamentale per capire le proteste di Shiyes. Dal punto di vista di chi vive nella sterminata e isolata periferia russa, il potere statale centrale è spesso visto quasi come una potenza “colonizzatrice”, pronta a sfruttare i territori che le appartengono senza dare nulla in cambio alla popolazione locale. Del resto, sono le risorse naturali di cui è ricca la periferia della Russia che hanno permesso a oligarchi e uomini di stato di arricchirsi nella capitale. Diventa così naturale per le comunità locali cercare di difendere quella che Andrey Kolesnikov definisce “backyard sovereignty”, una sorta di “sovranità del proprio orticello”, della “nostra terra”, dal potere centrale, visto come distante, estraneo e noncurante.
Una dinamica che si inserisce nella frustrazione generale di chi vive nella periferia russa, costretto a vivere una vita sempre più difficile, fatta di pensioni e salari molto più bassi di quelli delle grandi città e peggiorata dalla recente riforma delle pensioni. Un malessere che, secondo Andrey Pertsev, esplode dietro a eventi-simbolo di questa percepita umiliazione della provincia rispetto al potere centrale. Umiliazione di cui Shiyes, divenuta discarica dei rifiuti di Mosca, è l’esempio e simbolo perfetto.
La “discarica” si ribella
Simboli di un malcontento più profondo, queste proteste sono spesso dirette ai governatori delle regioni, in quanto rappresentanti locali del potere centrale (in Russia infatti i governatori non sono eletti ma scelti dal Presidente). E non senza risultati: i governatori delle due regioni coinvolte nella costruzione della discarica di Shiyes, Igor Orlov e Sergey Gaplikov, si sono dimessi, e diversi attivisti ambientalisti si sono candidati alle elezioni locali del 2020 (nel caso della regione di Archangel’sk, la loro candidatura non è stata accettata).
È possibile che a lungo termine queste proteste potranno dunque avere effetti a livello politico nazionale, tramite l’”infiltrazione” di candidati ambientalisti e anti-governativi a livello locale. Di certo rimane che il malcontento sociale che le alimenta non scomparirà con la vittoria ottenuta a Shiyes (sempre che questa rimanga tale), e che le proteste stiano favorendo la creazione di spazi politici locali in aree tradizionalmente considerate da Mosca come ininfluenti politicamente – insomma, considerate come una “discarica”, sia in senso figurato che, purtroppo, letterale.
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