Sabato 6 marzo 2021, mentre a Kadıköy – sulla sponda asiatica di Istanbul – era in corso una manifestazione, parte dei preparativi per il corteo dell’8 marzo, la polizia è intervenuta in forze fermando anche un fotoreporter freelance e minacciando di morte un giornalista presente sul posto, che cercava di documentare gli arresti (qui al secondo 17).
Il Movimento delle donne turche si era riunito a Kadıköy prima dell’International Women’s Day dell’8 marzo, per porre l’accento sul problema dei femminicidi, chiedere la fine della violenza sulle donne e la piena attuazione della Convenzione di Istanbul. Alla manifestazione avevano preso parte anche alcune attiviste trans, parte del variegato movimento LGBT turco, che avevano subito attirato l’attenzione delle forze dell’ordine a causa di alcuni striscioni non autorizzati. Durante l’evento alcune attiviste hanno preso parola sul palco: “Come membri del movimento LGBT, pretendiamo che la polizia consenta l’esposizione dei nostri striscioni”, hanno detto.
Le cose però hanno preso una brutta piega: mentre si disperdevano dopo la manifestazione, le attiviste sono state infatti fermate dalla polizia che ha cercato di prenderle in custodia. In un primo momento le donne sono riuscite a entrate in un taxi e a sottrarsi all’arresto, grazie anche all’aiuto di altri manifestanti che hanno impedito alle forze dell’ordine di avvicinarsi. Tuttavia, successivamente, la vettura è stata raggiunta e fermata dalla polizia.
La piattaforma del Movimento delle donne per l’8 marzo ha poi dichiarato che le attiviste LGBT Havin Özcan e Yıldız İdil Şen sono state fatte scendere dal taxi e arrestate assieme ad altre 4 persone, tra cui un giornalista.
Il reporter fermato si chiama Şener Yılmaz Aslan ed era sul posto assieme a un’amica che in un post facebook racconta: “La polizia mi ha fermata soltanto per il mio aspetto fisico e per il mio cartello che recitava Siamo più belli insieme. Mi hanno spinta in un angolo e mi hanno perquisito toccando ogni parte del mio corpo… Hanno deciso di interrogarmi sulle mie origini e hanno preso la mia carta d’identità per controllare la mia fedina penale. Ero spaventata, ma alla fine sono stata rilasciata dai miei 15 minuti di sorveglianza e mi è stato consigliato saggiamente di tornare a casa. No, non sono tornata a casa. Ho trovato altri miei amici e ho continuato a gridare slogan, cantare e ballare con le mie sorelle e i miei fratelli. Cercavo Şener, ma non l’ho trovato, ho saputo che è stato preso in custodia alla fine della marcia mentre filmava alcune donne trans che venivano arrestate dalla polizia”.
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Foto: Dreamer, Wikicommons