Parigi, novembre 1891: inizia il nuovo anno accademico alla Sorbona. L’ateneo accoglie migliaia di studenti, per la maggior parte francesi, ma c’è anche un nutrito gruppo di stranieri attratti dal prestigio dell’università. Tra di loro anche alcune donne, dato che è una delle poche università al mondo dove possono studiare alla pari con gli uomini. Ma si tratta di un gruppo ristretto, quasi di pioniere: tra i 1825 studenti che quell’anno studiano nella facoltà di scienze, solo 23 sono donne. E tra di esse c’è una ragazza che è arrivata in treno da Varsavia, viaggiando in terza e quarta classe per poter realizzare il proprio sogno: Maria Skłodowska.
Varcare la soglia della Sorbona per Skłodowska è anche la conclusione di un accordo che ha fatto con la sorella Bronisława, di due anni maggiore: per sei anni Maria ha lavorato come istitutrice per alcune famiglie di Varsavia per pagare gli studi, proprio a Parigi, di Bronisława; adesso è il suo momento di ricevere dalla sorella il denaro per poter studiare.
Maria è nata il 7 novembre del 1867, meno di due anni prima che Dmitrij Ivanovič Mendeleev si svegliasse dal sogno che ha portato alla tavola periodica degli elementi chimici, una tavola alla quale proprio lei darà in pochi anni un contributo enorme.
Le mille vite di Maria Skłodowska
Dopo questo preambolo, la storia di Maria Skłodowska si potrebbe raccontare in mille modi diversi. C’è la giovane immigrata polacca, proveniente da una patria sotto il giogo russo e smosso da spinte rivoluzionarie, che fatica in un paese dove è contemporaneamente straniera e donna in una società fortemente maschilista.
C’è la storia della donna dall’aspetto modesto, quasi monacale, dedita esclusivamente alla ricerca scientifica, quasi ci fosse il bisogno di annullare la propria personalità (e la propria femminilità) per essere scienziate al pari degli uomini. A questa versione hanno contribuito anche molte biografie agiografiche circolate sia in Polonia (una è scritta dalla figlia Ewa), che in altri paesi.
C’è la storia, largamente smentita dagli studi storiografici più recenti, di una scienziata che non sarebbe stata nessuno senza aver sposato Pierre Curie, il vero genio della coppia.
Già, Pierre Curie: l’incontro fatale. Si conoscono quando Maria ha 27 anni e lui 35: è un amore profondo il loro, fatto di condivisione umana e intellettuale. Insieme si dedicano immediatamente a un problema di grande attualità scientifica negli ultimi anni dell’Ottocento. Nel 1895 Wilhelm Conrad Röntgen ha scoperto quasi per caso i raggi X, in gradi di attraversare i tessuti molli del corpo e fotografare le ossa. Quasi in contemporanea il francese Henri Becquerel si è accorto che i sali di uranio emettono delle radiazioni capaci di impressionare una lastra fotografica. Ma nessuno è in grado di fornire una spiegazione dei fenomeni. Sono gli oramai coniugi Curie a dare una spiegazione: si chiama radioattività – un termine coniato proprio da loro – ed è la caratteristica di alcuni elementi chimici.
Otto anni più tardi, in un giorno di aprile del 1906 un incidente sul Quai de Conti uccide Pierre Curie: che la pioggia abbia reso scivoloso il selciato? Che Pierre fosse distratto dai suoi pensieri? Che il conducente della vettura non vedesse bene? Il risultato è una morte sul colpo. Marie, come ha cominciato a farsi chiamare dopo il matrimonio, perde l’anima gemella, l’uomo con “un’espressione timida e riservata” dalla “profonda vita interiore”, come lo descriverà nell’autobiografia degli anni Venti. Se ne va a soli 47 anno la metà del premio Nobel per la fisica che i coniugi Curie hanno ricevuto nel 1903 per la scoperta della radioattività.
Il secondo Nobel e la consacrazione
Rimasta vedova a nemmeno trent’anni, ma con già una carriera nell’élite della scienza mondiale, Marie si dedica ancora di più alla ricerca. Dopo aver spiegato la radioattività, Marie da sola riesce a isolare ben due nuovi elementi chimici radioattivi: il primo lo battezza polonio in onore della propria madrepatria, mentre per il secondo prende un nome più prosaico: radio.
Queste due nuove aggiunte accrescono la tavola di Mendeleev e sono la dimostrazione più lampante che Marie non era solamente la moglie di una delle menti più acute della sua generazione, ma che è davvero una delle più grandi scienziate di tutte le epoche. Nel 1911, cinque anni dopo la prima volta, torna a Stoccolma per ritirare un secondo Nobel, questa volta in chimica, e non lo divide con nessuno.
Varsavia, la sua città natale dalla quale è stata costretta ad allontanarsi per poter seguire la propria aspirazione, ha provato già tra le due guerre mondiali a organizzare un museo che la celebrasse. Avrebbe dovuto essere ospitato dall’Instytut Radowy, l’Istituto del Radio che lei stessa ha fondato due anni prima di morire nel 1932. Il progetto non si è realizzato a causa delle distruzioni della Seconda Guerra mondiale. Ma fin dal 1967 documenti e memorabilia che la riguardano hanno trovato casa in ulica Freta, proprio nell’appartamento dove è nata e dove con la sorella Bronisława ha stretto il patto da cui questa storia ha avuto inizio.
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Immagini: Wikimedia commons