Ci sono paesi dove il censimento della popolazione non è un semplice atto amministrativo, tanto neutrale quanto può esserlo la fredda cronaca dei numeri e delle statistiche. La Macedonia del Nord è uno di questi: qui l’ultimo censimento ufficiale risale a quasi vent’anni fa – era il 2002 – e da allora nulla di simile è più stato completato. Tentato sì, ma senza che il processo sia stato infine portato a termine: il primo clamoroso insuccesso risale al 2011 quando il censimento fu improvvisamente interrotto, ufficialmente per l’impossibilità di trovare un accordo sull’inclusione o meno dei residenti all’estero, nella realtà per dissidi di natura tutta politica. Il secondo lo scorso anno, quando l’operazione fu sospesa a causa delle elezioni parlamentari anticipate e delle difficoltà legate alla pandemia.
Il percorso ad ostacoli verso il censimento
Questa volta, però, sembra essere quella buona e il censimento si svolgerà nelle prime tre settimane di aprile impegnando diverse migliaia di operatori in tutto il paese per un costo complessivo stimato in circa dieci milioni di euro.
L’ufficialità è arrivata a fine gennaio quando il parlamento ha approvato con 62 voti favorevoli – sui 120 totali – l’impegno di spesa previsto e il presidente della Repubblica, Stevo Pendarovski, ha apposto la sua firma sul decreto-legge relativo. L’iniziativa ha naturalmente avuto l’appoggio dell’attuale maggioranza di governo costituita dai socialdemocratici del primo ministro Zoran Zaev (Unione Socialdemocratica, SDSM) e da due partiti della minoranza albanese: l’Unione Democratica per l’Integrazione (DUI/BDI) di Ali Ahmeti e l’Alleanza per gli Albanesi.
Sul fronte opposto il partito nazional-conservatore Organizzazione Rivoluzionaria Interna Macedone (VMRO-DPMNE), dopo aver boicottato il voto parlamentare annunciando che comunque mai avrebbe riconosciuto i risultati del censimento, ha avviato una raccolta firme per annullarlo. Il 3 marzo scorso il progetto di legge presentato dalla VMRO, forte delle 100 mila firme messe insieme nel frattempo, è stato però bocciato in parlamento e il governo Zaev ha incassato la fiducia senza alcuna defezione tra i deputati che lo sostengono, nonostante le fibrillazioni che avevano scosso i partiti della minoranza albanese nelle ultime settimane. Il voto del 3 marzo scorso ha, di fatto, dato il via al censimento che è stato formalmente aperto per i macedoni impiegati nelle missioni diplomatiche e, più in generale, per quanti risiedono all’estero.
Le ragioni del dissidio
È evidente che non è stata l’avversione ai numeri o ai grafici ad impedire al paese di andare alla conta negli ultimi vent’anni, ma ciò che quei numeri e quei grafici sottendono. Quando si svolse l’ultimo sondaggio nel 2002 la popolazione era costituita da oltre due milioni di persone ma negli ultimi anni la massiccia emigrazione ne ha causato una drammatica riduzione. Stime non ufficiali indicano in almeno mezzo milione i macedoni che avrebbero lasciato il paese, di cui almeno centomila verso la Bulgaria, attratti dalla possibilità di acquisire un passaporto comunitario; fattore, questo, che ha contribuito a rinfocolare le tensioni tra i due paesi. Tensioni che hanno vissuto l’ennesima accelerazione nei giorni scorsi quando il presidente bulgaro, Rumen Radev, ha pubblicamente denunciato le presunte discriminazioni di cui sarebbero oggetto i cittadini macedoni di etnia bulgara, sottolineando che “i bulgari della Macedonia del Nord devono godere di pari diritti con il resto dei cittadini del paese”.
Il censimento del 2002 fotografò una situazione demografica in cui, a fronte di una maggioranza di persone di etnia macedone (64%), vi era comunque una cospicua minoranza albanese (25%). Una percentuale superiore a quella soglia del 20% che assicura, secondo quanto previsto dalla Costituzione del paese e dagli accordi di Ohrid del 2001, il godimento di particolari diritti politici e sociali, incluso il riconoscimento della propria lingua come lingua ufficiale, a livello locale o nazionale (dal 2018 l’albanese è la seconda lingua ufficiale della Macedonia del Nord).
È dunque qui il nodo, l’oggetto del contendere. Sebbene si cerchi di mascherare le proprie preoccupazioni paventando l’esistenza di un presunto accordo tra Zaev e Ali Ahmeti per predeterminare il numero degli albanesi residenti così da mantenerli al di sopra della soglia critica, il timore – vero – dei detrattori del censimento è esattamente l’opposto: ovvero che esso possa definitivamente suggellare uno stato di fatto profondamente mutato, avallando l’aumentato peso specifico della componente albanese.
Di pari segno è anche l’allarme espresso dal Sinodo, il principale organo religioso della chiesa ortodossa del paese: in un paese in cui l’adesione a questa o quella confessione ricalca quasi pedissequamente l’appartenenza etnica (il 30%, circa, della popolazione è di religione musulmana, grossomodo la somma dei cittadini di etnia albanese, turca e bosgnacca), la paura è che il censimento possa mettere a nudo una realtà molto meno cristiana e molto più musulmana, con tutto ciò che ne consegue in termini di impatto politico.
Un atto necessario
Nonostante, secondo quanto dichiarato dall’istituto statistico macedone, il criterio metodologico segua i migliori standard internazionali, la possibilità che qualcosa possa andare storto nella raccolta delle informazioni prestandosi a possibili manipolazioni o strumentalizzazioni politiche resta concreta: in particolare appaiono particolarmente vulnerabili i dati provenienti dall’estero, fattore che potrebbe risultare determinate nella definizione di un quadro effettivamente attendibile dello status quo del paese.
E’ ancora Zaev, però, a sottolineare l’importanza del censimento, evidenziando quanto esso rappresenti la base necessaria su cui costruire il futuro della Macedonia del Nord: uno strumento indispensabile non solo per calibrare i servizi essenziali – educativo, sociale e sanitario – ma anche per attrarre potenziali inventori stranieri mettendoli nelle condizioni di operare consapevolmente nel paese. Il censimento, quindi, è qualcosa di più e di diverso della semplice conta delle teste ed è forse proprio questo aspetto a preoccupare maggiormente chi, oggi, si mette di traverso al suo compimento.
Entro i prossimi sei mesi dunque, quando saranno pubblicati i risultati, avremo un quadro più completo di che cosa sia veramente la Macedonia del Nord, oggi. E magari di immaginare come sarà quella di domani.
Foto: Cymelium/Pixabay