Il 15 marzo 1848 il movimento dei democratici radicali ungheresi dichiarava terminata l’occupazione austriaca, rifiutava il dominio degli Asburgo e proclamava la Repubblica ungherese. Il presidente del neonato stato magiaro, Lajos Kossuth, strutturò in breve tempo una rete amministrativa efficiente, modellata sulla precedente amministrazione imperiale. Inoltre formò un esercito di oltre 30.000 uomini, anche grazie all’aiuto di alcuni patrioti italiani accorsi in aiuto degli ungheresi. Fino al 3 agosto 1849 gli ungheresi difesero la propria indipendenza, crollando infine sotto i colpi degli eserciti congiunti dell’Austria degli Asburgo e della Russia dei Romanov.
Una rivoluzione europea
1848: la rivoluzione divampa in Europa. Nata in Francia come un moto radicale borghese contro le troppo timide riforme di Luigi Filippo d’Orleans, costretto ad abdicare il 21 marzo, la rivoluzione si trasforma pian piano in una grande ondata di moti che sconvolge l’intero continente, con la sola eccezione di Gran Bretagna e Impero russo. Si tratta di uno degli anni chiave per comprendere la nascita del mondo moderno: per la prima volta infatti oltre alla borghesia anche la nascente classe lavoratrice fa irruzione nella politica attiva organizzando proteste, scioperi, insurrezioni armate. Ma il 1848 è un anno cardine anche per un altro processo politico destinato a cambiare le sorti del mondo: il crollo dei sistemi assolutisti multinazionali e l’affermazione dello stato-nazione. Infatti, la rivoluzione assunse spesso l’aspetto di una serie di moti che rivendicavano innanzitutto l’indipendenza nazionale nel quadro di uno stato repubblicano, borghese e liberale: per questo ricordiamo ancora oggi la Rivoluzione 1848 con il nome di Primavera dei popoli europei.
Questo aspetto di rivoluzione nazionale divenne il tratto prevalente di quella che fu una vera e propria rivoluzione europea. Tutti i grandi imperi del continente avvertirono gli scossoni di questo terremoto politico. In Italia gli austriaci dovettero fronteggiare la ribellione delle maggiori città del Lombardo-Veneto, supportata attivamente dall’esercito sabaudo nella prima guerra d’indipendenza. Ma anche nel resto degli stati della penisola – Napoli, lo Stato della Chiesa, il Piemonte dei Savoia e i tanti ducati dell’Italia centrale – gli insorti reclamarono libertà politiche e civili. E la penisola italiana non fu l’unico focolaio di ribellione interno all’Impero asburgico. I croati, i serbi, gli sloveni, gli slovacchi, i cechi, i romeni si rivoltarono contro la dominazione austriaca. Anche gli ungheresi il 15 marzo 1848 si ribellarono e formarono una repubblica indipendente, che durò oltre un anno, fino al 3 agosto 1849.
Ungheria, emblema della Primavera dei Popoli
Gli ungheresi si rivoltarono contro la dominazione austriaca il 15 marzo 1848, guidati dal movimento politico dei democratici radicali di Lajos Kossuth, che costituiva la sinistra del movimento liberale ungherese. I liberali di destra, che rivendicavano una maggiore autonomia per i magiari nel quadro di un Impero declinato secondo i dettami della monarchia costituzionale, avevano da tempo accettato il dominio asburgico sull’Ungheria. La sinistra invece, capeggiata da Kossuth, rivendicava una repubblica ungherese indipendente dall’Impero asburgico. Proprio secondo questa visione politica prese forma il nuovo stato magiaro nei primi mesi del 1848, compagine statale che – è bene ricordarlo – comprendeva non solo l’attuale Ungheria, ma anche la Croazia, la Transilvania e parte della Slovacchia, incorporando così ampie minoranze etniche.
La neonata repubblica ungherese, fondata mentre la stessa Vienna era sconvolta da moti degli studenti liberali, si organizzò secondo un sistema parlamentare. Lajos Kossuth venne eletto Presidente della Repubblica, e il nuovo stato magiaro concesse ai propri cittadini tutte le libertà figlie della Rivoluzione francese: libertà di stampa, riunione e culto religioso, eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, la fine dell’assolutismo e un libero parlamento, l’abolizione dei privilegi feudali e dei titoli nobiliari, la costituzione di una guardia nazionale in sostituzione dei vecchi eserciti di ancient regime, composti da mercenari. Inoltre Kossuth stimolò la formazione di un forte esercito nazionale, anche grazie all’aiuto di Alessandro Monti, patriota italiano giunto in Ungheria a capo di una legione italiana schierata in difesa dell’indipendenza magiara.
La crisi dello stato magiaro tra tensioni nazionali e intervento di Austria e Russia
Il primo errore del governo di Kossuth fu sottovalutare la volontà di autonomia delle minoranze nazionali inglobate nella nuova compagine statale ungherese. Croati, romeni e slovacchi volevano essere tutelati in quanto comunità nazionali, economicamente e socialmente autonome. Invece Kossuth e i suoi collaboratori, convinti che queste minoranze non desiderassero altro che le libertà civili e politiche già concesse dal nuovo stato, non solo ne ostacolarono le aspirazioni nazionali, ma ne proposero la magiarizzazione. Ad esempio, nel nuovo parlamento, croati, slovacchi e romeni avevano pieno diritto di voto, ma i loro candidati dovevano conoscere la lingua ungherese, che divenne de facto l’unica lingua ufficiale dell’amministrazione.
Questo portò a forti tensioni tra il governo rivoluzionario di Pest e le minoranze, che sfociarono in vere e proprie rivolte armate che indebolirono la neonata repubblica. Il caso più eclatante si verificò l’11 settembre 1848, quando il conte Josip Jelačić di Bužim, bano (governatore) di Croazia, si alleò con gli Asburgo e con un esercito di 40.000 uomini passò la Drava dichiarando guerra alla repubblica ungherese. Le rivolte di croati, slovacchi e romeni e la loro indifferenza per le sorti della repubblica indebolirono fortemente lo stato ungherese.
Tuttavia, il vero colpo di grazia lo diede l’intervento militare dei due grandi Imperi assolutisti dell’Europa ottocentesca: la Russia dei Romanov e l’Austria degli Asburgo. Gli austriaci, dopo essersi accordati con gli studenti liberali e aver represso nel sangue i moti degli operai viennesi, dichiararono subito guerra alla repubblica ungherese e lo stesso fecero i russi, che in ossequio alla Santa Alleanza stipulata durante il Congresso di Vienna intervennero per ristabilire l’equilibrio di ancient regime nel territorio imperiale asburgico. Nel luglio del 1849 gli austriaci sconfissero gli ungheresi nella battaglia di Timișoara. Intanto i russi avanzarono in Transilvania con un esercito forte di 130.000 uomini. Il comandante in capo delle forze rivoluzionarie ungheresi, il ministro della guerra Artúr Görgei, pur di non consegnarsi agli austriaci, si arrese il 13 agosto ai russi nella cittadina di Vilàgos.
Subito dopo la resa di Vilàgos, Lajos Kossuth e buona parte dei suoi collaboratori ripararono nell’Impero Ottomano, imitati dai reparti dell’esercito che ancora avevano mantenuto una minima disciplina. La Legione italiana guidata da Alessandro Monti con circa 1400 uomini difese dalle incursioni degli austriaci l’esercito rivoluzionario in rotta, perdendo due terzi degli effettivi e infine riparando in territorio turco. Con la fine della repubblica ungherese gli Asburgo annessero di nuovo tutti i territori al loro Impero e diedero il via – contro il parere dei russi – a un’ondata di stragi ed esecuzioni sommarie degli ungheresi che avevano sostenuto la repubblica.
Vietato brindare: il ricordo dei martiri d’Arad nell’Ungheria odierna
Una delle più gravi esecuzioni in quei giorni avvenne il 6 ottobre 1849. Il generale austriaco Julius Jacob von Haynau, feroce reazionario che aveva guidato la repressione dei moti nel Lombardo-Veneto guadagnandosi l’epiteto spregiativo di Iena di Brescia, ricevette il comando delle truppe austriache incaricate della resa dei conti con i rivoluzionari ungheresi. Nella città di Arad, nella odierna Romania, Haynau ordinò l’esecuzione capitale di dodici generali e di un colonnello dell’esercito ungherese. Tra questi non vi erano soltanto patrioti di nazionalità magiara: fra gli altri venne giustiziato anche il generale Gyula Ottrubay Hruby, che pur essendo ceco e parlando tedesco si era battuto per la causa repubblicana.
La leggenda narra che, mentre quelli che passarono alla storia come i Martiri di Arad venivano giustiziati, i soldati austriaci ridessero brindando con boccali ricolmi di birra. Così gli ungheresi decisero da quel giorno di non brindare mai più con boccali di birra, in onore dei patrioti repubblicani uccisi dal reazionario Haynau. Al di là della veridicità della leggenda, ancora oggi in Ungheria vige l’usanza, almeno fra i nazionalisti magiari duri e puri, di non brindare quando si beve birra, mentre la memoria dei Martiri di Arad è ancora viva e il 6 ottobre è un giorno di lutto nazionale ufficialmente riconosciuto.
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Immagine: Sophie Tavernese/East Journal