Quando lo scorso 31 dicembre, durante una trasmissione radiofonica, Milan Bandić dichiarava che sarebbe morto da sindaco, non si aspettava certo che sarebbe accaduto dopo così poco tempo. Nella notte tra sabato e domenica Bandić, 66 anni, è stato stroncato da un infarto mentre si trovava a casa di amici. Nato a Grude, piccolo paese in Bosnia-Erzegovina al confine con la Croazia, per due decenni la sua figura è stata tra le più importanti e discusse del panorama politico croato. La sua morte rappresenta la fine di un’epoca, non solo per la capitale ma per tutto il paese.
La lunga carriera da sindaco
Iscritto alla Lega dei Comunisti di Croazia, Milan Bandić inizia la sua carriera politica subito dopo le prime elezioni multipartitiche del 1990, quando con Ivica Račan la Lega prende il nome di Partito Socialdemocratico Croato (SDP). Grazie al suo impegno nella campagna elettorale per Zagabria, nel 1993 Bandić viene nominato segretario cittadino del partito. Dopo appena due anni riesce a farsi eleggere in consiglio comunale mentre nel 1997 assume la carica di presidente cittadino del partito.
Il 5 maggio 2000 vince le elezioni anticipate e viene eletto dal consiglio comunale a sindaco di Zagabria – risultato confermato, con il doppio dei voti, l’anno successivo. Nel 2002 si rende protagonista di un incidente d’auto sotto effetto di alcol, vicenda che lo costringe alle dimissioni. La sua candidatura a segretario generale del partito dopo la morte di Račan nel 2005 crea le prime fratture con il gruppo dirigente dell’SDP e in particolare con Zoran Milanović, futuro presidente della Repubblica. La sconfitta viene però riscattata lo stesso anno con la terza elezione consecutiva alla carica di sindaco.
Il 2009 rappresenta un importante momento di svolta per la sua carriera. Per la prima volta si svolge l’elezione diretta del sindaco. Bandić vince al secondo turno con oltre il 62% dei voti, ottenendo la carica per la quarta volta. Pochi mesi dopo, in piena rottura con il partito, annuncia la sua candidatura alle elezioni presidenziali. La decisione gli costa l’espulsione dall’SDP e la sconfitta al secondo turno contro il candidato socialdemocratico Ivo Josipović.
L’espulsione dall’SDP non ferma però il suo dominio su Zagabria e nel 2013 ottiene l’ennesima schiacciante vittoria alle elezioni locali ottenendo più di 170 mila voti, pari al 65%, e la rielezione per la quinta volta a sindaco della capitale. Un anno dopo, il 21 ottobre 2014, viene arrestato e incarcerato con l’accusa di corruzione, concussione e criminalità organizzata. Liberato nell’aprile 2015 torna a ricoprire il suo ruolo che confermerà, per la sesta volta, alle elezioni del 2017.
I processi
Nei vent’anni a capo della capitale, i due luoghi principali frequentati da Bandić sono stati il suo ufficio e le aule di tribunale. Sono state infatti numerosissime le inchieste nei suoi confronti, soprattutto per i suoi legami poco trasparenti con alcuni gruppi imprenditoriali e criminali, per casi di corruzione legati a progetti urbanistici e per l’utilizzo improprio dei fondi comunali.
Il primo episodio, noto come “caso Zagrepčanka”, risale al 2004 e si riferisce all’acquisto con fondi pubblici, ritenuto illegittimo, di un terreno di proprietà dell’azienda Zagrepčanka per un valore di 3,2 milioni di dollari. Bandić viene assolto dalle accuse nel 2007. Lo stesso anno però, l’USKOK (Ufficio per la repressione della corruzione e della criminalità organizzata) apre un’indagine nei suoi confronti per possibile danno alle casse pubbliche per uno scambio di terreni, il cui valore era stato calcolato erroneamente, in favore di due società pressoché sconosciute.
Nel 2006, il progetto di ristrutturazione della Piazza del mercato dei fiori (Cvjetni Trg) e di via Varsavska, che prevedeva la costruzione di un grande centro commerciale e di un parcheggio sotterraneo, scatena la protesta dei cittadini contribuendo alla nascita del movimento Pravo Na Grad (Diritto alla città), vera e propria spina nel fianco di Bandić fino alla morte.
Nel 2009 viene accusato di aver speso oltre 200 mila euro di fondi comunali per la costruzione di due bagni pubblici affidata senza appalto all’impresa TŽV Gredelj, operante nel settore del trasporto ferroviario.
Nel 2013 Bandić viene nuovamente messo sotto accusa dall’USKOK con le accuse di favoreggiamento, gestione illecita dei rifiuti, uso di auto ufficiali per scopi privati e falsificazione di documenti per un danno complessivo di 219 milioni di kune (circa 31 milioni di euro). Bandić viene arrestato nell’ottobre 2014 e durante la perquisizione della sua abitazione vengono trovati circa 40 mila euro in contanti. Rilasciato dopo il pagamento di una cauzione di 2 milioni di euro, viene nuovamente arrestato circa un mese dopo per aver minacciato uno dei testimoni al processo. Torna definitivamente libero nell’aprile 2015 grazie ad una decisione della Corte Costituzionale.
Nel suo ricco curriculum di processi, Bandić è stato accusato anche di evasione fiscale per un valore di circa 500 mila euro legata ai fondi per la campagna elettorale del 2009. Negli ultimi anni è stato inoltre coinvolto in inchieste relative alla concessione di stand per i mercati natalizi in favore dell’associazione “In the Name of the Family” permettendo a questa entità di ottenere illegittimamente un guadagno di oltre 40 mila euro. Per questa accusa il tribunale di Zagabria ha già assolto Bandić.
I suoi nemici
Grazie al vero e proprio dominio sulla città e a causa delle innumerevoli inchieste, concluse spesso con condanne al pagamento di ingenti multe, Bandić è stato più volte accusato di aver creato un articolato sistema clientelare capace di ottenere enormi guadagni soprattutto dalla riqualificazione urbana di Zagabria. Non a caso, nell’ultimo decennio, l’opposizione più forte e concreta è arrivata proprio dai movimenti civici legati al diritto alla città, all’utilizzo dello spazio pubblico e la sua messa a valore per gli interessi di investitori privati legati direttamente a Bandić e alla sua cerchia.
La battaglia più importante è stata giocata contro il faraonico progetto soprannominato Manhattan Zagreb che prevede la costruzione di un quartiere di lusso nella vecchia area fieristica, esattamente come già accaduto a Belgrado con il Belgrade Waterfront progettato dalla Eagle Hills, la stessa a cui è stato affidato il piano per Zagabria. Grazie alla costante attenzione dei movimenti, l’11 febbraio 2020 l’Assemblea comunale di Zagabria ha respinto il Piano Urbanistico Generale (GUP), fortemente voluto dallo stesso Bandić. Il voto era stato anticipato da imponenti manifestazioni di piazza supportate da alcuni consiglieri comunali come Tomislav Tomašević di Zagabria je Naš (Zagabria è nostra), principale lista di opposizione in consiglio comunale e favorito alle prossime elezioni locali previste per maggio.
Nel 2015 Bandić aveva dato vita al suo partito personale, BM365 (Bandić Milan 365, come i giorni dell’anno passati a lavorare secondo la narrazione autocelebrativa). In pessimi rapporti con i socialdemocratici dopo la rottura del 2009, si era progressivamente avvicinato all’Unione Democratica Croata (HDZ) con cui aveva barattato il proprio sostegno in parlamento in cambio di quello dei consiglieri dell’HDZ a Zagabria.
L’eredità politica
Quella di sindaco di Zagabria può essere considerata la terza carica più importante del paese, dopo quella di primo ministro e di presidente della Repubblica. La capitale da sola rappresenta oltre un terzo del PIL croato con un budget disponibile che supera i due miliardi di euro.
Negli ultimi anni lo strapotere di Bandić era stato fortemente messo in discussione dalla crescita di una nuova opposizione di sinistra, alternativa ai classici centri di potere. Basti pensare che alle ultime elezioni politiche del luglio 2020 il partito della sinistra ecologista Možemo ha ottenuto il 21% dei voti nella capitale, mentre il partito di Bandić si era fermato a un insignificante 1%.
Il sostegno a un personaggio come Bandić aveva creato non pochi imbarazzi all’HDZ, come dimostrato anche dal voto contrario espresso per il piano regolatore. In nome del cinismo e dell’opportunismo politico i due alleati però avevano deciso di non aprire una crisi per non mettere in discussione la vittoria alle elezioni di luglio. Per quanto riguarda Zagabria invece, dove il voto era già previsto per il prossimo maggio, tutti i sondaggi danno come favorito proprio Tomašević.
Come sottolineato da diversi esperti, la morte di Bandić paradossalmente crea maggiori problemi a suoi nemici. Lo stesso Tomašević aveva più volte dichiarato come il primo obiettivo fosse proprio la sconfitta dell’odiato nemico. La sua morte rischia quindi di togliere loro il principale argomento e punto di forza della campagna elettorale.
Ma potrebbe creare problemi anche ai suoi alleati. Il BM365 rischia di scomparire insieme al suo leader mentre l’HDZ si trova a dover trovare in pochissimo tempo un’alternativa valida per non subire una batosta nella capitale.
Comunque evolverà la situazione, da un punto di vista politico la scomparsa di Bandić rappresenta un’opportunità più che una perdita. In un durissimo articolo su Index.hr, Matija Babić sostiene che “il fatto che Bandić sia morto significa che smetterà di fare danni alla città e alle decine di migliaia di persone che non sono membri delle piovre corrotte” e che tutti quelli che non fanno parte del suo clan “possono rimpiangere che non sia morto 20 anni prima”. Di certo, la democrazia e l’onestà in Croazia hanno da oggi un avversario in meno.
Foto: AP/Darko Bandic